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sabato 22 luglio 2017

BERLINGUER (NON) TI VOGLIO TANTO BENE di Mario Michele Pascale

 

 

 

BERLINGUER (NON) TI VOGLIO TANTO BENE  

di Mario Michele Pascale


Verrò linciato, lo so. Ma l’onestà intellettuale ha un prezzo che pago volentieri. Tutto nasce da un dialogo on line con il compagno Pierluigi D’Emilio, il quale imputava a Craxi l’avvio della crisi della sinistra. Io risposi che era una questione di punti di vista: secondo me la stessa crisi si avvia con Berlinguer.

Berlinguer è un mito. Capace di procreare miti di secondo livello (l’immagine di Benigni che prende in braccio il segretario del Pci, ad esempio). Ma perché l’ex segretario è stato capace di penetrare così in profondità nel nostro ricordo? Anzitutto è morto combattendo. Ferito gravemente, in maniera metaforica, durante un comizio. Compie, romanticamente, con la morte, ma ancor di più con il suo resistere sul palco, caparbiamente, nonostante un ictus in corso, la sua esistenza dedicata all’ideale. Risuonano potenti le sue parole mentre incespicano in una morsa di dolore: “Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda”. E lo fa davanti al suo popolo, con la Tv che lo riprende e lo proietta nelle case degli italiani. Berlinguer e la sua immagine sofferente sapientemente riprodotta a ridosso delle elezioni europee del 1984, hanno avuto un che di sacrale. Il sangue del segretario, esattamente come il sangue dei re dei popoli antichi, precristiani e pre romani, feconda il mondo. E di fronte a questa sacralità, nulla si può opporre. Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, volle trasportare il corpo con l’aereo presidenziale, dicendo: “Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta”.

Ma il carisma di Enrico Berlinguer derivava soprattutto  dall’immenso valore di un Partito con la P maiuscola. Berlinguer rappresentava ed era espressione del Pci. Senza se e senza ma. Se oggi il rapporto tra segretario e militanti nei partiti è di tipo feudale, basato sulla concessione di feudi, prebende, e regalie, il rapporto tra Berlinguer e i comunisti era di tipo sacrale e rifuggiva le bassezze della materia.
Ma la storia seppellisce anche gli dei. Il grande scontro tra Craxi e Berlinguer avvenne quando il Psi si rese autonomo dalla subalternità al Pci. Nell’agosto del 1978 venne lanciata, dagli intellettuali di Mondoperaio e da tutto il Psi, la “svolta culturale”. Si diceva addio, contestandola apertamente, la linea ortodossa, staliniana e togliattiana, del marxismo leninismo. Una novità? No. Già Pietro Nenni, rispedendo in Unione Sovietica il premio Stalin per la pace dopo i fatti di Ungheria, aveva creato una frattura ideologica difficilmente saldabile. Dialetticamente l’addio all’ortodossia era inevitabile. Berlinguer reagì furiosamente, a tratti in maniera scomposta,  alla svolta culturale dei socialisti ribadendo in più di una occasione la fedeltà del Pci alle vestigia del marxismo leninismo, indicando negli iscritti al Psi gli agenti della reazione filo capitalista. Con questi giudizi Berlinguer diede prova di una capacità analitica e di previsione politica abbastanza misera. E di una dimensione etica  non meno bigotta, dato che fu proprio quel Pci che tuonava a favore dell’ortodossia staliniana e togliattiana, a favorire l’ingresso della famiglia Agnelli in Russia e la presenza della Fiat a Togliattigrad. Il Pci, in questo caso, agì davvero come agente del capitale di quello che sulla carta era peggior nemico che aveva allora in Italia. La famiglia Agnelli proprietaria della Fiat e del gruppo editoriale “La Stampa”. In cambio fu proprio “La Stampa” a favorire l’egemonia culturale del Pci degli anni 70. E fior di intellettuali comunisti si arricchirono all’ombra delle grandi aziende editoriali di Confindustria.

Berlinguer era ferocemente antisocialista. L’Urss si sgretolava, accusando un forte ritardo culturale, industriale e tecnologico nei confronti dell’Occidente, ed era chiarissimo che non avrebbe potuto mantenere a lungo un ruolo guida internazionale. La via d’uscita era chiara: la conversione al socialismo. Enrico Berlinguer, pur di non profferire quella parola che portava alla dannazione, si inventò il cosiddetto “eurocomunismo”. La via intermedia tra ortodossia marxiana, copertura degli interessi internazionali sovietici e aperture al liberismo. Un feto mostruoso che venne abortito rapidamente. Berlinguer era esperto in feti mostruosi. Il compromesso storico, ovvero l’alleanza tra i due grandi partiti di massa italiani, quello comunista e quello cattolico, per la gestione dello stato con la benedizione dell’apparato ecclesiastico, cui molti intellettuali del Pci erano devoti più che al partito, era un’idea liberticida e suicida: avrebbe schiacciato tutte le altre culture politiche, distrutto il marxismo e marginalizzato l’idea socialista.

Insomma Berlinguer fu un grande uomo, un combattente, un esempio per ogni militante del Pci, ma come politico lasciò molto a desiderare. Su di una cosa però devo rendergli onore. Egli condannava l’occupazione da parte dei partiti delle posizioni pubbliche, anche se non poteva materialmente opporsi al fatto che anche i comunisti partecipassero alla festa. Ma ebbe la fermezza ed il coraggio di addestrare una classe dirigente che, pur occupando militarmente le proprie poltrone, difendendole con le unghie e con i denti, dalle cattedre universitarie ai consigli di amministrazione delle grandi aziende statali, alla Rai, alla sanità, ha sempre agito anzitutto nell’interesse del paese e solo in via secondaria per il proprio tornaconto. In questo Craxi gli fu secondo: troppi interessi provenienti dai territori infettarono il Psi, troppe istanze maligne della cosiddetta società civile influenzarono le scelte politiche. Troppi personaggi oscuri si aggiravano per via del Corso. Il socialismo italiano morì perché non aveva sufficienti anticorpi: crescendo faceva riprodurre anche i virus che l’avrebbero ucciso.  Se noi oggi abbiamo il PD, che in parte ha ereditato le idee, il modus operandi  e le contraddizioni del vecchio Pci, per quanto malconcio contraddittorio e neo liberista, lo dobbiamo proprio all’azione pedagogica di Enrico Berlinguer. Che oggi, purtroppo, si è persa come parole nel vento …


21 Luglio 2017


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