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sabato 17 marzo 2012

LA GIUSTIZIA DEL RE di Stefano Santarelli




                        LA GIUSTIZIA DEL RE
                         di Stefano Santarelli


Sulla collina di Montmartre vi è una statua che raffigura un giovane gentiluomo del ‘700 e sotto il classico tricorno si riesce ad intravedere un volto coraggioso e nobile anche se il suo sguardo sembra perso nel vuoto.
Questo ragazzo di soli diciannove anni si chiamava François-Jean Lefebvre, Cavaliere de la Barre, e fu protagonista suo malgrado di un grave affare di cronaca che lo portò al patibolo. Egli fu l’ultimo condannato a morte per blasfemia nella terra di Francia.
Questa statua ha assunto lo stesso valore simbolico contro l’intolleranza religiosa di quella dedicata al nostro Giordano Bruno che si trova nella celebre piazza romana di Campo de’ Fiori ed ha avuto una vita travagliata.
Infatti venne eretta nel 1905 davanti alla Basilica del Sacro Cuore e spostata nel 1926 nella piazza vicina a causa delle proteste dei cattolici. Nel 1941 con la Repubblica di Vichy venne rimossa e quindi fusa. Nel 2001 infine una nuova versione di questa statua è stata rimessa a Montmartre.
Una statua quindi con una storia travagliata come lo fu il caso che condusse alla tortura prima e poi alla decapitazione il giovane Cavaliere de la Barre. Un caso giudiziario che prefigura sotto molti aspetti l’affaire Dreyfus e che fu duramente contestato da Voltaire, Diderot e da tutti gli altri illuministi i quali metteranno in evidenza l’arbitrarietà della giustizia del XVIII secolo.
E’ necessario ricordare che nell’Ancien Régime la giustizia era un prolungamento della funzione reale e non era possibile contestarla o criticarla. Per diritto la procedura era segreta ed i giudici non dovevano motivare la loro sentenza. Oltretutto il codice di procedura penale non ammetteva il diritto alla difesa e non vi erano quindi avvocati che potevano difendere un accusato.
La difesa che compie Voltaire come gli altri illuministi è quindi costretta a svilupparsi fuori dal processo vero e proprio. Voltaire interviene come “philosophe observateur” ed è a questo titolo che scatena la sua denuncia legittimando la sua azione. Ricordiamo che due anni prima questo grande filosofo era intervenuto nel caso “Jean Calas”, un ugonotto che venne giustiziato per un omicidio che non aveva commesso. In quel caso aveva ottenuto un nuovo giudizio e la riabilitazione della memoria del condannato ed il Parlamento di Tolosa aveva dovuto sconfessare la sua azione.
Era per la Francia del XVIII secolo un avvenimento epocale. Oltretutto va sottolineato che la battaglia pubblica di Voltaire nel processo “Calas” rappresentava una vera innovazione sia nel campo giuridico che in quello politico,
Ed è quindi proprio nella sua veste di filosofo che Voltaire interviene di nuovo pubblicamente, ma questa volta però con scarsa fortuna, nel processo del Cavaliere de La Barre.

Tutto inizia il 9 agosto del 1765 quando venne trovato deturpato un crocefisso in legno che si trovava nel pont neuf di Abbeville, una piccola cittadina della Piccardia.
Nelle cronache locali venne  descritto il danno subito da questo crocefisso il quale era stato tagliato in vari punti “da uno strumento tagliente” che aveva provocato alla gamba destra “tre tagli di più di un pollice di lunghezza ciascuno e profondi quattro linee” e “due tagli accanto allo stomaco”.
Un danno come si può intuire in fondo molto minimo e che come  verrà ricostruito in seguito fu provocato quasi sicuramente da un carro carico di tronchi di legno che aveva urtato questa statua.
Il giudice constatato il fatto apre una inchiesta ed in questa cittadina l’emozione per questo atto “sacrilego” è profonda e ci si interroga su chi possa essere stato a commettere tale atto e per più di un anno non si parla d’altro.
Il Vescovo d’Amiens, Louis-François d’Orleans de la Motte, compie una cerimonia di “riparazione” a piedi nudi in presenza di tutti i dignitari della regione dando così una importanza a questo episodio che certamente non meritava.
 A questo punto bisognava assolutamente trovare i colpevoli e li si individua in tre giovani gentiluomini: il Cavaliere de la Barre, Gaillard d’Etallonde e Moisnel.
Gli accusati hanno una età compresa fra i 15 e i 21 anni ed appartengono alle migliori famiglie della città le quali occupavano le più importanti cariche istituzionali. Il Cavaliere de la Barre tra l’altro è imparentato con i Séguier ed i D’Ormesson,  celebri famiglie di magistrati parigini. E sia gli accusati che gli accusatori sono tutti membri della nobiltà locale.
Voltaire ricostruisce questo folle caso giudiziario e ci basiamo proprio sulla sua inchiesta che lo costringerà poi ad una fuga dalla Francia.
Il Cavaliere de la Barre  per difendere la zia da “attenzioni” non richieste si è inimicato un sessantenne di nome  Belleval, responsabile di un tribunale preposto per riscuotere le imposte.
Ed è questo personaggio che fa notare lo scandaloso comportamento dei tre giovani gentiluomini.
Effettivamente questi tre giovani gentiluomini durante una processione non si erano inginocchiati, né si erano scoperti il capo. Ma queste sono le uniche cose che si possono rimproverare loro visto che sul danneggiamento del crocifisso non si era scoperto nulla, nessun testimone aveva visto l’atto o incontrato qualcuno che l’avesse visto. Ma  nella camera da letto del Cavaliere de la Barre  vengono trovati però libri “licenziosi”, impreziositi da incisioni ed una copia del “Dictionnaire philosophique” di Voltaire. Erano libri acquistati e venduti clandestinamente a causa del divieto reale di stamparli e di venderli.
Viene quindi presentato un secondo capo di accusa questa volta per blasfemia formulato dallo stesso tribunale di Abbeville.
E sulla base di queste risibili accuse vengono arrestati i nostri tre gentiluomini a cui segue quella, con ironia del fato, proprio del figlio di Bellaval. Quest’ultimo e D’Ettalonde riescono a fuggire dalla Francia mentre il Cavaliere de la Barre e Moisnel vengono condannati a morte dal Tribunale di Abbeville.
Viene chiesto anche l’arresto di Voltaire come istigatore con il  suo “Dictionnaire philosophique” della profanazione del crocefisso. Questo costringe il grande illuminista a doversi rifugiare in Svizzera e poi a domandare asilo a Federico II, Re di Prussia.

Intanto de la Barre e Moisnel, che ha appena quindici anni, presentano appello al Parlamento di Parigi e nel marzo del 1766 vengono trasferiti alla Conciergerie di Parigi.
Moisnel viene discolpato dal Cavaliere de la Barre ottenendo una pena minore mentre quest’ultimo viene condannato a morte. Nonostante la parentela influente che poteva vantare il nostro giovane Cavaliere non riuscirà comunque ad ottenere la grazia di Luigi XV.

Il reato contestato al nostro povero de la Barre era quello di blasfemia, un reato che era caduto in disuso e come ricorda Voltaire “non esiste in Francia una legge che condanna a morte per blasfemia”, infatti l’ordinanza del 1666 la puniva con una ammenda.
Ma nella Francia dell’Ancien Régime la nozione di blasfemia e di empietà non riguardava soltanto il terreno religioso, ma anche la costituzione politica del regno e dell’organizzazione sociale. Cioè la base della sovranità stessa: il concetto della monarchia come diritto divino. E’ la reciproca relazione  che si davano tra di loro la Chiesa e la Monarchia e che costituiva il fondamento dello stato. La tradizione  attribuiva poteri miracolosi ai sovrani francesi nel momento dell’incoronazione e delle grandi feste cristiane (Pasqua, Natale, ecc).
Rimandiamo a questo proposito al celebre libro di Marc Bloch I Re taumaturghi  dove il grande storico francese studia questa credenza.
Infatti si riteneva che il Re avesse il potere di guarire malattie ed in particolare le scrofole. Era questa una tradizione che era stata  incoraggiata e voluta dalla stessa Chiesa la quale non vedeva in questo carattere di santificazione della figura reale un carattere di usurpazione del clero, ma anzi un omaggio alla religione. Potere temporale e potere spirituale sono quindi la base di un Ancien Régime che però proprio sotto il regno di Luigi XV inizia a manifestare le prime crepe facendo intravedere l’alba della grande Rivoluzione, ricordiamo infatti  che "Les chaînes de l'esclavage" di Marat è del 1774.
Voltaire quindi  attaccando il concetto stesso di blasfemia aveva attaccato il cuore stesso del sistema politico francese. Era perciò un passo per la separazione tra la Chiesa e lo Stato, anche se è giusto sottolineare che in realtà il grande filosofo non attaccava la monarchia in quanto tale, ma il legame tra il prete ed il Re.

Il processo del giovane Cavaliere de la Barre si colloca nel mezzo di due editti reali: quello che bandisce i gesuiti dal Regno e la condanna contro l’Encyclopédie  cioè contro l’Illuminismo.
Entrambi, gesuiti ed illuministi, pur nella loro diversità volevano rinnovare il principio della sovranità nell’esercizio e nel principio monarchico. Questa necessità del rinnovamento della formula monarchica sarà tra l’altro uno dei motivi di fondo che porteranno alla convocazione degli Stati Generali nel 1789.

Ma ritornando al processo, Moisnel venne discolpato dal Cavaliere de la Barre ottenendo una pena minore mentre quest’ultimo venne condannato a morte. Ricondotto ad Abbeville verrà decapitato il 1 luglio del 1766 dal boia Sanson lo stesso che tredici anni dopo taglierà la testa a Luigi XVI. Questa decapitazione sarà preceduta dalla tortura e poi dall’amputazione della mano destra e della lingua. Il suo cadavere verrà bruciato insieme ad una copia del Dictionnaire philosophique di Voltaire.
Le cronache del tempo ci hanno tramandato le sue ultime parole: 
"Je ne croyais pas qu’on pût faire mourir un jeune gentilhomme pour si peu de chose

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Bibliografia :

E.Claverie  -   L’affaire du Chevalier de la Barre: naissance d’une forme politique

M.Gallo -       Que passe la justice du roi. Vie, procès et supplice du Chevalier de la Barre -Versaille-2011
                      



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