POTERE AL POPOLO:
UN CONTRIBUTO PER L'ASSEMBLEA DEL 18 MARZO
di Maurizio Zaffarano
Un commento sulle elezioni del 4 marzo e sulle possibili prospettive future di Potere al Popolo
Il primo inequivocabile dato che è emerso dalle elezioni del 4 marzo è quello della rabbiosa e rancorosa richiesta di cambiamento del popolo italiano. Lega e Cinque Stelle raggiungono insieme circa il 50% dei voti, se ad essi sommiamo altre forze di opposizione radicale o antisistema, di destra e di sinistra che non hanno superato il quorum emerge che la larga maggioranza di chi si è recato alle urne ha espresso questa richiesta. E' il risultato di un Paese da almeno trent'anni in inesorabile declino in cui la macelleria sociale e la cancellazione dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte - in contemporanea allo smantellamento della struttura produttiva italiana innescato dalla globalizzazione capitalistica, dai diktat liberisti della UE e dalla partecipazione all'euro - si è innestata su di una struttura politico-burocratico-amministrativa ed imprenditoriale che è restata arretrata, inefficiente, corrotta, impregnata di familismo, collusa assai frequentemente con le mafie.
E' sufficiente, ahimé, girare in questi giorni per le strade di Roma devastate dalle buche per qualche giornata di neve e pioggia, pensare alle condizioni delle zone terremotate del centro Italia tormentate dalla neve e dal gelo, trovarsi nel girone infernale di un Pronto Soccorso o alle prese con le bibliche liste di attesa delle prestazioni sanitarie pubbliche per toccare con mano la realtà di un Paese che non è più in grado di far fronte nemmeno alle sue funzioni e necessità fondamentali.
La condizione reale del Paese è quella che emerge da tutti gli indici statistici: milioni e milioni di persone sotto la soglia di povertà e che hanno dovuto rinunciare a curarsi, disoccupazione, precariato, invecchiamento, mortalità e nuovi nati, abbandoni scolastici e universitari, mezzogiorno, deindustrializzazione delocalizzazioni e shopping di aziende nazionali da parte di soggetti stranieri e si potrebbe andare avanti a lungo.
Rispetto a questa drammatica condizione reale non vengono più accettate le vecchie rappresentazioni e narrazioni politiche: centro sinistra e centro destra, la promessa che stiamo uscendo dalla crisi per uno zero virgola in più qui o li, che abbiamo bisogno di più Europa, che l'immigrazione è solo una risorsa e non anche un ulteriore problema sociale, che i problemi si risolvono con i bonus o tagliando qualche tassa.
Da qui la crisi irreversibile della “vecchia” politica del Partito Democratico di Renzi (ma anche dei trasfughi di D'Alema e Bersani) e di Forza Italia di Berlusconi. Questo ce l'avevano detto anche le elezioni amministrative degli ultimi anni e soprattutto il referendum costituzionale del dicembre 2016 (nel quale è stato determinante il ruolo di Lega e 5 Stelle) laddove i cittadini avevano rifiutato esplicitamente la “normalizzazione” istituzionale in coerenza con la struttura del “sistema”, propagandata come indispensabile dall'establishment politico-economico e dal mainstream informativo.
Da qui il fatto che la disperazione montante faccia sì che ci si aggrappi a qualunque promessa di cambiamento. Se vogliamo anche il 40% di Renzi alle Europee del 2014 poteva essere letto così: la percezione del cambiamento attraverso un tangibile provvedimento, ancorché inefficace e iniquo nell'esclusione proprio dei più poveri, a favore dei lavoratori di livello medio-basso quale il bonus degli 80 euro, la prima concessione sociale dopo anni e anni di macelleria sociale. Dopo sono venuti jobs act, buona scuola e la perpetuazione delle politiche di austerità e dunque il crollo del renzismo.
Il secondo inequivocabile dato di queste elezioni (ma non solo di queste elezioni) è che la rabbia sociale degli esclusi e degli impoveriti e la richiesta di cambiamento non si rivolge alla Sinistra. Al di là di invettive e accuse di razzismo, fascismo, dilettantismo e analfabetismo politico, di essere il sostegno occulto del sistema nei confronti di 5 Stelle e Lega, al di là del fatto che noi riteniamo sbagliato il voto a tali partiti, questo è il dato sostanziale. Questa è la conseguenza della cultura e del senso comune dominanti nel nostro Paese (e in questo senso nulla è cambiato rispetto alle elezioni del 2013). Un senso comune nel quale influisce ben poco la campagna elettorale (quella può incidere per qualche punto percentuale a favore di questo o di quello) ma che è stato costruito negli anni (ad esempio nei miti dell'individualismo e del consumismo, del “privato” efficiente e del “pubblico” sprecone o nella drammatizzazione irrazionale del debito pubblico, veicolati soprattutto attraverso la narrazione televisiva: le “vite in diretta”, i reality, le domeniche televisive, il “giornalismo” in stile Striscia la Notizia e Le Iene, l'ossessione per la cronaca nera, il calcio e lo sport a tutte le ore del giorno e della notte, il cinema e la fiction che oramai rarissimamente raccontano la sofferenza delle persone comuni).
Grillo e Casaleggio sono stati capaci di cavalcare con straordinaria efficacia (la rete, la casta, la denuncia delle bugie del mainstream informativo, i vaffanculo) questo senso comune. A sua volta Salvini ha costruito il proprio risultato elettorale partecipando per anni quasi quotidianamente alle trasmissioni televisive (perché corrispondeva all'interesse del “sistema” creare il “pericolo” Salvini) e dettando così l'agenda della politica.
Poco importa quello che rappresentano realmente 5 Stelle e la Lega: per gli elettori ha contato l'involucro esterno e cioè la possibilità/speranza di un cambiamento e di poter dare un calcio nel sedere alle vecchie classi dirigenti. E' quello che è stato definito il conflitto alto-basso, popolo vs. oligarchie nel quale però mancano, per poter realizzare davvero una reale trasformazione sociale ed una uguaglianza sostanziale, la prospettiva e la promessa di un controllo collettivo sull'economia.
Dentro questo contesto culturale e del sentire comune ha ben poco senso rimproverare a Potere al Popolo errori nella comunicazione, nei singoli punti del programma, nel simbolo, nell'efficacia dei portavoce. La Sinistra perde ovunque e comunque (il peggior risultato della storia repubblicana): il radicalismo di Potere al Popolo all'1,1, il trotskismo di Sinistra Rivoluzionaria (PCL e Falce e Martello) allo 0,1, il comunismo duro e puro di Marco Rizzo allo 0,3, il riformismo di Vendola e D'Alema appena sopra il quorum nonostante partisse da una estesissima componente parlamentare e potesse contare su personaggi di livello nazionale (Bersani, Grasso, Boldrini).
E mentre i cosiddetti sovranisti di sinistra, appollaiati sui social in attesa degli insufficienti risultati elettorali delle liste della Sinistra radicale e assisi sulle proprie cattedre virtuali a pontificare su come deve essere la Sinistra, non riescono nemmeno (non hanno nemmeno il coraggio di provare) a raccogliere le firme per presentarsi alle elezioni, persino se per assurdo considerassimo Sinistra (quella “moderna”) i liberisti di Renzi e della Bonino resteremmo tra le macerie della sconfitta. Non si può nemmeno affermare che questo è qualcosa di comune (la crisi della Sinistra – vista nel suo complesso - in quanto corresponsabile o complice della globalizzazione capitalista) a tutto il mondo occidentale: esiste una specificità tutta italiana.
Nel Regno Unito abbiamo Corbyn, in Francia Mélenchon, in Grecia Syriza (con tutto il male che possiamo pensarne ed oltre a loro gli stalinisti del KKE), in Germania la Linke, in Spagna Podemos e Izquierda Unida, in Portogallo governa una coalizione formata da socialisti e comunisti, persino negli Stati Uniti c'è Sanders. Forze politiche il più delle volte di opposizione ma che comunque assicurano una presenza dignitosa alla Sinistra. In Italia (almeno in termini elettorali) il nulla.
Preso atto, prima ancora prima degli insufficienti risultati elettorali, della marginalità culturale nella nostra società attuale delle idee comuniste e socialiste la cosa che ci possiamo e dobbiamo comunque rimproverare è l'aver messo in campo per l'ennesima volta una proposta elettorale a pochi mesi dal voto (dopo l'Arcobaleno, Rivoluzione Civile, l'Altra Europa per Tsipras).
Al di là delle critiche politiche che si possono muovere ad ognuna di queste specifiche esperienze, i motivi di questa ricorrente scelta suicida (proporre un nome e un simbolo nuovo e sconosciuto a pochi mesi dal voto) meriterebbero a loro volta delle analisi approfondite (psicoanalitiche e politologiche o più semplicemente sulle strategie personali di questo o quel leaderino (o di questa o quella organizzazioncina) che attende fino all'ultimo l'occasione per il miglior posizionamento personale o del proprio gruppo per poter infine dare il via libera alla proposta elettorale). La visibilità e la partecipazione di massa si conquistano negli anni, attraverso un lavoro politico e sociale lungo e difficile. Soprattutto per noi che per affermare le nostre idee ed i nostri valori dobbiamo andare controcorrente e scalare le montagne.
Usare ad ogni elezione un simbolo nuovo e sconosciuto rende tutto più difficile ed è inutile poi stare a lagnarsi che non abbiamo possibilità di esprimerci in modo sufficiente in televisione, sui giornali o addirittura di essere censurati anche sui social network: questa è la condizione oggettiva in cui bisogna lavorare (perché se vuoi contestare e rovesciare il sistema non puoi immaginarti che il sistema ti dia gli strumenti per farlo).
Stante queste premesse (e quella fondamentale è, come scrive Militant Blog, che le elezioni fotografano la realtà non servono a cambiarla), è utile continuare con l'esperienza di Potere al Popolo?
Per rispondere a questa domanda è necessario a mio avviso anzitutto dirci cosa significano realmente le elezioni, almeno nell'epoca presente. E cioè che le elezioni rappresentano una manifestazione truffaldina della democrazia (cioè del potere del popolo): perché di fatto il potere di decidere da parte delle istituzioni democratiche elette dai cittadini è stato espropriato dal grande capitale sovranazionale (anche attraverso i cosiddetti mercati) e delle istituzioni che lo rappresentano (BCE, Commissione Europea, FMI, WTO, ecc.), perché sono truffaldini i meccanismi tecnici con cui si forma la rappresentanza popolare (il sistema elettorale maggioritario e le soglie di sbarramento, il ricatto del “voto utile” che impedisce il libero esercizio del voto, l'impossibilità per gli elettori di poter scegliere tra i candidati dei singoli partiti), perché è intollerabile la disparità della disponibilità di risorse tra le varie forze in campo per poter comunicare le proprie proposte e le proprie visioni. La conquista del consenso nelle elezioni a favore di soggetti che poi non potranno che essere gli esecutori di decisioni prese da altre entità ha ormai assunto le caratteristiche di una grande operazione di marketing, della vendita di una “merce” (la vendita della “merce” più desiderata qualunque essa sia e non la proposta di una visione e di un progetto, una vendita che è preparata senza soste e ben prima del periodo elettorale) con tutte le distorsioni che ciò comporta per i cittadini in termini di consapevolezza e di civismo democratico. Una logica mercantilistica che è totalmente fuori dalle corde di una Sinistra di Alternativa: anche se volessimo non saremmo comunque capaci di perseguirla.
L'obiettivo primario della Sinistra non può e non deve dunque limitarsi alle elezioni. L'obiettivo primario della Sinistra deve essere quello di ricostruire una grande organizzazione sociale di massa, in grado di riportare al centro del dibattito pubblico i bisogni e le istanze popolari (in direzione dell'uguaglianza e della giustizia sociale) e i mezzi per realizzarli (la partecipazione diretta dello Stato nell'economia e la collettivizzazione dei mezzi di produzione): è attraverso questa forza popolare che sarà possibile lottare per i propri obiettivi e la propria visione, nelle elezioni e al di fuori delle elezioni, e se un giorno arriverà la guida del governo per difenderlo dalla reazione. Una grande organizzazione sociale di massa non potrà che fondarsi su di una rete di iniziative cooperative e mutualistiche (parole di cui da anni si parla a sinistra ma per i quali non si sono ancora fatti passi concreti in avanti) diffuse sul territorio, nelle periferie, nei luoghi di lavoro, nei luoghi del disagio e della sofferenza. Una grande organizzazione sociale di massa – fatta di persone in carne ed ossa da guardare negli occhi e di luoghi fisici in cui incontrarsi - quale unico modo attraverso cui ricominciare a parlare e ad incontrare le persone, condividendone i problemi e offrendo soluzioni, sostenendone e promuovendone le lotte, riconquistandone la fiducia e la partecipazione attiva alla vita politica. Per ricostituire una grande comunità di popolo, senza dover dipendere dalle televisioni e senza illudersi che esistano messaggi politici che magicamente possano ridare una dimensione di massa alla Sinistra.
Ecco Potere al Popolo è l'unico soggetto a Sinistra che potrebbe assumersi tale compito. Perché la Sinistra, quella che vuole costruire un'alternativa di sistema senza paura di sporcarsi le mani e senza cedere a settarismi o a governismi ed altroeuropeismi o la cui unica occupazione sia quella di tirare letame addosso ad ogni lista comunista che abbia il coraggio di presentarsi alle elezioni, è qui. E' la Sinistra composta da uno zoccolo duro di militanza e di attivismo – nei numeri equivalente a quello di un grande partito – che con generosità ed entusiasmo ha condotto la campagna elettorale di Potere al Popolo. Ed è la Sinistra di cui alcune centinaia di migliaia di persone hanno avuto la consapevolezza e la capacità di riconoscere la proposta politica anche senza tv.
Se vi sarà la lungimiranza di dare priorità all'azione sociale, l'alleanza tra centri sociali, Rifondazione Comunista, PCI, Rete dei Comunisti, Risorgimento Socialista deve continuare. Buttare via tutto questo (il bambino con l'acqua sporca) per ricominciare ancora una volta da capo sarebbe un tragico errore. Il simbolo e il nome possono piacere o meno (personalmente aggiungerei in basso al simbolo “Socialisti e Comunisti uniti per l'Alternativa”) ma il mantenerlo è la condizione per non disorientare nuovamente l'elettorato. E c'è la necessità di un partito organizzato e strutturato (a cui servono tesseramento, sezioni, centri studi, quadri dirigenti), con una collocazione politica di totale estraneità rispetto al PD e ai suoi vecchi sodali (SEL/SI e Bersani/D'Alema), con una posizione di chiara e netta opposizione alla dittatura della UE e dell'euro, con una strategia di comunicazione incentrata su pochi e inequivocabili temi con l'obiettivo di far (ri)entrare nella coscienza collettiva la consapevolezza che i drammi sociali che viviamo sono diretta conseguenza del sistema capitalistico.
E' evidente che c'è una lunga marcia nel deserto da percorrere ed esiste un immenso lavoro da svolgere senza alcuna certezza di raggiungere la meta e per il quale serviranno anni. Ma personalmente, purché si voglia far prevalere la direzione politico-sociale su di uno sterile partitismo, non vedo altro punto da cui oggi poter partire.
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