di Lorenzo Mortara
Quasi a farlo apposta, questo blog – Bentornata Bandiera Rossa! – ha iniziato le pubblicazioni con le solite scazzottate tra anarchici e marxisti. L’argomento in discussione non poteva che essere un simbolo della lite storica tra le due correnti: Kronštadt e la repressione bolscevica.
So che può sembrare strano, perché di norma quelli intolleranti siamo noi, ma a dispetto di qualche anarchico che non può sopportare idee diverse dalla sua, è giusto premettere subito che tra i bolscevichi, Machno, Kronštadt eccetera, io sto e starò sempre dalla parte dei bolscevichi, non perché non possa accettare che sia stata una pagina vergognosa, immorale o quanto di più brutto se ne possa dire, ma perché so che per ora nessuna rivoluzione è avvenuta senza anche le sue pagine buie. So anche che questo è il senso della difesa di Trotsky per quanto concerne il massacro di Kronštadt, per quanto sia vero che non abbia mai accennato a un minimo di ripensamento o di autocritica.
Ho scritto queste righe anche per mostrare come preferirei impostare discussioni di questo genere. Indipendentemente da come si giudicherà questo scritto, credo che nessuno alla fine potrà negare che sia un po’ meglio di centinaia di post di semplicistici batti e ribatti su facebook.
Prima di approfondire la discussione con altre considerazioni, sarà comunque opportuno riassumere per sommi capi la vicenda.
Il testo è abbastanza lungo, chi volesse, leggerlo con più calma e magari stamparselo, può scaricarlo qui in formato doc.
RIEPILOGO DI UN MASSACRO
All’inizio del Marzo del 1921, volgendo al termine la guerra civile, il popolo russo, stremato, cominciava a far sentire la sua insofferenza verso il comunismo di guerra, le requisizioni forzate, i posti di blocco e la militarizzazione di ogni aspetto della vita civile. Come ha scritto Trotsky era un «periodo eroico e tragico! Tutti erano affamati e irritabili», bolscevichi compresi e soprattutto, pendendo su di loro la massima responsabilità. È in questo contesto che va in scena l’ammutinamento dei marinari di Kronštadt. I marinai, è vero, non erano più quelli del 1917, partiti in massa per crepare al fronte in difesa della rivoluzione, ma non vuol dire che quelli rimasti nella cittadella fossero proprio dei damerini come pompava un po’ forzatamente la stampa bolscevica. In realtà erano né più né meno gli eredi di quelli partiti per il fronte, forse un po’ meno esperti e un po’ più visionari ma con lo stesso temperamento impulsivo e insofferente verso ogni autorità. Governo Provvisorio a parte, erano i marinai di Kronštadt a essersi macchiati delle pagine più scabrose che avevano portato dal Febbraio all’Ottobre. Erano loro ad aver trasformato la cittadella in un’orgia di sangue nella quale giustiziare sommariamente i superiori. Erano loro, per la loro ferocia ad essere stati incaricati di disperdere quel trabiccolo osceno dell’Assemblea Costituente. Ed erano sempre loro le teste calde che avevano sconvolto Lenin e altre personalità più colte e sensibili, quando si erano infilate in un ospedale psichiatrico per trucidare nei loro letti due ex-ministri borghesi ricoverati. Ma per quanto colti e sensibili fossero Lenin e i suoi, erano anche dei rivoluzionari, e dopo aver pensato di prendere delle misure contro questi eccessi, finirono con l’accettarli tacitamente, consci che senza quell’appoggio non avrebbero potuto rivoluzionare la Russia. E come i bolscevichi, lo stesso fecero anarchici e altri ultra-radicali. E fecero più che bene, perché una rivoluzione o la si prende così com’è o non la si fa.
Kronštadt, «onore e gloria della Rivoluzione», appoggiò i bolscevichi come la gran massa del popolo russo, ma a mano a mano che la situazione si inaspriva e il campo di battaglia tra rossi e bianchi si trasformava in un macello, cominciarono ad opporsi ai comunisti. E come loro, qua e là, fecero anche i contadini e in misura minore gli operai. Dopo sette anni di carestie, guerre civili e imperialiste, il popolo era allo stremo, non ne poteva più e come una pentola a pressione sbuffava qua e là contro il potere costituito tutto sommato da lui stesso. Tutto questo non dovrebbe stupire, essendo fin troppo normale per la situazione che s’era creata.
I bolscevichi furono spietati coi marinari di Kronštadt, ma anche Kronštadt fu impietosa nel giudizio sui bolscevichi. Se si leggono bene le loro Izvestija, quello che colpisce non sono le loro modestissime richieste, lamentele e proteste, ma la pressoché assoluta mancanza di comprensione per le attenuanti che avrebbero dovuto riconoscere ai bolscevichi. Tutto il male della Russia viene scaricato sul Partito Bolscevico, praticamente senza alcun accenno alle armate bianche e agli eserciti dell’Intesa che l’avevano invasa per schiacciare la Rivoluzione. Arroccata nella sua fortezza, Kronštadt la rossa, si era anche chiusa un po’ fuori dalla realtà.
Presi come parafulmine per la situazione drammatica, senza alcun attenuante per le circostanze, non dovrebbe dunque stupire che i bolscevichi abbiano subito voluto vedere, dietro gli ammutinati di Kronštadt, lo zampino delle guardie bianche. E che Kronštadt fosse nel mirino dei bianchi è testimoniato, oltre che da tanti altri fatti, da un segretissimo Memorandum sulla organizzazione di una rivolta a Kronštadt, frutto dell’attività del Centro Nazionale dell’emigrazione russa con sede a Parigi. È in questo Memorandum che la borghesia scalzata dal potere riponeva, per la primavera del 1921, le speranza di un’imminente rivolta dei marinai da sostenere con tutti i mezzi affinché si estendesse a Pietrogrado e a tutta la Russia, ponendo fine al potere bolscevico. Sembra che i marinai di Kronštadt non fossero in collegamento con l’emigrazione russa e tanto meno con i bianchi, almeno prima della rivolta, ma è certo che il maggior esponente del Comitato Rivoluzionario Provvisorio, il sottufficiale Petricenko, ucraino, oltre a fuggire in Finalndia all’ultimo minuto, lasciando soli gli insorti come avevano previsto e ammonito i bolscevichi, in seguito pensò che un rivoluzionario vero come lui era perfetto per arruolarsi come volontario tra le armate bianche del Generale Wrangel. Non è dunque strano che un simile individuo abbia finito la carriera come agente della GPU di Stalin.
Non basta comunque una mela marcia per segare alla radice la rivolta, bollandola come controrivoluzione bianca. Restano i fatti, Kronštadt chiedeva liberi soviet, libertà di parola e di stampa per i rivoluzionari di tutti i colori, libertà per i contadini sulle loro terre come per gli artigiani senza salariati, rilascio dei prigionieri politici socialisti, riduzione drastica del potere della Čeka, fine degli sbarramenti, delle razioni per gli operai e fine del “terribile” taylorismo. Senza concedere nulla ai liberi Soviet senza partiti, i bolscevichi tolsero gli sbarramenti a Pietrogrado e aumentarono le razioni per gli operai, ma Kronštadt le prese per elemosina e dichiarò guerra ai bolscevichi. E la perse, dopo aver venduto cara la pelle.
Per domare Kronštadt, i bolscevichi furono costretti a muoversi sul ghiaccio del golfo di Finlandia, tra bombe e spari che lo aprivano inghiottendosene parecchi. Per conquistarla, tra morti e feriti, caddero circa 10˙000 rossi, compresi una quindicina di delegati che dovettero lasciare il X Congresso per unirsi a Tuchačevskij e compagni nella battaglia. Dalla parte degli insorti creparono 600 persone, oltre un migliaio furono i feriti, e circa 2500 i prigionieri massacrati poi in massa, tre mesi dopo, a tragedia finita, nelle prigioni di Pietrogrado.
Fu una carneficina la tragedia di Kronštadt, ma fu soprattutto una strage di comunisti e questo va ricordato, perché Victor Serge ha ragione quando accusa i bolscevichi dell’inutile crudeltà con cui ancora tre mesi dopo fucilavano i prigionieri, ma dimenticando la grave sproporzione di perdite, pendente ripeto dalla parte dei rossi (cosa istintivamente impensabile, perché quando si sentono gli strilli dei critici per il «massacro di Kronštadt», si è portati a pensare il contrario) rischia di distorcere la comprensione dell’intera vicenda, perché nell’abominio delle fucilazioni ritardate, ha giocato evidentemente la sete di vendetta che non lo giustifica certo, ma almeno non lo rende del tutto incomprensibile come invece appare nei suoi scritti.
Kronštadt la rossa, onore e gloria della Seconda Rivoluzione, era la roccaforte dello spontaneismo, nella quale custodiva la Terza. La Seconda Rivoluzione, quella d’Ottobre, era il più potente bastione dell’organizzazione mai prodotto dalla Storia fino a quel momento. Seconda e Terza Rivoluzione si scontrarono all’ultimo sangue in un duello mortale. L’istinto rivoluzionario contro lo studio sistematico della Rivoluzione. La prassi immediata contro la perfezione continua della teoria. Vinse la seconda, la Terza restò un sogno represso, confermando che la rivoluzione può essere fatta solo e soltanto dai radicali veri e propri, perché i rivoluzionari istintivi, sono appunto gli eroi di una rivoluzione superficiale, una rivoluzione che non va mai in porto anche se diretta dai marinari più ribelli del mondo.
UN PROBLEMA A MONTE: IL MARXISMO
La discussione tra anarchici e marxisti su Kronštadt, in genere, non va avanti perché il marxismo è incomprensibile ai non marxisti. È ridicolo e del tutto impossibile studiare Marx ed Engels sui manuali. Non è però nemmeno del tutto vero che l’unico modo per comprendere Marx ed Engels sia studiarsi direttamente le loro opere, come sostengono Alan Woods e Ted Grant, gli ultimi due grandi teorici del marxismo, nel loro libro La rivolta della Ragione. No, questo pensiero va integrato. Per comprendere Marx ed Engels bisogna anzitutto collocarsi sul terreno giusto di classe. Senza schierarsi senza se e senza ma dalla parte della rivoluzione proletaria, è inutile aprire i libri di Marx ed Engels, perché resteranno chiusi con sette sigilli. Quando le bestiole liberali alla Bobbio, alla Schumpeter, alla Sartori, spiegano con dovizia di citazioni le loro critiche a Marx, non stanno in effetti mostrandoci i nostri errori sulla base dei sacri testi, ma solo confermandoci una volta di più la loro infantile ingenuità che pretende di aver compreso qualcosa, leggendo tra le righe di Marx ed Engels non il loro autentico significato di classe, ma un’interpretazione più meno distante, a seconda del grado di riformismo squisitamente borghese che rappresentano.
Una volta collocatisi sul terreno della rivoluzione, anche se non è scontato, si può avere buona speranza di comprensione di Marx ed Engels. Tuttavia, basta spostarsi di poco sulla linea di classe avversa, perché i libri di dottrina rivoluzionaria si richiudano nuovamente.
Il marxismo comprende appieno il liberalismo, perché non essendo altro che una sua critica classista, è costretto a prenderlo in considerazione. Nato molto prima del marxismo, invece, il liberalismo anche se incapace di stare teoricamente in piedi, ne è indipendente. Di qui la goffaggine e la sua ridicola, intrinseca mediocrità. Il marxismo visto dai liberali è il marxismo che i liberali si mettono in bocca da soli. Attaccandolo, non si rendono mai conto di sparare direttamente a sé stessi. Proprio per questo solo prima di Marx, era ancora possibile un genio liberale, l’ignoranza generale lo consentiva. Dopo Marx, la sua sapienza particolare schiaccia nella sua insignificanza la mancanza di genialità del liberalismo. L’anarchismo, non essendo altro che il pensiero borghese capovolto, quindi ancora più in basso della sua mediocrità, non essendo nemmeno in grado di fabbricarsele da solo, è costretto a prendere a prestito dal liberalismo tutte le sue accuse al marxismo, con l’unica differenza che il liberalismo le usa a favore della controrivoluzione, l’anarchismo a favore di una presunta rivoluzione anarchica che mai, però, ci farà vedere.
Kronštadt è una vergogna, Lenin la tomba della Rivoluzione D’Ottobre, lo stalinismo la diretta e logica conseguenza del bolscevismo, la Storia ha definitivamente condannato entrambi, e un revisionismo sui generis ha pure decretato che in Russia non vi fu una rivoluzione ma addirittura un semplice colpo di stato. Ecco, in quattro righe, un campionario di sentenze emesse più o meno in contemporanea dai tribunali borghesi e anarchici. Che quelli anarchici siano in buona fede e quelli borghesi no, non depone certo a favore dei primi, semmai rende più penose le loro arringhe. I borghesi hanno le loro ragioni di classe per pensarla così, gli anarchici hanno solo il torto di pensarla come i borghesi! Non fanno nemmeno eccezione i giudizi dei marxisti libertari, cioè degli anarchici a metà strada tra il marxismo e l’anarchia, di ritorno immancabilmente, nei momenti decisivi, all’ovile di quest’ultima. È ovvio oltreché naturale, perché principale caratteristica del marxismo-libertario è spiegare un determinato fatto storico con tutti i dettagli rivoluzionari al completo, esclusa il “documento” fondamentale: l’interpretazione teorica marxista. Proprio per questo, dopo aver salvato il salvabile, dopo aver cercato di fare i dovuti distinguo tra Lenin e Stalin, tra questo e quello, all’ultimo secondo i marxisti libertari sposano tutte le conclusioni degli anarchici. E non potrebbe essere altrimenti, il marxismo non ammette deroghe: spostati di un grado dalla sua interpretazione e le sue pagine tornano bianche o piene di geroglifici incomprensibili. Uscito dalla sua visuale di campo, più di classe che di prospettiva, non potendo più afferrarlo, il libertario sa solo più lui come fa ad essere anche marxista. Perché, in effetti, il marxismo non è libertario e non lo sarà mai, perché il marxismo-libertario è solo una contraddizione in termini. Se li si associa è appunto perché non li si usa più con significato marxista.
Alle accuse anarco-borghesi, anche in salsa libertaria, il marxismo ha già risposto mille volte con dovizia di particolari ed argomenti. Il pensiero scientifico, che va sempre avanti anche quando rettifica, vorrebbe che per proseguire la discussione gli anarchici di tutti i tipi rispondessero alle parate dei marxisti, giuste o sbagliate che siano. E non con frasette lapidarie, ma con altrettanta carne al fuoco. Non sapendolo fare, la discussione, invece di andare avanti, ristagna sulle loro sentenze. Una noia mortale per i marxisti che le hanno già ribaltate! All’ennesima riproposizione dello sceneggiato “marxisti alla sbarra!”, avremmo ben diritto a chiedere nuove puntate o che la vecchia serie abbia finalmente termine. Per parte nostra, fino a che alle nostre obiezioni non si risponderà, potremo solo fare lo sforzo di aumentare i dettagli, perché le conclusioni di fondo le abbiamo già tirate, e finché nessuno ci farà vedere per filo e per segno dove sono sbagliate, difficilmente potremo cambiarle, perché le riterremo corrette come in effetti sono. Al contrario, aumentare i dettagli può forse essere utile, a chi ancora non l’ha fatto, per prendere in considerazione le conclusioni marxiste, abbandonando finalmente quelle sbagliate che s’è messo in testa. Noi ci contiamo anche se non ci speriamo troppo!
REPRESSIONE, INTERNAZIONALISMO E LOTTA DI CLASSE
Per i marxisti, comprendere la repressione di Kronštadt e la degenerazione della Rivoluzione nello stalinismo, significa collocarla sul terreno della lotta di classe in Russia, ma soprattutto a livello internazionale. Anarchici e altri critici vogliono comprenderla invece sulla base morale ed etica degli eterni e sacri principi, e finiscono così per comprenderla al contrario, vale a dire per non comprenderla affatto. La lotta di classe esce dal campo interpretativo sostituita dalla categorie kantiane. Si punta il dito contro la repressione, pensando che sia sufficiente sottolinearne l’abominio per evitare in futuro il ripetersi di simili eventi. La Storia, nelle sue pause, lascia volentieri simili parolai alle loro discussioni inconcludenti, ma quando riprende lei, con forza, il suo discorso, ripresenta grosso modo le stesse situazioni senza che simili prese di coscienza e di posizione abbiano la benché minima possibilità di incidere sugli eventi.
Giunge sempre un momento in cui il terrore giacobino di Robespierre o quello del comunismo di guerra dei bolscevichi diventano superflui. Proseguirli a tutti i costi è un errore evidente oltreché qualcosa di reazionario. La repressione di Kronštadt, avvenuta a cavallo della presa di coscienza dei bolscevichi su questo punto, è uno di questi errori. È lo stesso Trotsky ad ammetterlo, anche se questa ammissione non è sufficiente per fargli trarre tutte le necessarie conseguenze: «nel 1921 più di una volta Lenin riconobbe apertamente che la difesa ostinata dei metodi del comunismo militare fatta dal partito era diventata un grave errore. Ma tutto ciò cambia le cose? Qualunque fossero le cause immediate o remote della ribellione di Kronštadt non si può negare che essa costituiva nella sua essenza un pericolo mortale per la dittatura del proletariato. Per il fatto di aver commesso un errore politico la rivoluzione proletaria avrebbe forse dovuto punirsi commettendo un suicidio?». La rivoluzione non si suicidò, preferì scavare la fossa ai marinai di Kronštadt. Rivoluzione e reazione non sono mai separate da compartimenti stagni, la seconda si accavalla alla prima quando è pronta per afferrarne il testimone. Da questo errore e da tanti altri, anarchici e razionalisti vari – che di razionale hanno solo il nome – fanno dipendere la sconfitta finale della rivoluzione e l’avvento dello stalinismo. I marxisti, a distanza di tanti anni, con molta più documentazione a disposizione, non hanno grandi problemi a riconoscere l’errore evidente con tutta l’enorme gravità delle conseguenze. Tuttavia, ribadiscono che la domanda fondamentale a cui bisogna rispondere è un’altra: di tutti i fattori che determinarono la sconfitta storica della Rivoluzione d’Ottobre e l’avvento dello stalinismo, quali furono quelli determinanti, quelli che pesarono di più? Soppressione della libertà, repressione delle proteste, in altri termini la dittatura del proletariato stessa fu la causa della sua sconfitta. Questa, in linea di massima, la risposta, più ingenua che ridicola, di anarchici e borghesi di tutte le tendenze. Nei casi di più aperta antipatia per i bolscevichi, si arriva addirittura a negare la rivoluzione riducendola a un banale colpo di stato, come fa ad esempio Conquest nei suoi documentatissimi libri, a documentazione imperitura della sua stupidità.
I marxisti, a differenza dei loro critici, attribuiscono la sconfitta storica dell’Ottobre alla lotta di classe, più precisamente alle sconfitte ad Est ma soprattutto ad Ovest delle rivoluzioni. Attribuire alla repressione di Kronštadt o di Machno la degenerazione dell’Ottobre, per i marxisti è come attribuire alla schiuma e non alla massa d’acqua la potenza dell’onda. Ben inteso, dice Trotsky, lo stalinismo è scaturito dal bolscevismo, ereditandone giocoforza alcuni tratti, ma non è il suo logico sviluppo, bensì la sua negazione dialettica termidoriana. E non è affatto la stessa cosa.
Come Trotsky, la pensava in fondo anche Rosa Luxemburg, citata sempre a sproposito come il critico più lucido dei bolscevichi al potere, e il premonitore della loro degenerazione staliniana con la denuncia immediata dei loro vistosi errori. Fa fin ridere vedere l’abuso che ne fa Conquest nei frontespizi dei suoi libercoli. Conquest dimentica di dirci che l’analisi della Luxemburg poggiava sullo stesso ceppo di fondo dei bolscevichi: il marxismo. Conquest lo fa apposta perché in generale scrive per gli ignoranti di marxismo come lui che si possono bere le sue distorsioni interpretative. Ma per noi marxisti e per chi vuol capire sul serio la questione, sarà bene ricordare quel che Rosa Luxemburg davvero pensava: «la colpa degli errori dei bolscevichi la porta in ultima analisi il proletariato internazionale e innanzitutto la bassezza pertinace e senza precedenti della socialdemocrazia tedesca». E ancora: «in Russia il problema poteva solo essere posto. Non vi poteva essere risolto: esso può essere risolto solo internazionalmente». Come si vede, Trotsky, con la sua lotta allo stalinismo, non è che lo sviluppo del pensiero di Rosa Luxemburg ad uno stadio più avanzato del processo storico. Gli avvenimenti di Kronštadt, sono già più il sintomo del ritardo della rivoluzione internazionale che degli errori dei bolscevichi su scala nazionale. Rimanendo irrisolto il problema internazionale, l’avvenire dei bolscevichi si allontana, cedendo il posto alla reazione staliniana e poi alla controrivoluzione borghese.
Proprio come i borghesi, gli anarchici non afferrano la dialettica, e quando gli si fa notare che la Storia ha decretato il bolscevismo unico modo possibile per la rivoluzione proletaria, condannando ripetutamente e senza appello il metodo anarchico, peggiorano la situazione ribattendo che quella Storia li ha vendicati mostrando, subito dopo l’Ottobre, il fallimento anche del marxismo. In realtà, la Storia sia prima che durante che dopo l’Ottobre non fa che mostrare l’assoluta necessità del bolscevismo per quanto concerne le rivoluzioni. In un’epoca positiva lo fa con l’esempio concreto dell’Ottobre, nell’epoca successiva di reazione lo fa per via negativa e indiretta, attraverso le esperienze di rivoluzionari falliti, gli anarchici spagnoli, oppure di controrivoluzionari riusciti, i borghesi e gli stalinisti di tutti i paesi.
Concentrando tutta la Storia nella stanza dei bottoni, la logica anarchica, al pari di quella borghese, la fa discendere dall’alto in basso, dai capi alle masse e non viceversa come fanno i marxisti. La Russia sovietica è il risultato delle direttive autoritarie dei bolscevichi, anziché del movimento di massa della lotta di classe nell’arena internazionale. Mentre indicano nella repressione di Kronštadt, il fallimento del bolscevismo, nulla ci dicono di quanto avrebbe potuto essere rivitalizzato il suo iniziale successo dalla rivoluzione che avrebbero dovuto fare loro in Spagna, nel 1936, e che non son stati capaci di fare nemmeno dopo. Colpa di quei criminali semi-nazisti dei bolscevico-stalinisti, naturalmente, se non son riusciti a farla. Gli è che gli stalinisti come i borghesi sono un elemento concreto della realtà, e scagliargli addosso gli anatemi della morale anarchica non serve a farli sparire dall’orizzonte. Per batterli bisogna farci i conti ed essere pronti ad usare contro di loro più forza, autorità, violenza e terrore di quanto non siano in grado di usare loro contro i lavoratori.
Dopo aver represso le loro fortezze spagnole, prendendo a fucilate la rivoluzione, gli anarchici tornano alle loro prediche morali contro il bolscevismo persecutore dei loro fratelli marinai, dimenticando che far fuori Machno e Kronštadt portando a casa una rivoluzione è un conto, e un altro è far fuori da un’altra parte analoghe tendenze per portare a casa il franchismo. Nel primo caso il proletariato nel suo insieme avanza, nel secondo arretra. La riprova sono i tantissimi provvedimenti progressivi varati dai bolscevichi in quei primi anni gloriosi, dall’emancipazione delle donne alle 8 ore. Se in mezzo a tutto questo, vi fu anche qualche provvedimento negativo, è all’insieme che bisogna guardare, anche su scala internazionale. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, per esempio, sulla spinta di quel successo, furono conquistate un po’ dappertutto le 8 ore. Condannare semplicemente Kronštadt e i bolscevichi, vuol dire condannare la conquista storica delle 8 ore.
Nonostante gli errori evidenti, Kronštadt e tutto il resto, la ragione storica del bolscevismo è testimoniata dal loro sforzo internazionale per esportare la rivoluzione. La volontà tenace per quanto infruttuosa di far uscire la Rivoluzione d’Ottobre dall’isolamento, dimostra irrefutabilmente, almeno in termini marxisti e per i primi quattro congressi della III Internazionale, quanto l’azione bolscevica fosse nel suo complesso nell’interesse del proletariato mondiale. Lo scioglimento della III Internazionale, la cura scientifica con cui lo stalinismo sabotò pressoché tutte le rivoluzioni, testimoniano il passaggio di consegne da un’epoca rivoluzionaria ad una reazionaria. Tutte le repressioni staliniane avvengono sotto lo smantellamento delle conquiste dell’Ottobre, dalla risottomissione della donna all’allungamento della giornata lavorativa. Quel poco di apparentemente progressivo che avviene, specie a livello internazionale, avviene contro lo stalinismo che usa la copertura delle tradizioni dell’Ottobre per fare sistematicamente da freno al proletariato. Nell’ascesa della burocrazia, gli errori dei bolscevichi contano poco o niente, rispetto a quelli degli anarchici che hanno fatto l’impossibile per consolidarla, prima silurando la rivoluzione in Spagna andando a braccetto con Stalin, poi voltando le spalle all’Ottobre e a tutto il processo storico e a quel poco di progressivo che ancora conteneva: la proprietà statale dei mezzi di produzione e l’economia pianificata (male ma comunque pianificata). Di contro, lo stalinismo, altro non è che la negazione dialettica dei principi del leninismo. Se la Storia avesse condannato il bolscevismo, Stalin avrebbe potuto tranquillamente applicarlo per dirottare le rivoluzioni. Stalin, invece, temendo le rivoluzioni, fugge come la peste il bolscevismo, essendo l’unica strada sicura per arrivarci. Non fugge invece più di tanto l’anarchismo, col quale s’accorda, sicuro dell’approdo controrivoluzionario dei loro astratti principi.
La testa comunista di Stalin era controrivoluzionaria come la reazione, ma il suo culo poggiava le chiappe sulle conquiste storiche dell’Ottobre: la proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione economica, cioè sui prerequisiti minimi del socialismo. Non avendo senso storico, come già ricordava giustamente il compagno Gramsci, facendo di tutta un’erba un fascio, anarchici e altri idealisti voltarono le spalle all’URSS, definendola una dittatura come le altre. Incapaci di aiutare con un’altra rivoluzione le ultime due conquiste storiche dell’Ottobre, sepolte sotto la reazione di Stalin, alla fine dell’intero processo, col crollo dell’URSS, il capitalismo s’è ripreso anche i prerequisiti minimi del socialismo. E come la Rivoluzione d’Ottobre aprì la strada alla conquista internazionale delle 8 ore, la controrivoluzione del 1989-91, spalancò le porte alla precarietà e al più spaventoso e rapido arretramento che la Storia del proletariato abbia fin qui registrato.
Perciò, chi condanna il bolscevismo solo per l’episodio di Kronštadt, di Tambov, di Machno o per i guasti del comunismo di guerra, dimenticandosi l’enorme progresso del proletariato nei rapporti internazionali tra Capitale & Lavoro, all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre, dovrebbe avere il coraggio di ristagnare nel precariato fino a quando sarà in grado di farci recuperare il terreno perduto con la prima Rivoluzione della storia minore dei suoi sogni.
COLPO DI STATO?
Letteralmente impotenti come rivoluzionari, non potendo negare che noi marxisti bene o male le rivoluzioni le abbiamo fatte, alcuni anarchici riescono a mettersi il cuore in pace soltanto riducendole a banali colpi di Stato. Come se un colpo di Stato, ammesso e non concesso che gli anarchici abbiano ragione, fosse chissà quale vergogna o atto di demerito.
La lotta di classe e la conseguente teoria proprio non è di casa tra gli anarchici. Senza i sacri principi dell’etica – che è sempre etica controrivoluzionaria perché altra etica non è storicamente possibile – gli anarchici sono perduti.
La Rivoluzione d’Ottobre non fu un colpo di stato, le masse non furono affatto indifferenti come vaneggia Conquest. Basterebbero le giornate di Luglio a dimostrarlo. I bolscevichi non furono in grado di tenerle ferme e furono costretti a guidarle sotto la repressione di Kerenskij. Ed è sempre sotto la guida dei bolscevichi che fecero piazza pulita di armate bianche e Zar.
Anche ammesso però per un momento che l’Ottobre sia stato un colpo di stato, gli anarchici, al pari dei borghesi, pensano di aver risolto la questione condannando il caudillo di turno. Per i marxisti la questione è però un po’ più complessa e non si risolve con un anatema. Infatti non appena si nomina lo Stato, all’anarchico salta subito il sangue al cervello, a noi marxisti viene invece spontanea una domanda: quale Stato? E soprattutto di chi? Un colpo di Stato può essere di Stato operaio o di Stato capitalista. E così come i borghesi a parole sono contro i dittatori e nei fatti appoggiano tutti i colpi di Stato, purché siano i loro, così i marxisti in generale non hanno nulla in contrario con un colpo di Stato, purché sia proletario. Gli anarchici si azzuffano sempre per i principi, i marxisti non dimenticano che la lotta non è contro questa o quella morale, ma contro i borghesi, e se si vuole vincere bisogna sempre essere pronti ad usare una forza che sia almeno uguale e contraria a quella che usano loro contro di noi. Se domani un anarchico fosse in grado con un colpo di Stato operaio di abbattere il regime borghese, noi marxisti l’appoggeremmo in pieno, esattamente come i borghesi danno pieno appoggio a tutti i colpi di Stato che salvaguardano i loro interessi supremi. Purtroppo, senza l’apporto delle masse, la dittatura del proletariato è impossibile perché poggerebbe sul vuoto. È quello che è successo più o meno dopo la guerra civile in Russia. Dei tre milioni di operai nel 1917, ne restavano poco più di un milione nel 1921, la retroguardia. Il proletariato aveva virtualmente cessato di esistere, e sul suo cadavere non fu difficile innestare in sua sostituzione parte del vecchio apparato e parte dei nuovi parvenu dell’Ottobre. Lo stalinismo è in fondo tutto qui. Nel clima di penuria, uno strato crescente di uomini non ne volle sapere di condividere la miseria e cominciò a reclamare per sé privilegi, fino a staccarsi in corpo burocratico al di sopra delle masse.
In sé e per sé, che il potere si sia concentrato tutto nelle mani di un unico uomo non significa niente. Il problema fondamentale è sempre nell’interesse di chi? Anarchici e borghesi sono concordi nell’attribuire automaticamente a un dittatore interessi contrapposti al popolo. Ma non è assolutamente detto. Come Stalin, anche Hitler e Mussolini eliminarono via via ogni opposizione, ma anche soli al comando rappresentarono sempre l’interesse del grande capitale. Nessun borghese sotto di loro s’è sentito escluso da liberté, fraternité, egalité, nessun capitano d’industria s’è sentito privato di chissà quali diritti. Alla stessa maniera, un solo uomo o partito al comando dello Stato proletario può benissimo rappresentare la gran massa dei lavoratori. Dipende sempre dal programma e dagli sforzi che fa per realizzarlo. L’unica differenza è che nello stato proletario, questa restrizione, indica una deviazione temporanea nella fase di transizione, e può essere giustificata solo sotto i colpi degli eventi. Se la situazione perdura, la deviazione si fa definitiva e la fase di transizione invece di procedere nell’assorbimento dello Stato nella società civile, finisce col ripresentare lo Stato con tutto il ciarpame di coercizione che si porta dietro.
All’alba del “colpo di Stato” dell’Ottobre, la dittatura del proletariato è esercitata da due partiti, il partito bolscevico e il partito dei socialisti rivoluzionari di sinistra, in pratica dagli unici partiti degli operai e dei contadini che sono stati disposti a strappare il potere ai padroni. È la pace di Brest-Litovsk che farà uscire di scena i socialisti rivoluzionari, rivoluzionari ma non troppo. I futuri dittatori, Lenin in primis, vogliono a tutti costi firmare la pace, mentre i paladini della democrazia non vedono l’ora di mandare ancora democraticamente al macello della Prima Guerra Mondiale i lavoratori. Al momento della firma scatenano atti di terrorismo in cui rischia la pelle persino Lenin. Ed è così che la democrazia guerrafondaia e dittatoriale a modo suo, viene buttata fuori dal governo dalla dittatura pacifista e democratica a modo suo. Prima di questo però, s’era sciolta a forza quella schifezza cretin-parlamentare dell’Assemblea Costituente. Chiamata a furor di popolo fin dai giorni di Febbraio, era stata rimandata fin che avevan potuto dai padroni e dai loro tirapiedi cadetti e menscevichi. Per forza, col potere in mano ai padroni l’Assemblea Costituente era pur sempre un progresso per i lavoratori. Non appena gli operai strapparono il potere ai padroni, l’Assemblea Costituente diventò la loro ultima speranza per poterlo riprendere. Di qui i miasmi e i latrati di altri paladini della democrazia e dei Liberi Soviet per il suo scioglimento a schioppettate. Quanto ai Liberi Soviet, naturalmente, vennero chiesti fin da subito un po’ da tutti non appena vennero occupati dai bolscevichi, perché non sarà inopportuno ricordare che finché i bolscevichi non ebbero la maggioranza, non ebbero alcun rappresentante nell’Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, perché menscevichi e socialisti rivoluzionari lo impedirono con ogni mezzo. Quando non poterono più farlo – troppa la forza dei bolscevichi per dargli caccia, incitare al linciaggio e dare alle fiamme la loro stampa – come ultima carta giocarono quella col simbolo del Partito Bolscevico decapitato però dei suoi due uomini più rappresentativi: Lenin e Trotsky. In sintesi, nostra signora della democrazia accettava il Partito Bolscevico nella sua stalla, solo privato della sua anima rivoluzionaria. In altre parole, venduto all’inferno del capitalismo. Il Partito Bolscevico era però incorruttibile, almeno fino a quel momento, e non poteva essere comprato. Di qui il suo inestimabile, irripetibile valore. Proprio per questo emerge in questo covo di serpenti e di gente indegna e senza valore, come l’unico Partito con una dirittura morale che non sia la solita.
Accanto al Partito Bolscevico, per onestà, sembra giusto ricordare Martov, menscevico di sinistra, che secondo Serge era l’unico rappresentante, con la sua tendenza, di un socialismo sinceramente democratico. Martov era ancora al suo posto nel 1920, quando la Rivoluzione aveva varato un altro storico provvedimento, l’abolizione della pena di morte, convinta d’essersi lasciata il peggio alle spalle. L’invasione dell’Ucraina da parte del polacco Pilsudski ricacciò la Russia in un clima da tregenda. Da lì non si sarebbe più rialzata tanto facilmente. Nel giro di un anno opposizioni non furono più tollerate, né costruttive né distruttive. Martov fu costretto all’esilio insieme ad anarchici e a tanti altri. Fino ad allora, gli anarchici, si erano confusi con qualche marinaio dalla testa calda di cui abbiamo già parlato. Kronštadt e Machno, dopo essersi distinti come tanti altri per razzie, espropri e sacrosante fucilazioni, aspettavano il 1921 per ricominciare la litania contro i bolscevichi, interrotta da cadetti e menscevichi di destra, in nome della libertà e della democrazia. La dittatura si stava restringendo sempre più attorno a un uomo solo, ma ci vorranno ancora parecchi anni perché si trasformi in qualcosa di reazionario, per ora era ancora molto progressiva. Per ora, la dittatura del Partito Bolscevico, pur con qualche smagliatura, era la dittatura del proletariato. La gamba sinistra, seppur con un principio di cancrena, era anche la gamba destra.
LA TERZA RIVOLUZIONE CONTRO LA SECONDA:
IL MARZO DEL ’21 CONTRO L’OTTOBRE DEL ’17
Chiunque abbia letto gli scritti dei più grandi rivoluzionari, avrà notato una caratteristica in comune: la coscienza che in una rivoluzione non siano possibili vie di mezzo, o si sta da una parte, o si sta dall’altra. Chi pretende di stare in una posizione intermedia prima o poi entra in conflitto con una delle due parti, generalmente quella che sta vincendo, ed è costretta a battersi o ad arrendersi.
Lasciando Cuba, nella sua famosa lettera a Fidel Castro, il Che ricorda che è proprio così, «in una rivoluzione, se è vera, o si vince o si muore».
Nel Marzo del 1921, Lenin, a un passo dalla repressione di Kronštadt, nel discorso di chiusura sul dibattito con «l’opposizione operaia», concludeva che «l’opposizione è finita […] delle opposizioni non ne vogliamo più sapere […] Abbiamo passato parecchio tempo a discutere e debbo dire che ora è molto meglio “discutere con i fucili” […] Adesso non ci vuole opposizione, compagni, non è il momento! O da questa parte, o dall’altra, con un fucile, e non con l’opposizione».
Mentre pronunciava queste parole, quasi in contemporanea, sull’altro versante, nella fortezza di Kronštadt, i marinai rispondevano: «No, non sono possibili mezzi termini. Bisogna vincere o morire!».
Kronštadt si era spostata appena un pelino a destra, forse addirittura un pelino a sinistra dei bolscevichi, per gli ideali anarchici basta per definirli rivoluzionari, per i marxisti come me anche, ma non è sufficiente perché pretendano di essere al di fuori della legge suprema della rivoluzione: o di qua o di là! Spostandosi anche solo di un grado dai bolscevichi, si schierarono contro e persero la loro battaglia. Dovevano vincere o morire. Morirono e vinsero i bolscevichi. Pochi però hanno riflettuto sul fatto che in quei giorni si videro all’opera anche i sacri principi spontanei contro l’autorità della Rivoluzione.
La Rivoluzione d’Ottobre, la Seconda Rivoluzione, aveva cominciato suppergiù con liberi soviet, controllo operaio nelle fabbriche, terra ai contadini e libertà di stampa. Poi però aveva dovuto scontrarsi a muso duro con la cruda realtà della situazione. L’impreparazione degli operai, la controrivoluzione bianca e le carestie non avevano dato tregua, costringendo i bolscevichi a un giro di vite e a una centralizzazione sempre più stretta. È solo in questo modo che i bolscevichi uscirono vivi da quel sabba di streghe, salvando la loro Rivoluzione.
La Terza Rivoluzione, cominciò anch’essa, sulla carta, grosso modo così. Ma non appena passò dalla carta ai fucili, non si rese conto di applicare in più di un aspetto il metodo bolscevico. Al primo sparo serio, gli oppositori bolscevichi che stavano nella fortezza, si trovarono chiusi nella prigione, privati della libertà di parola, di stampa e di riunione. A Kronštadt, l’opposizione ai marinari, era finita proprio come era finita al X Congresso del Partito Bolscevico per l’Opposizione Operaia della compagna Kollontaj.
La repressione fu fulminea, questo forse impedì ai marinai di dissacrare altri imprescindibili principi. Se si fosse estesa a Pietrogrado e oltre la rivolta, oltreché nel tempo, Kronštadt avrebbe forse fatto in tempo a vedere anche la nuova soppressione del controllo operaio non in grado di controllare nulla come nel 1917, e il ripristino alla svelta dell’odiato taylorismo, unico modo scientifico di aumentare la produzione in un momento di grande penuria, e anche unico sistema, evoluto in toyotismo, che le prossime rivoluzioni dovranno applicare fin da subito se vorranno liberarsi il prima possibile dalla schiavitù del lavoro. Infatti, il taylorismo-toyotismo in uno stato capitalista serve per sfruttare a sangue il lavoro, e in uno stato operaio per economizzarlo al massimo. Questo ai marinai sfuggiva. Se fosse durata, Kronštadt, avrebbe forse anche trovato il tempo per riflettere sul suo strano concetto di democrazia in tempo di guerra. Forse capendo che metà degli operai di una fabbrica, i migliori, dovevano partire per il fronte, non era proprio il caso che nelle retrovie, chi doveva coprigli le spalle si mettesse a perdere del tempo, discutendo di democrazia e di libere elezioni. Di democrazia si sarebbe parlato al ritorno del popolo in armi, prima mai.
Kronštadt non fece in tempo a riflettere su queste cose, il socialismo scientifico soffocò quello istintivo ma al prezzo, forse, di bruciarsi le sue ultime cartucce e di venir di lì a poco travolto anch’esso dallo stalinismo. In quel frangente dimostrò però tutta la sua superiorità. I bolscevichi furono superiori ai marinai di Kronštadt per la concezione più matura e tecnologica del socialismo. Furono superiori in materia di ostaggi, laddove i marinai ne fecero anche lì un fatto morale e non di forza. I marinai non vollero togliere un capello ai prigionieri rossi, i bolscevichi dissero subito che per uno di loro, avrebbero passato per le armi dieci ribelli. Furono anche superiori, i bolscevichi, sul piano militare, laddove seppero sfruttare gli esperti generali bianchi al loro servizio, mentre i marinai, per presunzione, ne scartarono i giusti consigli e andarono incontro molto più rapidamente al loro destino. I bolscevichi furono infine superiori nell’organizzazione e quindi nel sostegno che ebbero. Lo spontaneismo di Kronštadt, provò a collegarsi spontaneamente con gli operai di Pietrogrado. L’Opposizione Operaia all’interno del Partito Bolscevico, che sosteneva di essere saldata in classe con gli operai di Pietrogrado, dopo aver difeso Kronštadt, si unì al Partito Bolscevico nella repressione. Gli operai di Pietrogrado, saldati in classe con sé stessi, lasciarono soli i marinai di Kronštadt. Se questo non vuol dire che appoggiarono i bolscevichi, significa comunque che non stettero dalla parte dei marinai. Al contrario, passarono proprio dalla parte dei bolscevichi molti marinai di Kronštadt, quando si accorso che i principali loro capi se l’erano svignata in Finlandia un momento prima della disfatta. Anche come capi, dunque, i marinai non furono all’altezza dei bolscevichi.
La Seconda Rivoluzione, la Rivoluzione d’Ottobre, divorò i marinai che credevano di avere in grembo la Terza, dimostrando che in una guerra civile non c’è spazio per tre contendenti ma solo per due: rivoluzione e controrivoluzione, rossi e bianchi..
Una Rivoluzione più grande può papparsi una rivoluzione più piccola, in miniatura, ma in generale una rivoluzione non divora mai i suoi figli, se li pappa sempre tutti, purtroppo, la controrivoluzione che sopraggiunge subito dopo.
Per gli anarchici, a Kronštadt la Rivoluzione è morta, per altri fu terreno di appoggio per lo stalinismo. Sicuramente in parte è vero, ma anche se agli anarchici dispiacerà, Stalin, per il suo regno, non si appoggiò solo alle norme coercitive ereditate dai bolscevichi. Il famoso divieto delle frazioni varato in quei giorni al X Congresso del Partito Bolscevico aiutò certamente l’ascesa di Stalin. Ma non è detto che la repressione di Kronštadt gli sia stata d’aiuto più del suo primitivismo. Infatti, Stalin, non appena poté liberarsi della guardia di Lenin, fece subito leva sugli elementi più amorfi, ingenui e meno preparati. E non si può non sottolineare almeno due caratteriste dello stalinismo che furono presenti anche nei marinai di Kronštadt. Come nella maggior parte dei contadini, anche nei marinai serpeggiava un vago antisemitismo. In periodi grami di penuria, era facile scaricare tutti i problemi sugli ebrei. E anche Stalin usò il mito del “Boiardo malvagio” nei momenti di maggior difficoltà. La rabbia contro Trotsky, a Kronštadt si esprimeva non di rado sottolineando «l’ultimatum dell’ebreo Trotsky». Ma l’altro aspetto ancora più importante su cui certamente fece leva Stalin, è lo scarso internazionalismo dei ribelli. Sebbene i marinai si dichiarassero internazionalisti, in realtà non andarono mai molto più in là di un socialismo nazionale. Il socialismo in un solo paese, in fondo, gli bastava anche se era ancora di là da venire. E non è detto quindi che dopo la repressione, quel che rimaneva di Kronštadt, non si sia poi ritrovato nella Leva Lenin voluta da Stalin per drogare il Partito con elementi amorfi pronti a seguire ed approvare una linea più semplice e meno complessa di quella originaria dei bolscevichi.
IL ROMANZO DI KRONŠTADT
Che sia difficile trovare una risposta soddisfacente al problema Kronštadt, è testimoniato come sempre dalla letteratura per così dire d’avanguardia. Se ci fosse una soluzione pratica per i casi come Kronštadt, ci sarebbe anche in teoria.
Il pensiero anarchico nasce prima delle Rivoluzioni, è un prodotto comunque originale del movimento operaio. Giusto o sbagliato che sia, ha una sua dignità storica. Con tutte le sue versioni è, in fondo, in tema di rivoluzioni, l’unica alternativa al marxismo che non sia ridicola prima ancora di presentarsi al cospetto della classe operaia. Diverso è invece il discorso con tutte quelle correnti e sottocorrenti, nate molto dopo se non addirittura adesso, che si propongono per l’abolizione del capitalismo senza alcun legame vero e proprio con la classe operaia, e che pensano di poter criticare il bolscevismo dall’alto della loro scienza infusa. Non sono le solite accuse che dovrebbero preoccupare i sostenitori dei bolscevichi, ma la povertà delle soluzioni al problema a dover mettere in guardia gli anarchici.
Se analizziamo una delle più vistose di queste correnti, la setta di Socialismo Rivoluzionario, scopriremo che i nuovi apostoli han risolto il problema di Kronštadt riproponendo il solito vecchio vangelo, fatto di comunanza, fratellanza e umanesimo. In queste tre caratteristiche, la sintesi del nuovo Spirito Santo che dovrebbe fare la Rivoluzione.
I socialisti rivoluzionari di oggi, ristampano le Opere Scelte di Trotsky con nostra somma gratitudine, ma nelle loro introduzioni ci fanno sapere di aver preso le distanze e di essere ormai lontanissimi dal comandante dell’Armata Rossa. I motivi, è presto detto, stanno nella concezione statalista della Rivoluzione, nel determinismo marxiano che non ha retto alla prova della Storia e naturalmente nella repressione di Kronštadt. Di qui tutta una serie di strani libri che ci invitano a stare dalla parte della rivoluzione e contro i bolscevichi, e che in termini marxisti significa, né più né meno, stare dalla parte della rivoluzione contro la rivoluzione! Non stupiscono simili ridicolaggini, quel che fa ridere è che le nuove soluzioni umaniste si presentino come valide per il solo fatto d’essere state enunciate. Che debbano essere messe loro alla prova della Storia, prima di buttare a mare quelle presunte malriuscite, ai nuovi socialisti rivoluzionari non passa neanche per l’anticamera del cervello. Che la loro nuova fratellanza e il loro nuovo spirito rivoluzionario non abbiano nulla da offrire al nostro futuro, perché la loro soluzione è già tutta contenuta nel presente del loro movimento, sfugge agli adepti. Al terrore rosso e al massacro di Kronštadt, i socialisti rivoluzionari di oggi hanno rimediato con la nuova fratellanza dedita allo scambio umano, alla non-violenza e alla cultura, il tutto rigorosamente circoscritto all’interno della loro setta esclusiva. Sfido io che siano pieni di soldi. Quale capitalista non è in fondo felice di sborsare due oboli per un movimento anti-sistema, così innocuo che pensa che per sovvertirlo basti ritagliarsi una nicchia al suo interno in cui recitare i suoi periodici sermoni a vecchi e nuovi adepti?
E questa sarebbe la soluzione, solita, agli errori dei bolscevichi e alla repressione di Kronštadt. Il che riconferma, per l’ennesima volta, che un’altra soluzione per Kronštadt non c’è, perché anche le prossime Kronštadt, purtroppo, o si risolveranno col sangue, o resteranno irrisolte.
MARZO È MORTO, EVVIVA L’OTTOBRE!
Evitando Kronštadt, forse i bolscevichi avrebbero resistito più a lungo. Forse a livello internazionale avrebbero avuto più appoggio. Perché è chiaro come ogni errore rafforzi l’avversario. Ma evitare un errore anche grave non significa che si possano evitare tutti gli errori.
Le prossime rivoluzioni avverranno su una base tecnologica molto più avanzata. L’estrema miseria degli anni eroici della guerra civile, seguiti dopo l’Ottobre, forse potrà essere evitata con un pizzico di accortezza in più. È un augurio più che un’ipotesi. Di certo c’è, per ora, che le prossime rivoluzioni o saranno marxiste come le altre o non saranno. E se saranno marxiste dovranno comunque prepararsi all’eventualità d’una Kronštadt. Speriamo che l’esperienza d’una repressione serva per non ripeterla. Ma qualora ci tocchi di nuovo, faremo ancora il nostro dovere, sperando di adempierlo con meno danno. Sarebbe già un progresso. Dopo, calmate le acque, spenti rancori e maligni spiriti di vendetta, ricorderemo i marinari di tutte le Kronštadt, passate e future, come rivoluzionari anch’essi, caduti spontaneamente sotto i colpi della disciplina rivoluzionaria. Per loro cercheremo di non avere calunnie ma le parole oltremodo sensate dello schiavista in nome della libertà Thomas Jefferson, pronunciate in difesa del terrore: «molti colpevoli furono eliminati senza previo giudizio, e, con essi, alcuni innocenti. Questi io li rimpiango come chiunque altro […] Ma li rimpiango come li rimpiangerei se fossero caduti in battaglia».
Evitare l’inevitabile è impossibile. Condirlo con vendette a tre mesi di distanza, sì. Di più non si può fare, perché un partito rivoluzionario, come diceva Bordiga, una volta giunto al potere deve fare solo una cosa: battersi per non perderlo. E per non perderlo deve assolutamente vincere.
Ogni altro discorso o modo di impostare la questione, è controrivoluzionario.
Stazione dei Celti, Aprile 2011.