ALCUNE IMPRESSIONI SUL CONGRESSO FONDATIVO DI SINISTRA ITALIANA
di Riccardo Achilli
Si conclude oggi l’appuntamento congressuale di Sinistra
Italiana, così lungamente atteso da un popolo di sinistra rimasto senza casa da
troppi anni. Non potendo essere presente fisicamente, ho ascoltato con molta
attenzione quasi tutti gli interventi.
Rispetto alle preoccupanti premesse di partenza, allo
spirito di Cosmopolitica che replicava acriticamente i difetti originari di
SEL, sarebbe ingeneroso dire che non sono stati fatti progressi, in questi
mesi, in termini di consapevolezza strategica. Esce il profilo di un partito
che sa di dover essere solido e radicato sul territorio, in barba alle
suggestioni movimentiste grillin-rodotiane. Emerge, perlomeno nella maggioranza
del partito, l’esigenza di autonomia di movimento non solo rispetto a Renzi, ma
più in generale rispetto al Pd, se non assumerà, eventualmente nelle sue forme
scissionistiche, un profilo più nettamente di sinistra e di rottura con il
Governo Gentiloni. Il tentativo, per molti versi penoso, della componente
scottian-dattorriana di incasellare il partito nascente dentro un obsoleto e
inefficace schema neo-ulivista viene sconfitto, anche se, va rimarcato
chiaramente, la minoranza favorevole a questa torsione è numericamente
tutt’altro che trascurabile, avendo raccolto attorno all’emendamento di
D’Attorre una sessantina di delegati. Si staglia, dalle parole di Vendola, una
prima rilevante distinzione fra diritti civili e diritti socio economici, che
non si può dire fosse nelle corde del Nichi del passato recente. Più in
generale, si intuisce l’intento di costruire un partito radicale, nel senso
positivo del termine, ovvero non settario e minoritario, con vocazione di
governo ma su posizioni di forte critica al neoliberismo imperante.
Gli aspetti positivi finiscono però qui. Complessivamente,
il battesimo del nuovo partito non sembra particolarmente promettente. Il
grosso degli interventi è ancora permeato da una preoccupazione di posizionamento
tattico rispetto alle torsioni in corso dentro il Pd, in una logica di
subordinazione culturale, rispetto a questioni di mera tattica politicistica,
non superate. Ad eccezione dell’intervento di Fassina, che contiene la
profondità del senso storico del passaggio attuale della crisi del
neoliberismo, sembra che lo scenario generale in cui si muova la ricostruzione
della sinistra sia del tutto trascurato, oppure letto in modo superficiale o
erroneo. Il cambiamento in atto della rappresentanza politica delle destre, con
i populismi che crescono, viene affrontato acriticamente, come una minaccia da
combattere, senza capire le ragioni profonde del radicamento di tale destra
dentro le classi popolari che la sinistra dovrebbe ambire a rappresentare. Ne
consegue, in molti interventi, il ritorno verso un globalismo buonista, in cui
si contrappone, ingenuamente, un nazionalismo apoditticamente foriero di guerre
e presunti fascismi a un internazionalismo pacifista del tutto illusorio.
Paradigmatica è al proposito la dichiarazione della compagna Boccia, che parla
di una America "traumatizzata" da Trump (che in realtà lo ha portato democraticamente alla
presidenza)associando in modo astorico i populismi di destra ai fascismi, fino
a mistificare l’opposizione dei liberal democratici a Trump: la marcia di
Washington, esaltata come momento liberatorio di una presunta sinistra da
imitare, è stata organizzata dalle peggiori lobby finanziarie e
industrial-militari.
Manca un ragionamento di senso compiuto sulla globalizzazione
e le sue implicazioni. Non si discute realisticamente dei trattati commerciali
internazionali, del tema dell’immigrazione (rispetto alla quale non si
capiscono tutte le sfaccettature, alcune delle quali colpiscono gli strati
proletari e sottoproletari urbani, per cui, anziché far del bene agli
immigrati, li si consegna a soluzioni di destra, inquietanti e pericolose. Ma si
continua a denigrare i temi dell'identità nazionale, relegandoli a residui
medievali della terra e del sangue). Persino il tema dei temi, dal quale
dipende in modo cruciale qualsiasi velleità di fare politiche redistributive e
di sostegno al lavoro, ovvero quello dell’euro, viene derubricato ad una
fantomatica futura conferenza programmatica, perché di fatto la maggioranza di
Sinistra Italiana continua a vivacchiare nell’illusione di poter “cambiare
l’Europa da dentro”. Evidentemente, gli evidenti aspetti relativi ai rapporti
di forza fra i membri dell’area euro, ed il funzionamento di un’area monetaria
comune, vengono trascurati bellamente, fino ad arrivare al grottesco intervento
di Cofferati, nel quale, dopo un giuramento di fedeltà all’europeismo a
qualsiasi costo, si propone il reddito universale di cittadinanza (e dove si
reperiscono le risorse per metterlo in piedi, dentro l’euro-austerità imposta
da Trattati che non possono essere mutati da istituzioni europee
prevalentemente tecnocratiche ed influenzate dai rapporti di forza fra Paese
leader, ovvero la Germania, ed economie mediterranee? Mistero irrisolto). Il
coraggio anche solo di affrontare il tema dell’uscita cooperativa dall’euro,
proposto dall’emendamento di Fassina, è così scarso, che una proroga sine die
dell’analisi di tale emendamento viene considerata una fortuna, avanti la sua
più che probabile bocciatura.
Evidentemente ci troviamo di fronte ad un partito che nasce
senza storia, nel senso che nega completamente i dati fondamentali di scenario
entro i quali la storia si sta muovendo, e che rischia di non avere una
capacità di contestualizzare la sua proposta alle esigenze che vivono dentro la
carne ed il sangue della realtà. Tant’è vero che le proposte che echeggiano,
dalla tutela del lavoro alla solidarietà ai migranti, dalla lotta al precariato
all’ecologismo moderato e “compatibile”, hanno il tono ed il sapore di dichiarazioni
di principio piuttosto retoriche. Anche l’aspetto organizzativo lascia molto a
desiderare: delle decine di emendamenti proposti dai territori e dalla
militanza si discute e si vota un numero trascurabile, dimostrando scarsa
attenzione agli spunti provenienti dal basso. Di converso, e come effetto della difficoltà nel trovare
una sintesi culturale e politica, le differenze interne che hanno prodotto una
scissione prima ancora che nascesse il partito (un record assoluto) vengono
affrontate, ad esempio dall’intervento di Grassi, nei consueti termini
moralistici con i quali si ammanta l’unità a sinistra: l’umiltà ed il senso di
fratellanza ed unità servono da foglia di fico per nascondere le differenze più
profonde di significato dell’appartenenza al campo della sinistra. Differenze
non affrontate perché il processo
costituente ha prevalso, come spesso avviene nella sfortunata storia della
sinistra, sul necessario approfondimento culturale, nell’illusione che il
contenitore, una volta costruito, possa sopperire alla fragilità delle basi
teoriche e di pensiero.
Nell’insieme, i progressi fatti appaiono del tutto
insufficienti a garantire a questo nuovo soggetto politico una capacità di
radicamento sociale significativa. Le prospettive non sono buone, non sembrano
cioè poter superare significativamente la marginale incidenza elettorale che
aveva la ex SEL, e la fragilità dei riferimenti culturali e programmatici non
garantisce né la pretesa radicalità, né l’annunciata autonomia politica, con il
rischio concreto di un risucchiamento successivo dentro esperimenti
coalizionali costruiti sotto l’etichetta del contrasto ai populismi. Per
parafrasare Gorres, il treno della storia, in questo frangente di inizio
millennio, accelera con regolarità, sotto la spinta di una rivoluzione
tecnologica che minaccia la stessa esistenza del lavoro e riconfigura
completamente le relazioni sociali sotto la spinta dell’immediatezza e
dell’orizzontalità gerarchica del web, di enormi sconvolgimenti geopolitici, di
profonde ristrutturazioni economiche e nella composizione sociale. Avanti a
questa accelerazione, la lentezza con la quale Sinistra Italiana progredisce
nella comprensione del suo ambiente economico, politico e sociale rischia di
produrre un arretramento irrecuperabile ed una distanza sempre più difficile da
colmare con un elettorato comprensibilmente smarrito di fronte alle indecisioni
nel determinare una linea univoca su temi fondamentali.
Non è inutile, in conclusione, dire che queste mie critiche
non sono “ad personam”, non intendono cioè minare l’impegno e la buona volontà
sincera di tanti militanti e dirigenti che hanno costruito Sinistra Italiana.
D’altra parte, io stesso non sono estraneo a questo risultato insoddisfacente,
avendo fatto parte del processo costruttivo, sia pur da una posizione del tutto
marginale. Né queste critiche vogliono essere distruttive. Non c’è da mettere
un sasso su questa storia. C’è da lavorarci in modo molto serio, e direi anche
in modo molto preoccupato ed impegnativo, senza soddisfazioni fuori luogo.
Così, non si va da nessuna parte. C’è tempo per recuperare, ma occorre porsi
degli interrogativi reali e costruire un dibattito vero ed approfondito, senza
ansie elettoralistiche e senza politicismi tattici da posizionamento rispetto
al resto dell’arco politico. Senza l’onestà di riconoscere questa esigenza, è
meglio chiudere baracca ed occuparsi d’altro.
Nessun commento:
Posta un commento