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domenica 29 gennaio 2017

IL VENTO NON SOFFIA SU VIA DEI FRENTANI di Riccardo Achilli







IL VENTO NON SOFFIA SU VIA DEI FRENTANI
di Riccardo Achilli





Si è tenuto oggi, a via dei Frentani, l’incontro dell’area aggregata da D’Alema in occasione del no referendario. Un incontro di modesto livello culturale e politico, privo di spunti innovativi, sostanzialmente la rimasticazione delle tesi social-liberali che risalgono sin ai vecchi Ds e che sono da sempre il bagaglio politico del dalemismo.

Senza il vento della storia a gonfiare le vele, in una sostanziale bonaccia di analisi, nascondendolo dietro parole d’ordine apparentemente più radicali rispetto al passato, non è emerso altro che un profilo politico e culturale che potrebbe essere accettabile per un qualsiasi esponente del Socialismo Europeo attuale: la globalizzazione è buona ma va regolata ed addolcita, mentre gli Stati nazionali sono l’inferno in cui ribollono gli spiriti totemici della guerra, l’Europa è riformabile perché basta mettere mano alle istituzioni ed ai Trattati, l’immigrazione è buona e va soltanto regolata con accordi europei, facciamo un pochino di redistribuzione et voilà.

Evidentemente manca, a questa ricetta stantia che puzza di anni Novanta, una analisi realistica dei rapporti di forza (come si fa a “regolamentare” qualcosa che, per definizione, ci sfugge via dalle dita, come la globalizzazione, che porta i centri reali di comando lontani dalla politica e dai suoi eletti?) ed una analisi sociale (cosa ne pensano realmente i ceti sociali più svantaggiati dell’immigrazione, dell’Europa, dell’euro? Non basta marcare le distanze da Trump, senza capire in cosa il modello-Trump si radichi nei ceti popolari). Si cancella del tutto la linea di demarcazione fra chi ha votato Si e chi ha votato No al referendum, dichiarando, per bocca di D’Alema, che quella vicenda è chiusa (tanto che il Presidente della Toscana Rossi può parlare senza autocritica rispetto alla sua scelta referendaria, nel suo consueto vaniloquio sul “cambiamento radicale del capitalismo”, che non si capisce in cosa consista quando poi le scelte concrete sono state quelle di fare una riforma sanitaria regionale al ribasso, una legge elettorale regionale maggioritaria ed un appoggio alla riforma costituzionale Boschi-Renzi) senza capire che quella vicenda non è chiusa, perché il voto al referendum ha disegnato due Italie diverse ed in conflitto sociale irrimediabile fra loro: chi si è legato ad un disegno costituzionale che esprime una visione di un Paese socialista e democratico, dove le istituzioni e lo Stato hanno un ruolo politico nel rappresentare il bene comune, e chi ha optato per una riforma che intendeva verticalizzare il potere nelle mani di una ristretta élite anti-popolare, caratterizzata dal disprezzo assoluto per tutto ciò che è “pubblico”. 

In fondo, emerge con chiarezza quanto già tutti sapevano: l’endorsement dalemiano per il No referendario era solo una tattica di guerra contro il suo avversario Renzi, non una battaglia condotta con il senso politico e storico di un dovere.

In fondo a questo vuoto di analisi politica, si staglia il vero progetto politico. Una robina miserrima, di piccolo cabotaggio. Si tratta di mettere insieme tutto quanto di anti-renziano ci sia nel Pd, strizzando anche l’occhiolino a chi ha votato Si al referendum ma, per meri motivi di posizionamento di potere personale, non si riconosce nell’area renziana, per convincere Renzi a fare il Congresso, e poi magari vincerlo. Il tutto per fare poi cosa? Una riedizione di Italia Bene Comune del 2013, imperniata su un Pd che esprime la linea europeista e moderatamente riformatrice, moderatamente social-liberale tipica del bersanian-speranzosi, con un alleato di sinistra che fa un pò di bricolage innocuo sui diritti civili e lo sviluppo ecosostenibile e solidale.


Siccome però D’Alema non è fesso, e sa benissimo che è molto difficile a) ottenere il Congresso e b) vincerlo su una linea anche solo remotissimamente reminiscente di qualche elemento di socialdemocrazia, in un Pd oramai liquefatto sotto il profilo organizzativo e modificato geneticamente alla sua base, allora c’è il piano B. Se tutto ciò non fosse possibile, allora mano alla baionetta ed al grido di “scissione, scissione” ci facciamo il nostro partito autonomo. Con la speranza che il Pd, senza più la Sinistra Dem, si sposti definitivamente nell’area elettorale di Forza Italia (anche in virtù del declino fisico di Berlusconi e dell’assenza di leader alla sua altezza nell’attuale centro-destra in disfacimento). A quel punto la costola dalemiana fuoriuscita tornerebbe a fare ciò che faceva il Pd delle origini quando Berlusconi era ancora capo del Governo: un partito di destra, liberale e solo moderatamente compassionevole, camuffato da sinistra “indignata” contro il leader avverso, accusato di essere la fonte di ogni male.


Le lancette dell’orologio tornano indietro di vent’anni, con le stesse parole di vent’anni fa (il centrosinistra, una legge elettorale che garantisca rappresentatività e governabilità...) in un mondo sconvolto dalla crisi, completamente cambiato e che sta per affrontare una rivoluzione tecnologica, e quindi sociale, che finirà di spazzare via quello che resta della composizione sociale e lavoristica del Novecento. Con gli applausi degli stessi militanti dalemiani di venticinque anni fa, o degli ingenui che cadono nella rete della contrapposizione artificiosa fra governismo e radicalismo.

Un simile progetto, che trova in Sinistra Italiana tanti estimatori, tanto da diventare la base programmatica sulla quale Scotto si presenta alla sfida della segreteria, è stato sconfitto dalla storia, non ha vento che gonfi le sue vele, sarà destinato ad una forzosa traduzione dentro la contrapposizione fra forze “sistemiche” e pro-globalizzatrici e forze anti-sistemiche, populiste e patriottiche. Finendo per essere ingoiato nel calderone delle prime, insieme ad Alfano, insieme a Verdini, insieme a Renzi, ed a recitare, nella commedia, la parte secondaria e umiliante della componente più “social” di tale fazione.

Personalmente, non lavorerò a favore di una simile cosa, né la voterò, né presterò anche solo una remota amicizia personale a chi vi si imbarcherà. Ho 46 anni. E’ per me troppo tardi per accodarmi ad una compagnia di giro che cerca solo la sopravvivenza politica, e troppo presto per mettermi dentro operazioni di risulta di progetti già sconfitti dalla storia.






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