Nell'era
del turbocapitalismo globale (intendendo con ciò un capitalismo che non sopporta limiti né regole e che anzi si fa esso stesso misura di tutte le cose) l'etica tramonta inevitabilmente, se per
etica intendiamo la sua accezione originaria di ethos umano, così
come Eraclito mette bene in evidenza in un suo famoso frammento:
Ethos anthropoi daimon, il carattere dell'uomo determina il suo
destino, ciò che fu, a guardar bene, l'antenato del latino faber est
suae quisque fortunae, e cioè ciascuno è artefice della sua sorte;
nell'accezione greca vi è ancora un qualcosa di misterioso e divino
che, in quella latina, mutatis mutandis, resta confinato
prevalentemente nella natura umana.
Il
capitalismo e la sua versione attuale e globale, fanno piazza pulita
di quest'etica, così come di ogni morale che ne derivi, riducendo
tutto a ricerca del profitto. L'essere umano e la natura sono così
valutati e resi “utili” solo se “servono” a tale scopo, cioè
all'accumulazione di capitale.
Tutto
passa in secondo ordine, dignità umana, libertà, lavoro, famiglia,
casa, pensioni, servizi sociali, insomma tutto ciò che “umanamente”
possa valere di per sé, secondo il detto greco e secondo quello
latino.
L'uomo
non è più artefice della sua sorte ma, piuttosto, è una merce per
la sorte del capitale, tanto che gli stessi politici parlano
spregiudicatamente di “capitale umano” e di necessità di
“investire” su se stessi, dato che, evidentemente, la riduzione a
merce non può che partire dal presupposto che essa stessa sia
isolata dal suo contesto e valga di per sé in quanto “spendibile”
o “investibile” Ne consegue che la negazione dell'etica, in
ambito turbocapitalista, equivale all'atomizzazione dell'individuo,
al suo isolamento, affinché sia meglio sfruttabile.
L'essere
umano non vale più di per se stesso, nella sua integrità, dignità
e libertà, oltre che responsabilità, ma vale per come può rendersi
utile a tale contesto in cui gli sono richieste, fin dalla scuola,
funzioni e competenze, e competenza vuol dire essenzialmente non solo
saper competere, ma soprattutto saper essere compatibile con la
richiesta del mercato.
Con
tale prospettiva ognuno, di conseguenza, non ha più un destino da
costruire per sé, per la propria famiglia e per la società in cui
crede di vivere, per una Patria a cui crede di appartenere o per una
sovranità che si illude di esercitare, ma è, concretamente, solo un
ingranaggio di un grande meccanismo verso il quale deve esercitare il
suo ruolo, senza essere “rottamato”, senza cioè rendersi
inefficace e desueto.
Cosa
resta di autenticamente “umano” in tale “prospettiva”? Ahimé
ben poco o nulla. E l'essere umano, destinato a svolgere il ruolo
della merce per fini di profitto risulta anche “smembrato” nel
suo tempo e nelle sue capacità.
Se
non si adatta viene rimosso, se non concede nel mercato “pezzi del
suo tempo” che il mercato compra, non è nulla, è relegato ai
margini, peggio di un antico schiavo che, almeno, era mantenuto come
un animale domestico dai suoi padroni; un oggetto, infatti, ha una
sorte ben peggiore. Viene gettato via quando è ritenuto inutile,
nella discarica dell'emigrazione e dell'emarginazione sociale.
L'ultimo
emblema simbolo di questa disumanizzazione e mercificazione è il
voucher. Nella nostra mania esterofila e tecnocratica, che parte dal
presupposto anche linguistico di annullare persino le radici
linguistiche del nostro pensiero umanistico, abbiamo adottato questa
ennesima terminologia anglosassone, che corrisponde a cosa? Vediamo
in inglese la definizione di voucher: “a
piece
of paper
that can be used to pay
for particular
goods
or services
or that allows
you to pay
less than the usual
price
for them” che, tradotto, suona così: un pezzo di carta che ti
autorizza a pagare per particolari beni o servizi meno del prezzo
corrente destinato ad essi. In pratica una “marchetta”, cioè una
sorta di strumento privilegiato di sfruttamento per accrescere il
plusvalore.
L'eticidio del turbocalitapismo corrisponde alla prostituzione di massa su scala globale.
In
Italia sono state raccolte molte firme per convocare un referendum
che abolisse i voucher, e il governo cosa ha fatto? Ha prima abolito
i voucher per impedire che il referendum avesse luogo e magari avesse
successo come quello costituzionale, poi, truffaldinamente, ha
“resuscitato” i voucher, legandoli indissolubilmente ad un
pacchetto di misure necessarie all'ammodernamento ed al risanamento
del Paese. Su questo pacchetto si appresta a chiedere la fiducia e a
tendere un trappolone micidiale alla cosiddetta sinistra scissionista
del PD che si è costituita con l'altisonante nome di..udite..udite
Articolo 1 (con ovvio riferimento alla Costituzione) Ricordiamocelo
sempre l'articolo 1 soprattutto per diffidare di imitazioni e
contraffazioni: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata
sul lavoro.
La sovranità appartiene al
popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Questo vuol dire due cose in
una: che la democrazia si ha solo con quella dignità che deriva da
un popolo che ha un lavoro con cui contribuisce al benessere della
comunità in cui vive, e che trae proprio da esso la sua dignità e
sovranità.
Senza lavoro o con un lavoro
ridotto a “marchetta", evidentemente, non esiste né democrazia, né
sovranità e tanto meno una libera Repubblica, intesa come “cosa",
come "bene comune”
La sinistra che si chiama
Articolo 1 è stata sfidata in campo aperto, o vota la fiducia che
include la reintroduzione di questo strumento di mercificazione dei
lavoratori, o si astiene, lasciandolo lo stesso passare,
contraddicendo profondamente la sua stessa ragione fondante e
sociale, oppure vota contro e rischia di far cadere il governo.
Ma siamo davvero sicuri che
il governo cadrebbe se la sinistra si decidesse una buona volta a
fare una opposizione seria anche sfidando le prefiche del populismo e
del radicalismo ad oltranza? Sicuramente no, perché il governo
saprebbe trarre i numeri che gli consentirebbero di sopravvivere
anche nel suo prossimo “coma assistito”, dove li ha sempre
pescati ultimamente: nell'ambito di quella cosiddetta destra
collaterialista, che poi altro non è che la versione senza vasellina
dello stesso ferreo orientamento economico e politico vigente. Esso è
tale che non corrisponde più alla sovranità popolare, ma
semplicemente a referenti di partiti (e dei loro capi) nominati
apposta, i quali votano secondo precisi interessi e precisa
disciplina ciò che viene loro detto di votare, e che i loro capi, a
loro volta, hanno deciso, obbedendo ad altri referenti
transnazionali, fiduciari di precisi interessi economici e
speculativi e strutturali ad uno stesso sistema a cui non si vuole
che debba trovarsi alcuna alternativa. La UE, per come si sta
comportando ultimamente, corrisponde con estrema precisione a questo
sistema, anche se, in essa non tutto tace ed acconsente a tale
imperio che combatte non più con le sue legioni, ma con le sue
banche. Uno degli assunti fondamentali di questo sistema è che la
democrazia si riduca e che la gente non possa scegliersi i suoi
referenti, potendo così cambiare le leadership dei partiti.
Ciò nonostante, in alcuni
paesi, la gente è riuscita lo stesso a cambiare determinati
referenti, altrimenti fenomeni come quello di Sanders o di Corbyn,
non si spiegherebbero, non in maniera però ancora adeguata e
sufficiente per cambiare seriamente un sistema. Per questo ci vuole
perseveranza, tempo e una buona dose di coraggio e di autonomia.
Tutte qualità del tutto
mancanti ad una sinistra italiana di professionisti della politica, o
a schieramenti in cui militano gli esperti della demagogia. Questi,
infatti, sono abili soprattutto a “fare il loro prezzo” a
decidere la loro “marchetta” per imporne al popolo altre molto
più economiche e profittevoli.
Possono rischiare di opporsi
senza la speranza di partecipare al gran banchetto del potere, in
ambito locale o nazionale? Evidentemente no.
Il risultato di tutta questa
millantatura non può che essere una disaffezione sempre più grande
verso la politica e una diserzione delle urne sempre più massiccia e
rovinosa come quella che abbiamo sotto gli occhi. Ma si può
pretendere che la gente voti ciò che non la rappresenta e chi non
solo non può ma persino non vuole restaurare il primato della
politica sull'economia?
Sicuramente no. Per tornare
ad essere credibili, oggi, nell'era dell'eticidio (assassinio
dell'etica) da parte di un turbocapitalismo che non arretra di fronte
a nulla e spregiudicatamente usa guerre, migranti, terrorismo,
diseguaglianze e persino la speculazione sui medicinali e sugli
organi umani, per incrementare i suoi profitti, ci vuole un sussulto
globale, internazionale, bisogna essere, lo abbiamo già ribadito,
patrioti non tanto di una terra o di una moneta, ma piuttosto del lavoro,
dell'educazione e dei diritti sociali. Non si può essere imbastarditi dal
primato dei diritti civili su quelli sociali (e morali) perché, come disse un
grande socialista come Pertini: “Per me libertà e giustizia
sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un
binomio inscindibile non vi può essere vera libertà senza la
giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale
senza libertà.
Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, privandomi della libertà io la rifiuterei.”
Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, privandomi della libertà io la rifiuterei.”
Questi sono paletti
insormontabili per chi solo possa riferirsi con significato e
concretezza ai valori socialisti, se si usano i diritti civili e le
libertà, per annullare i diritti sociali, o se accade il contrario, si
determina solo la fine di ogni forma di socialismo e la complicità
con chi, da tale fine, ha sempre voluto trarre vantaggio e profitto.
Un tempo Mazzini era definito
un pericoloso terrorista e Mazzini non era nemmeno socialista, oggi
non vorremmo che, in questo cupio dissolvi di ogni valore etico, sociale,
morale e politico, la stessa sorte toccasse anche a chi è stato più
volte definito “il Presidente più amato dagli italiani”,
relegandolo nella categoria del populismo e del radicalismo che tanto
comodo fa a chi non ha né radici né popolo a cui riferirsi, ma
insegue solo e soltanto il suo mero interesse.
Carlo Felici
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