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venerdì 21 settembre 2012

45 MORTI PER IL 22% DI AUMENTO: SCONFITTA O VITTORIA PER I MINATORI SUDAFRICANI?



di Lorenzo Mortara
delegato Fiom-Cgil


Dopo 5 settimane, 45 morti e un mare di sangue generosamente offerto dall’apartheid liberale che ha sostituito dal 1994 l’apartheid razziale, s’è concluso con un aumento del 22% dei salari, lo sciopero dei minatori africani cominciato ad Agosto. L’accordo è stato raggiunto tra la multinazionale britannica Lonmin, padrona delle miniere di platino, e il Num, il maggior sindacato di categoria. Non ha firmato invece l’Amcu, il sindacato nato alla fine degli anni ’90 da una scissione del Num e che ha trainato la lotta. Proprio per questo, può darsi vi siano strascichi della protesta. Ma per quanto l’Amcu possa provare a proseguire da solo, tutto lascia supporre che qui, almeno per ora, si sia messa la parola fine a questa lunga lotta. E qui, dunque, bisogna trarre un primo bilancio. La domanda che sorge spontanea è: vittoria o sconfitta per i minatori africani?
È difficile valutare da qui tutte le implicazioni di una lotta così efferata, ma pur con molta prudenza qualche considerazione possiamo provare a farla. Il rischio, per una avanguardia intellettuale che è in grado di vedere il problema sotto tutti gli aspetti e che ha un ideale molto più alto di un semplice aumento salariale, è quello di non riuscire a misurare il risultato sulla base concreta delle condizioni materiali e intellettuali dei lavoratori che sono in scesi in lotta.
1200 dollari avevano chiesto i lavoratori, il 200% di aumento. Ne hanno portati a casa circa 150, il 22%. Se giudichiamo in base alla differenza, potremmo valutare il risultato, poco più di un decimo del richiesto, come una miseria. Ma non si chiedono 1200 dollari di aumento per portarli a casa tutti, si chiede il 200% di aumento per mettere il massimo della pressione addosso ai padroni.
Il 22% di aumento, tra premi e indennità, porterà 150 dollari in più al mese, nelle tasche di chi fino ad oggi ha preso il minimo sindacale, 450 dollari. Per queste persone l’aumento sarà del 33%. E un aumento secco di 100-150 dollari nelle tasche di un minatore sfruttato per 450 dollari, è un cambiamento enorme, perché il minatore sentirà sulla sua pelle il miglioramento, sentirà cioè che la lotta ha pagato, eccome. E in effetti sembra proprio che all’accordo raggiunto i minatori, prima del rientro nella miniera, si siano dati alla festa. Ed è giusto che sia così. I lavoratori hanno un modo tutto loro di subire, vincere, lottare, soffrire e gioire, e se non si entra in sintonia con questo modo di vedere le cose, si corre il rischio di perdere il polso della situazione. Per capire l’importanza del traguardo raggiunto, basta fare il raffronto con una busta paga italiana da 1200 euro. Se qua conquistassimo un aumento compreso tra il 22 e il 33%, porteremmo a casa tra i 264 e i 400 euro. Un trionfo! Landini sarebbe portato a spalla per il resto delle sue manifestazioni. Alla Camusso spargerebbero petali di rose attorno ad ogni suo passo. È quindi molto probabile che i minatori africani abbiano salutato l’accordo come una vittoria, ed è per questo che alla fine hanno votato a maggioranza a favore dell’accordo, per quel loro senso pratico che da sempre è la loro caratteristica migliore. Ed è giusto che sia così perché non potrebbe essere diversamente. Dopo 5 settimane di guerra, 300 litri sangue, grosso modo due morti per ogni percentuale di aumento, tanto è il prezzo dell’emancipazione dalla schiavitù capitalistica, il risultato ottenuto non è affatto da disprezzare. Con un aumento del genere in capo a meno di 3 mesi, con qualche straordinario, gli operai avranno recuperato quel che hanno messo in gioco, e saranno già in attivo. Curate le ferite, preso un attimo di respiro, potranno riprendere la lotta galvanizzati dal successo. La fiducia in sé stessi crescerà vertiginosamente, sempre che questa prima importante vittoria venga usata correttamente dai vertici sindacali. E qui potrebbe esserci la prima crepa nelle file dei minatori. L’Amcu, non avendo firmato l’accordo, rischia di pregiudicare il suo futuro. È indubbio che la spinta dell’Amcu sia stata decisiva nella vertenza. Il Num, come tutti i sindacati burocratizzati, si è mosso controvoglia, più per non perdere il contatto con le masse che altro. Se il Num avesse spinto al massimo come l’Amcu, i minatori avrebbero ottenuto molto di più. Tuttavia, pur rimarcando il suo ruolo di riformista e pompiere, non bisogna comunque dimenticare che il Num ha 300˙000 iscritti, mentre l’Amcu, il sindacato dei lavoratori più sfruttati, solo 50˙000. Il rapporto è di 6 a 1 a favore del Num. Trascinati nella bolgia della lotta, la maggior parte dei lavoratori, non starà a guardare a queste sottigliezze. Quel che vedrà è che l’accordo ha portato sensibili miglioramenti e tenderà a serrare i ranghi attorno al sindacato più grosso. Il Num che meno merita gli applausi per la vittoria, è destinato a raccoglierne i frutti. Sopratttuto adesso che l’Amcu non ha firmato. L’Amcu ha tutto da guadagnare da una simile lotta, ma a patto che non si isoli dalle masse. Con un rapporto ancora così sfavorevole rispetto al Num, forse sarebbe stato più saggio accettare l’accordo come una tappa sul suo cammino. L’Amcu ha già fatto molto riuscendo, con un piccolo gruppo, a trascinare alla lotta le grandi massi. Ora non deve voler strafare al di sopra delle sue forze. Rientrare nell’accordo può significare per l’Amcu continuare a restare incollato alle masse e continuare a pungolare il Num. Così rischia solo la repressione per niente. Con una buona tattica e un po’ di diplomazia, tenendo conto del ricordo che la multinazionale avrà dello sciopero e della paura che ricominci, non dovrebbe essere molto difficile coi prossimi accordi migliorare le condizioni abitative e di sicurezza e raddoppiare nel giro di un paio d’anni la condizione dei minatori. Il rischio, non avendo l’Amcu firmato, è che il Num non avendo più la spina nel fianco, passata la burrasca, pian piano si risieda e addormenti di nuovo la lotta. Senza più l’Amcu tra i piedi, il Num userà questa lotta per fregiarsi il petto con mille decorazioni, lasciando che pian piano la situazione si accomodi sulle poltrone dei burocrati.
È già successo molte volte che gruppi minoritari abbiano dato il via ad esplosioni di lotta che sembravano doverli trasformare in gruppi di massa. Il rifiuto però di determinati compromessi ha ricacciato indietro queste piccole formazioni e riportato in auge i burocrati. Il caso più significativo che fa al caso nostro è la stagione di lotte del 1968-69. Cominciate grazie alla spinte dei primi Cub furono portate al successo dalle burocrazie sindacali che nel frattempo si erano spostate a sinistra ed erano venute parzialmente incontro alle richieste dei lavoratori. Vedendo il ruolo comunque frenante delle burocrazie, Lotta Continua e altri gruppuscoli dell’estrema sinistra finirono col giudicare come bidoni il contratto del 1969 e lo Statuto dei Lavoratori conquistato nel 1970. In questo modo si consumò di fatto la rottura tra loro e la base operaia che vide quelle conquiste come vittorie assolutamente importanti. La burocrazia poté così recuperare consensi e riprendere in mano la situazione. Indubbiamente, nello Statuto dei Lavoratori c’è anche la presenza riformista di chi usa determinati diritti per ingabbiare le lotte. Un esempio tipico è l’articolo 19 e la costituzione delle RSA nominate dalle burocrazie e non elette democraticamente dai lavoratori. Ma una conquista pura non esiste e chi l’aspetta per firmare un accordo è destinato a non firmare mai niente. Quello che conta nello Statuto dei Lavoratori come in ogni altra conquista è se la parte buona superi di gran lunga la parte non buona. Ed è indubbio che in quelle conquiste la parte progressista schiacci di gran lunga la parte reazionaria, come è altrettanto indubbio che il contratto del 1969 fu il miglior contratto dal dopoguerra a oggi. Portò a casa il quadruplo del precedente contratto e la riduzione dell’orario con l’eliminazione progressiva del sabato. Un po’ come se oggi Fiom-Fim-Uilm, portassero a casa 400 euro d’aumento e le 35 ore entro il 2016. Quale lavoratore boccerebbe un tale accordo dopo le 100 miserabili euro regalate per l’ultimo triennio dal contratto separato di Fim e Uilm?
L’Amcu condivide con le Cub sessantottine alcune sue concezioni di fondo che sono anche i suoi limiti. Il Num affiliato al Cosatu è legato all’African National Congress (ANC), il partito di Mandela e di Governo ormai marcio fino al midollo capitalistico. Anche il Partito Comunista (Sacp) ovvero stalinista è legato al Num e, come da tradizione stalinista, all’appoggio dell’ANC. Non stupisce quindi che il Sacp abbia subito accusato di teppismo la radicalità dell’Amcu. Sono queste vergogne del movimento operaio ad aver portato forse l’Amcu a dichiararsi apolitico e non comunista, cioè a farne un sindacato anarchicheggiante. Ma anche se forse non è colpa sua, ma più dello schifo che gli sta accanto, l’Amcu con il suo anarchismo di fondo ha la tendenza a chiudersi a riccio in sé stesso. Ed è per questo in fondo che l’Amcu non ha firmato, perché lo spirito anarchico vede meno i rapporti di forza e più le questioni di principio. E le questioni di principio segnano quasi sempre l’inizio della fine per chi ne abusa. La fine dell’Amcu per ora comunque è solo un’ipotesi e non è affatto detto che pian piano questo sindacato non riesca a correggere i suoi errori o trovi la forza per rovesciare questo pronostico. Il futuro delle lotte in Sudafrica giudicherà la scelta dell’Amcu. Vedremo se sarà stata giusta o affrettata dall’estremismo. Per ora pur lodando l’abnegazione dell’Amcu, senza la quale probabilmente i minatori africani non si sarebbero neanche mossi, chi scrive festeggia la loro vittoria che certamente si farà sentire in tutto il mondo e nel continente africano in particolare.



Nota – Per un quadro più preciso della lotta, si veda quest’articolo della compagna Sonia Previato: Il Sudafrica esplode.

Stazione dei Celti
21 Settembre 2012 
 

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