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lunedì 11 aprile 2011

LA TEORIA DELLA DECRESCITA, IL VOLTO NUOVO DEL RIFORMISMO


Il problema del riformismo è vecchio come il movimento operaio, e si ripresenta in forme nuove. Lo si può sconfiggere per un certo periodo, poi ritorna. Come il gigante Anteo riprendeva forza quando toccava la terra, così le radici sociali del riformismo, da ricercare nell’aristocrazia operaia e nella piccola borghesia, lo rigenerano continuamente, e la lotta deve riprendere.
Le riforme sono necessarie, ma il riformismo ha con esse un rapporto distorto, perché sacrifica il grande scopo della lotta rivoluzionaria, l’emancipazione dalla schiavitù salariale, a vantaggi spesso contingenti, effimeri.
Il problema del rapporto tra riforme e rivoluzione è stato chiarito magistralmente da Rosa Luxemburg. Le riforme servono al rafforzamento della classe ascendente, fintantoché essa non è abbastanza forte da conquistare il potere politico. Ma rimangono sempre mutamenti all’interno del sistema, nessuna serie di riforme potrà far passare un paese da un sistema economico sociale ad un altro, per far ciò occorre una rivoluzione: “Riforma legislativa e rivoluzione non sono dunque metodi diversi del progresso storico, che si possono scegliere al buffet della storia, come salsicce calde o fredde, ma sono momenti diversi nello sviluppo della società classista, che si condizionano a vicenda ma nel medesimo tempo si escludono a vicenda, come il polo nord e il polo sud, la borghesia e il proletariato” (1)
Il movimento operaio deve necessariamente lottare per riforme essenziali, come la riduzione per legge dell’orario di lavoro, l’aumento e la salvaguardia delle pensioni, un’assistenza sanitaria decente, ecc, ma nessuna di queste importantissime e indispensabili rivendicazioni aprirà la via al cambiamento di sistema economico e sociale. Capitalismo era e capitalismo resterà. Si può uscirne solo con una rivoluzione.
Invece assistiamo al proliferare di numerose dottrine, lo sviluppo sostenibile, ecocompatibile, o la decrescita, felice, infelice, serena, la critica moralistica alla società dei consumi, ecc. Più che di riforme, si tratta di velleità, perché tutti pretendono di cambiare radicalmente la società, ma lasciano salario, prezzo, profitto, il capitale, il mercato, l’impresa, ecc, l’azione dei quali riproduce continuamente proprio questa società. Come dire: aboliamo il feudalesimo, ma lasciamo la servitù della gleba, la corvée, il ripatico e l’erbatico, le ordalie, il guidrigildo, i cavalieri, vassalli, valvassori e valvassini.
Dal sito dell’associazione per la decrescita (decrescita.it) traiamo il famoso programma delle otto R: “rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.” (2)
Vediamo i singoli punti:
1) “Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.”
Confesso che trovo più stimolanti le prediche di Benedetto XVI. Il taglio è pienamente idealistico: rivediamo i valori e la società cambierà. E’ vero, riconoscono che i problemi sono suscitati dal sistema, ma il cambiamento viene inteso, non come una lotta rivoluzionaria, ma come una modificazione della nostra coscienza. Eppure, oltre 160 anni fa, Marx ed Engels scrivevano: “Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell’uomo normale, ecc., essi hanno regolato i loro rapporti... Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dalla loro immaginazione, sotto il cui giogo languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all’essenza dell’uomo, dice uno; a comportarsi criticamente, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà esistente andrà a pezzi”. Così Marx ed Engels parafrasavano e prendevano in giro Bauer, Stirner e compagni. Oggi, l’errore idealistico si ripete: basta cambiare i nostri valori, con la stessa facilità con cui si cambiano gli euro in dollari, e la società diventerà altruista, conviviale e gioiosa. Facile, nevvero? Un po’ come la ragazzina che annotava tra le cose da fare il giorno successivo: “comprare il rossetto, andare a lezione di musica, cambiare personalità...” Non è
diversa l’impostazione di Berlusconi, quando dice che la crisi economica si supera con l’ottimismo. Ci sono milioni di tonnellate di manuali americani che insegnano cose simili, millantano di essere in grado di cambiare le vita dell’individuo, ma almeno non pretendono di cambiare la società.
“Organizziamo la nostra vita...” Può farlo il figlio di un industriale, che può scegliere se fare una vacanza alle Maldive o perfezionare l’inglese ad Oxford, divertirsi con le ballerine o comprare un ristorante, partecipare a gare tra velisti o studiare l’aramaico, aiutare il padre nell’azienda o presentarsi alle elezioni. Ma un operaio, che ogni giorno deve passare ore sui treni dei pendolari, lavorare alla catena di montaggio, quale scelta ha, tornato stanco a casa, se non stendersi su una poltrona davanti al televisore, e nella maggior parte dei casi addormentarsi? Oppure, sulla base di nuovi valori conquistati – per esempio per far prevalere “il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro” - dovrebbe licenziarsi, per poi essere sfrattato e mandare allo sbaraglio moglie e figli? Quante sono le donne che rinunciano ad avere figli perché sanno di non potere assicurare loro una vita degna di essere vissuta? La nostra vita non è libera, è condizionata da un valore che non abbiamo scelto, che per semplificare chiameremo denaro, e ci potrà liberare soltanto una rivoluzione estremamente radicale, non certo le chiacchiere psicologico - sociali di un brillante professore universitario.
2) “Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.”
In questa favola idealista, l’economia si sposa con l’immaginazione (altro che “finanza creativa!”).
La ricchezza e povertà sono intese non come rapporti reali, ma come concetti, tuttavia, come direbbe Hegel, ci si propone di “garantire non tanto il discernimento, quanto l’edificazione”.
In altre parole, ci si immagina di essere ricchi o poveri, ma basta ricontestualizzare, mutare il senso, e la povertà sparisce. In altre società era possibile dormire in una botte ed essere stimato come filosofo, oggi, chi cerca di vivere come Diogene rischia di essere cosparso di benzina e dato alle fiamme da figli di buona famiglia che vogliono combattere la noia.
Ad Haiti, prima del terremoto, il 58% della popolazione era denutrita, in Eritrea il 68%, nel Burundi il 63% (Istituto Geografico De Agostini). Davvero la penuria, la pressione delle multinazionali, la corruzione delle amministrazioni locali possono essere combattute modificando il contesto concettuale ed emozionale, il punto di vista con cui la situazione è vissuta? Qui siamo davvero al pensiero magico!
3) “Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.”
Facile a dirsi. Gli operai della Fiat vanno da Marchionne e gli dicono: “Come sei arretrato! Non vedi che bisogna cambiare le strutture economiche produttive, i modelli di consumo. Altro che 18 turni massacranti, dobbiamo ridurre la produzione, fare solo auto ecologiche, e capovolgere il carattere sistemico dei valori dominanti”.
4) “Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).”
Un sistema gigantesco, che va dalle compagnie americane che schiavizzano masse enormi di latino americani, che non esitano ad assoldare bande per far fuori sindacalisti scomodi, che lanciano insetticidi dagli elicotteri irrorando equamente piante, animali e uomini al lavoro; continua con una rete di trasporti, che prevede l’uso di sostanze conservanti il cui impatto sulla salute è forte, e una
catena di supermercati, discount o grandi magazzini con relativa pubblicità. Questa catena di interesse enormi dovrebbe smobilitare senza fare resistenza di fronte ai mercatini locali? Il capitale, finché si trova di fronte manifestazioni innocue come quelle di ecologisti e fautori della decrescita, lascia correre, ma se si trovasse di fronte a ostacoli reali, ricorrerebbe a tutti i mezzi, dalla concorrenza “sleale” alla dinamite, dalla repressione statale all’intervento delle varie mafie e allo squadrismo.
Inoltre, anche ammesso e non concesso che si lasci fare, se rimanesse il profitto, le zone più produttive tenderebbero a estendere la loro zona di vendita, perché dal piccolo agricoltore, dal piccolo commerciante rinascerebbe regolarmente il capitalista. I membri delle corporazioni e dei comuni medievali si circondavano di divieti d’importazione e d’esportazione e di dazi, limitavano la produzione, perché intuivano che senza di ciò la loro autonomia sarebbe stata travolta da altri comuni e produttori più forti. La generalizzazione del piccolo mercato locale necessiterebbe di una continua protezione e costituirebbe un gigantesco salto all’indietro verso il medioevo, e quindi è possibile solo nelle fantasie dei fautori della decrescita.
5) Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.
“Predare di meno!”. Ditelo allo stato più potente della storia, che si è impadronito con la forza del petrolio iracheno, suscita rivoluzioni colorate al fine di creare intorno alla Russia una cortina, per costringerla a vendere il suo surplus energetico a chi e alle condizioni che Washington sceglie. Che ha subito occupato i pozzi iracheni, ma ha lasciato incustodito il museo di Bagdad, permettendo una gigantesca rapina di opere d’arte, in seguito vendute ai migliori offerenti. Ditelo alle multinazionali che suscitano continuamente guerre sedicenti tribali nelle zone minerarie più ricche, arruolando con la forza o con l’inganno bambini soldato. Persino come rivendicazione morale è scarsa: predate pure, ma con moderazione.
6) “Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.”
E questo sarebbe possibile lasciando il profitto? Si pensi solo alla speculazione edilizia, che divora il territorio, distrugge foreste, spiana colline, occupa spiagge e zone archeologiche. Il capitale si deve riprodurre, e per farlo si mette sotto i piedi ogni esigenza umana, ogni necessità di salvaguardia della natura, ogni rispetto umano.
Anche se gli americani consumassero di meno, chi fornirebbe i beni a popolazioni non in grado di pagare? Nel 1973/74, mentre la carestia creava innumerevoli vittime nel Sahel e nel Bangla Desh, il governo degli Stati Uniti riduceva la superficie coltivata a grano di 20 milioni di ettari, pagando ai coltivatori oltre tre miliardi di dollari all’anno in sussidi per far cessare la produzione in gran parte dei campi. Nel 1974 in Bangla Desh c’erano disponibili 4 milioni di tonnellate di riso. Ma la popolazione era troppo povera per acquistarla, e furono trasferiti di nascosto in India dove il prezzo del riso era doppio rispetto al Bangla Desh. (3)
Le madri possono anche insegnare ai bambini che l’acqua è un bene prezioso, e questi possono ridurre il getto al minimo mentre si lavano i denti, ma intanto il sistema di trasporto idrico italiano, trascuratissimo, perde almeno il 40% del liquido, i trafori per l’alta velocità squarciano le montagne e distruggono fonti preziose, e nel mondo piratesche compagnie s’impadroniscono di questo bene che rivendono a prezzi di usura.
7) “Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.”
Il capitale, a mano a mano che il mercato si satura, crea nuovi prodotti che durano di meno, per poterli sostituire più facilmente. Un’auto costruita in gran parte a mano, ancora negli anni ’40 e cinquanta, aveva una durata notevole, mentre oggi resiste ben poco. Se una lampadina dura più di un certo numero di ore viene scartata come se fosse imperfetta. Se un prodotto non è fatto per durare, la riparazione diventa più costosa della stessa sostituzione, oltre che rivelarsi presto inutile.
Un buon calzolaio può riparare scarpe di cuoio, ma vale la spesa riparare scarpe di plastica o di cartone? La distribuzione, il consumo, non possono prescindere dalla produzione. Molti prodotti sono programmati per una vita effimera, non sono riutilizzabili, e sono candidati alla spazzatura.
8) “Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.”
E’ una cosa che si può fare in certi casi, ma anche le imprese addette a questo compito seguono la via del profitto, riciclano solo quello che può dare profitti, e il resto andrà ad ingombrare le discariche o finirà bruciato nei cosiddetti termovalorizzatori.
Allora, che fare? Rassegnarsi a farsi soffocare da un sistema invivibile, annientati da lavori opprimenti, e circondati dalla spazzatura? Assolutamente no. Chi non si fa condizionare dalle classificazioni e dai giudizi che la società borghese preconfeziona, è in grado di scoprire che anche il marxismo si è posto gran parte di questi problemi, ma ha respinto l’idea velleitaria di affidarne la soluzione alla buona volontà dei singoli. Nel 1952, quando molti fautori della decrescita ancora non erano nati, Amadeo Bordiga scriveva un programma per i paesi sviluppati, che prevedeva il disinvestimento, una radicale riduzione dell’orario di lavoro, l’innalzamento dei “costi di produzione”, per cominciare a modificare il rapporto tra lavoro necessario e plusvalore in attesa del superamento del capitalismo, un piano di sottoproduzione, con una riduzione forzosa di tutti quei consumi artificiali o dannosi indotti dalla società capitalista.
“Si tratta dell'esatto contrario di ciò che oggi come ieri qualunque opportunista predica verso la classe operaia esortandola a lottare per una impossibile società borghese del benessere.” “Fine della contraddizione fra le aree urbane e il resto del territorio. Le mostruose concentrazioni abitative dovranno incominciare ad essere drasticamente ridimensionate e la popolazione ridistribuita. In parte ciò sta già avvenendo, ma in modo del tutto capitalistico, cioè gli abitanti vengono espulsi dai centri cittadini per far posto ad uffici e attività commerciali. La popolazione non si redistribuisce sul territorio ma si concentra in aree periferiche minori, con dispendi enorme di energia per i trasporti pendolari, giunti in alcune parti del mondo sviluppato a limiti assurdi. D'altra parte alcune aree un tempo abitate vengono abbandonate e il precedente habitat, meno disumano, viene perduto a favore delle nuove concentrazioni.” (4)
Questi compiti non erano proposti alla buona volontà degli individui o a filantropi, come facevano i socialisti utopisti. Era un compito del proletariato, organizzato al seguito della sua avanguardia rivoluzionaria, il partito di classe.
C’è l’obiezione di chi dice. Sia il riformismo sia la concezione rivoluzionaria hanno fatto fallimento, il capitale è sempre più forte. Rispondiamo che la lotta tra le classi spesso ha un percorso carsico. Il marxismo è nato in un periodo rivoluzionario, ma dopo la sconfitta della rivoluzione 1948/49, Marx ed Engels si trovarono quasi soli, senza un partito, con un piccolo numero di amici. Le possibilità di conquista delle masse sorgono solo in epoche rivoluzionarie, in epoca di deflusso i grandi partiti sono conquistati dall’opportunismo, di cui quello social sciovinista della socialdemocrazia e quello staliniano – nazionalista grande russo sono i casi più noti. Chi proclama che nel suo paese non ci saranno più rivoluzioni, rischia di essere un pessimo profeta come Miliukov, che poco tempo dopo assistette alla rivoluzione di febbraio e a quella di ottobre.
D’altra parte, quale altra forza, se non una rivoluzione, potrebbe ripulire le stalle di Augia dell’età dell’imperialismo, a cominciare dal nostro paese, dove il Po è inquinato, non solo dagli scarichi industriali, ma anche dalla cocaina, di cui una società che ha perso ogni controllo non sa più fare a meno.
Quindi, lottiamo per le riforme indispensabili, partendo dai lavoratori salariati, l’unica forza di massa che può ottenerla, se si libera dalle direzioni opportuniste, ma non dimentichiamo che senza rivoluzione, le possibilità di dar vita a una società più umana sono nulle.
Michele Basso
27 luglio 2010

Note:
1) Rosa Luxemburg, “Riforma sociale o rivoluzione?”, parte seconda, par. 3, “La conquista del potere politico”.
2) Serge Latouche ,”Il programma delle Otto R”, decrescita.it, sito dell'Associazione per la Decrescita.
3) Ernest Mandel, “La Crisi. Una risposta marxista alle congiunture attuali (1974-1978).
4) “Il programma immediato della rivoluzione in occidente” (Riunione di Forlì del Partito Comunista Internazionale, 28 dicembre 1952).

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