LA PROPOSTA ELETTORALE DI SINISTRA RIVOLUZIONARIA: INTERVISTA A CLAUDIO BELLOTTI
di Maurizio Zaffarano
Claudio Bellotti, anzitutto grazie
per la disponibilità a questa intervista. Cos'è Sinistra
Rivoluzionaria? Da chi è composta e cosa si propone? In quali
circoscrizioni elettorali sarà presente?
La lista è nata da una discussione che
abbiamo promosso sin dalla scorsa estate, rivolgendoci a numerose
organizzazioni e aree della sinistra proponendo una lista che avesse
una chiara identità classista, anticapitalista, contrapposta a ogni
ipotesi di coalizione di classe. Ne è nato questo fronte comune con
i compagni del Pcl. Nonostante i tempi molto stretti per la raccolta
di firme e le norme capestro della legge elettorale saremo presenti
sulla maggior parte del territorio nazionale.
Tra i giovani che si incontrano,
anche disoccupati e precari, anche abitanti delle periferie
degradate, ciò che sembra prevalere è l'idea che questo sia l'unico
mondo possibile e che sia impossibile trasformarlo nel senso
dell'uguaglianza e della giustizia sociale. Se dovesse spiegare ad un
giovane cos'è il Comunismo e cosa significa essere Comunista quali
parole userebbe?
In realtà si tocca con mano una enorme
rabbia e opposizione a questo sistema, anche se è vero che
l’alternativa non è direttamente visibile. Del resto una protesta,
o anche una rivoluzione, comincia quando le masse capiscono quello
che non vogliono più, anche se magari non hanno ancora chiaro cosa
vorrebbero.
Comunismo vuol dire molto semplicemente
il potere in mano a chi oggi è oppresso e innanzitutto ai
lavoratori. Il potere economico e politico, le grandi imprese, i
grandi capitali, il potere statale. Spazzare via quella minoranza
ristrettissima che accumula sempre più ricchezza e potere e usare
quelle risorse nell’interesse della maggioranza.
E se dovesse spiegare cos'è il
trotskismo a cui si ispirano entrambe le componenti di Sinistra
Rivoluzionaria, il Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Classe e
Rivoluzione?
Per noi il troskismo è la
continuazione del marxismo rivoluzionario. Vuol dire innanzitutto che
il socialismo non sarà una caserma burocratica come era la vecchia
Urss dai tempi di Stalin in avanti, in cui l’economia era
nazionalizzata e pianificata ma il potere politico era in mano alla
burocrazia e non certo alla classe operaia. Socialismo significherà
autogoverno dei lavoratori sull’economia e lo Stato.
Sinistra Rivoluzionaria considera le
elezioni solo un mezzo per propagandare la propria visione politica e
afferma l'impossibilità di trasformare la società attraverso le
istituzioni politiche liberali e nell'ambito della stessa
Costituzione. E che ciò può avvenire solo attraverso un processo
rivoluzionario. Ma rispetto ad una situazione sociale in cui prevale
la rassegnazione per l'esistente, ad un senso comune che ha assorbito
quasi totalmente i dettami del capitalismo (la competizione di tutti
contro tutti, l'individualismo, il mito del successo ad ogni costo,
il nemico di volta in volta individuato nello straniero o nel
“pubblico” inefficiente e corrotto contrapposto al “privato”
efficiente e razionale o nei vecchi “privilegiati” perché godono
ancora dei diritti sociali ereditati dai decenni passati) come si fa
a porre le condizioni per la Rivoluzione, come si fa a rovesciare i
rapporti di forza esistenti tra le classi sociali, come si fa a
condurre dalla propria parte le masse popolari? E' possibile agire
concretamente oppure si può solo testimoniare la propria “fede”
nell'attesa che d'incanto si presentino le condizioni per la
Rivoluzione?
Il senso comune di cui parli in realtà
è in forte crisi. L’idea dell’efficienza del sistema, per
esempio, è scossa alla radice dalla crisi del capitalismo. Così
come si è ormai capito che demolire i diritti dei cosiddetti
“garantiti” non serve a migliorare la condizione dei giovani o
dei precari ma solo a peggiorare la condizione di tutti. Oggi se
chiedi sanità o scuola pubblica la stragrande maggioranza è
d’accordo, le sbornie liberiste sono finite nella crisi del 2008.
Non è vero che la massa è rassegnata,
la grande massa dei giovani e dei lavoratori semmai è rabbiosa.
Rassegnati sono troppi attivisti della sinistra che si guardano
l’ombelico e rimpiangono i bei tempi passati.
Non si tratta di “condurre” le
masse, ma di contribuire alla costruzione del conflitto di classe.
La lotta è sempre possibile e
necessaria, non conta se in un dato momento il terreno è avanzato o
arretrato: c’è sempre una battaglia da condurre in cui possiamo
impegnarci. Questo può valere per una lotta sindacale, per una
protesta politica, una battaglia ambientale, per una lotta ideologica
e anche per una campagna elettorale.
Ma perché queste lotte abbiano un
senso non si può prescindere dalla nostra prospettiva generale. Non
abbiamo “fedi” ma certo abbiamo una fiducia indistruttibile nella
capacità della classe lavoratrice di cambiare il mondo.
Dentro ad un mondo socialista e
comunista ormai marginale nella coscienza popolare e nel dibattito
politico pubblico ha ancora senso dividersi in funzione
dell'appartenenza alle varie correnti storiche del comunismo? Non
sarebbe più efficace e proficuo unire le poche forze e le poche
risorse disponibili?
Io sono affezionato a un vecchio motto:
“marciare separati, colpire uniti”. Tradotto vuole dire: non
confondiamo programmi diversi, ma ogni volta che è possibile uniamo
le forze per una battaglia concreta contro l’avversario di classe.
Qual è la vostra opinione riguardo
al ruolo dello Stato, alla cosiddetta sinistra sovranista e alla
questione dell'uscita dall'euro, considerata da quest'ultima la
condizione necessaria (per alcuni addirittura la condizione
necessaria e sufficiente) per riprendere a realizzare politiche a
favore delle classi popolari?
Qualsiasi serio programma di difesa e
rilancio degli interessi dei lavoratori e delle classi popolari è
incompatibile con l’appartenenza all’Unione europea, come ha
dimostrato in modo inconfutabile l’esperienza del governo Tsipras.
Chi parla di riformare l’Europa, di “Europa dei popoli” o di
“Europa sociale” vende solo fumo. L’Unione europea non è una
struttura che può essere piegata a interessi di classe diversi. È
una istituzione poderosa che serve ad accentrare il potere economico
e politico del capitale, in primo luogo quello tedesco, in tutto il
continente.
L’errore dei “sovranisti” è
pensare che uscire dall’UE sia di per sé progressista e possa
aprire dei margini per politiche riformiste nell’interesse delle
classi popolari. La rottura con L’Ue può assumere un carattere
progressivo solo se è parte di un processo di rottura col
capitalismo, altrimenti non si esce dal vicolo cieco. Parlare di
“sovranità popolare” sotto il capitalismo è una illusione sia
sotto la bandiera stellata che sotto il tricolore.
Per questo diciamo “No all’Unione
europea capitalista, Sì a una federazione socialista”. Ma non si
può trasformare l’una nell’altra: per andare verso la seconda
bisogna demolire la prima.
Riguardo alle questioni di politica
internazionali. Qual è il vostro giudizio sui sistemi politici di
Cuba e del Venezuela di Chavez e Maduro? E qual è la vostra opinione
in merito al conflitto che ha insanguinato e dilaniato la Siria di
Assad?
La rivoluzione cubana ha rappresentato
un gigantesco passo avanti per il popolo cubano che va difeso senza
esitazioni. La leadership attuale tuttavia è sempre più impegnata
sulla cosiddetta “via cinese” che altro non significa che
apertura al capitalismo.
Quanto al Venezuela, c’è un riflusso
del movimento rivoluzionario sul piano politico e sociale. Pur con
mille contraddizioni Chavez aveva cercato di favorire la spinta del
movimento operaio e popolare, si pensi ad esempio all’appoggio che
diede al movimento di occupazione delle fabbriche. Maduro invece si
basa sempre di più sull’apparato statale, con le masse in una
posizione sempre più passiva. Un apparato statale che spesso
rappresenta una “borghesia in camicia rossa”, con una politica
economica caotica il cui peso si scarica sulle masse con una
iperinflazione incontrollata e il crollo del tenore di vita.
La lotta contro l’opposizione
golpista in Venezuela non può essere condotta sotto la direzione di
Maduro e del suo governo, è necessario un movimento di classe
indipendente che ne prenda la testa con misure classiste decise sia sul
terreno economico (espropriare l’oligarchia) che politico
(epurazione dell’apparato statale, sviluppo di organi di autentico
potere operaio e popolare).
In Siria il movimento del 2011 contro Assad, che era sorto come movimento popolare con chiare radici nel malcontento sociale per le politiche economiche del governo, è rapidamente stato soverchiato dalle forze islamiste sostenute dalle monarchie del Golfo, dalla Turchia, dagli Usa e da Israele. La guerra civile che ha devastato il paese è una responsabilità diretta di questi paesi e in particolare degli Usa.
In Siria il movimento del 2011 contro Assad, che era sorto come movimento popolare con chiare radici nel malcontento sociale per le politiche economiche del governo, è rapidamente stato soverchiato dalle forze islamiste sostenute dalle monarchie del Golfo, dalla Turchia, dagli Usa e da Israele. La guerra civile che ha devastato il paese è una responsabilità diretta di questi paesi e in particolare degli Usa.
Le forze islamiste tuttavia non sono riuscite a vincere innanzitutto perché la gran parte della popolazione non le sostiene e non vuole vivere sotto il loro governo. Mi riferisco non solo ai kurdi, ma anche a gran parte della popolazione araba e sunnita, compresi molti che non vogliono Assad ma sono assolutamente ostili all'Isis e ad Al-Quaeda.
La politica degli Usa in Siria e in Iraq e in tutta la regione è un catalogo di infamie e il caos sanguinoso di oggi è innanzitutto la conseguenza della loro criminale invasione dell'Iraq nel 2003. Hanno ingannato e tradito tutti, da ultimo i kurdi che sono stati dapprima usati e poi abbandonati di fronte all'offensiva turca. Politica criminale e miope al tempo stesso, visto che gli Usa hanno perso terreno a vantaggio dei loro avversari (Iran e Russia) mentre i loro alleati storici, a partire dai sauditi, sono in forte crisi.
Nessun problema è stato risolto per i lavoratori e i giovani in tutto il Medio oriente, anzi la regione è sprofondata nel caos e nella repressione. L'unica via d'uscita è una nuova primavera araba che questa volta vada fino in fondo nella lotta contro la classe dominante locale e contro le ingerenze dei paesi imperialisti; noi possiamo aiutarla se manteniamo una chiara posizione internazionalista anche qui in Italia.
Infine – domanda scontata ma
inevitabile – perché non avete partecipato alla lista di Potere al
Popolo? Al di là delle differenze ideologiche e strategiche, non
sarebbe stato più utile e proficuo – in una logica di entrismo e
per far meglio conoscere le vostre posizioni – partecipare ad un
raggruppamento più grande e visibile del vostro e con qualche
possibilità, difficile ma non impossibile, di superare il quorum del
3% e di portare qualche rappresentante in Parlamento?
Le nostre differenze con Potere al
popolo sono programmatiche e di fondo: al loro interno si è
affermata una linea di riformismo europeista che in sostanza ricalca
le posizioni del gruppo dirigente di Rifondazione e del Partito della
sinistra europea di cui il Prc fa parte. È la strada che ha portato
alla demolizione della cosiddetta sinistra radicale in Italia, alla
capitolazione di Tsipras in Grecia e che se riproposta non può che
portare a nuove sconfitte in Italia e in Europa. Si può usare tutta
la retorica “basista” di questo mondo (la “lista dal basso”,
“decide il popolo”, ecc.) ma la sostanza rimane quella.
Questo non significa che non ci possano
essere battaglie comuni, come dicevo in precedenza. Ma in questa
campagna elettorale il primo obiettivo credo debba essere chiarire
ciascuno nel modo migliore il proprio programma e la propria
prospettiva.
C’è sempre un “voto utile” che
ti viene agitato contro: il Pd lo usa contro Liberi e Uguali, Leu
contro Potere al popolo e qualcuno di Potere al popolo contro di noi.
Sinceramente è un argomento patetico.
Abbiamo raccolto oltre 20.000 firme,
abbiamo parlato e continuiamo a parlare con migliaia di persone: è
tutto da dimostrare che questo lavoro generoso di centinaia di
compagni sia meno efficace che sostenere una lista dal programma
confusamente riformista. Personalmente penso l’esatto contrario!
Condivido in buona sostanza l'analisi teorica, meno quella di metodo. Credo che l'errore generale dei comunisti oggi, sia di sottovalutare il folklore e l'influenza ideologica con cui la borghesia domina l'attuale panorama politico. Bisogna,a mio avviso,si dare centralita' al fattore strutturale della crisi,ma al tempo stesso riconsiderare la piena forza del dominio ideologico, culturale e psicosociale nella nuova societa' borghese.l'attuale societa' debordiana non e' la societa' fordista del secolo scorso, la coscienza di massa attuale non e' quella,ahime',del promettente XX secolo. ridisegnare a sinistra, strumenti popolari che siano espressione dell'attuale senso comune, capaci di prendere sotto braccio I giovani, collocandoci noi sulla loro lunghezza d'onda e proiettando loro su una nuova esperienza di prassi rivoluzionaria. In pratica, per farci conoscere e accettare dobbiamo saper parlare la loro lingua, non imporre a loro la nostra.
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