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domenica 1 maggio 2011

RITORNARE AD ANTONIO LABRIOLA




Antonio Labriola, già dagli albori, aveva colto bene la vera essenza di un autentico Partito Socialista. Egli che, a differenza di Turati, (il quale gli viene contrapposto da alcuni storici come Arfè, perché lo ritengono più concretamente “realista” rispetto al “dottrinale” Labriola), è invece a tutti gli effetti un politico marxista assai moderno. Forse più del “positivista” Turati, soprattutto nel rapporto tra teoria e prassi.
Per Labriola il partito dei lavoratori può diventare egemone, non con la semplice acquisizione da parte di un gruppo minoritario di una coscienza marxista, e neppure con l’eversione, ma nel momento in cui matura concretamente al suo interno nuove forme di convivenza e di politica concepite nella lotta. Nella ricerca di una nuova funzione sociale nell’ambito di un modello propositivo socialista.
E ciò può realizzarsi, secondo Labriola, solo mediante l’attuazione di un modello partecipativo
Purtroppo sia il Partito Comunista che quello Socialista spesso nel dopoguerra ad esso subalterno, tranne che nel periodo craxiano, hanno messo in atto un modello dirigenziale di stampo gramsciano, in cui è la classe dirigente a decretare le linee guida e a sviluppare il conseguente modello del centralismo democratico.
Mentre l’elaborazione di un vero nuovo partito socialista che sia coerente con le sue più autentiche origini, deve tornare al Labriola ed è quello in cui non vi è che una “compagnia partecipativa” (cosa che non fu di sicuro il PSI di Bettino Craxi)
E gli intellettuali, coerentemente con ciò, “non sono né padroni, né né duci, né intraprenditori, ma soltanto i dotti della compagnia”
Mi piace Labriola più di Turati perché Turati, anche se fondò il Partito Socialista, restò sempre un evoluzionista e un positivista, fautore di riforme sociali, pacifiche e integrabili nel sistema capitalistico di produzione. Invece Labriola fu sempre un rivoluzionario, un "eversivo" anche dai tempi del suo impegno universitario, e ostacolato per questo dai peggiori reazionari dell'accademismo di allora come Mamiani (che paradosso inaccettabile è il fatto che un liceo classico sia tuttora intitolato a Mamiani e non a lui!).
Labriola lo scrisse chiaramente a Turati nel 1891, sottolineando le profonde differenze tra la loro impostazione teorico pratica ed affermando: "La linea assoluta del Socialismo la intendo quanto voi, perché ho il temperamento degli uomini estremi, e non sono né positivista né evoluzionista"
Egli ebbe una grande intuizione, valida allora come oggi: un nuovo partito, se vuole diventare effettivamente rivoluzionario, deve avere il "coraggio" di "nascere come minoranza qualificata". Labriola non aveva dubbi nel merito. La storia infatti non ammette l' "allevamento artificiale" e una organizzazione generica di massa non può che svolgere battaglie di retroguardia.
E la storia gli ha dato ragione, sia allora che oggi, non dargli retta è costato al PSI permanenti scissioni e oggi la costituzione di "partiti contenitori" non fa altro che mettere sotto gli occhi di noi tutti la retroguardia della civiltà politica, economica e sociale a cui siamo destinati in Italia.
Scriveva lucidamente Labriola nel 1891 a Turati: "non so perché non si possa appartenere ad un piccolo partito quando si ha la coscienza di essere assolutamente nel vero! Ma il piccolo partito crea dei nemici aperti, esige una grande energia di volontà, non apre la vie delle carriere politiche, non dà la platea - è un contro senso, insomma, di tutte le passioni italiane, che sanno sempre di faccenderia e di commedia"
Il suo pensiero in sintesi si può ricondurre a tre principi
A) Rappresentare concretamente e nettamente l'autentica cultura e dottrina socialista
B) Subordinare tutto alle assemblee popolari e al confronto con il popolo, la società civile, quella che allora si chiamava classe operaia e aveva le sue assemblee, e oggi è costituita da tanti che dialogano nei posti di lavoro, nelle strade e in Internet e sono accomunati dalla voglia di cambiare radicalmente la società.
C)Non fare del parlamentarismo un feticcio ed una bandiera, cioè accettare la bandiera dell'antiparlamentarismo nella misura in cui il parlamentarismo si riduce a giochi di potere e assemblea di rappresentanti lobbistici di interessi avulsi dalla base popolare che resta l'essenza della democrazia. Portare in Parlamento la bandiera del popolo sovrano con intento rivoluzionario, per scardinare le logiche autoreferenziali della politica parlamentaristica lobbistica.
Ascoltate lo stesso Labriola quando dice che era consapevole che un giorno le fila del nuovo partito non sarebbero state più costituite solo dalla classe operaia perché "L'esercito di riserva col nome di disoccupati aumenta di numero, e la proletarizzazione, così in città come in campagna, cresce di intensità, una parte non piccola degli artigiani (oggi diremmo piccole e medie industrie), ignara della mala sorte che a tutti sovrasta, si butta ai ripeghi illusori e ciarlataneschi delle società di mutuo soccorso e delle cosiddette cooperative (che oggi producono precarietà a profusione)"
Sembrano scritte oggi, in concomitanza con la crisi attuale.
Allora, quando c'è il rischio che il Socialismo italiano sparisca persino dalla memoria, non si torni ai fiumi, dove tutto scorre e nessuno si bagna mai la stessa volta, e nemmeno alle sorgenti, certe volte prosciugate o inquinate, ma addirittura alla pioggia che genera entrambi.
Quella che, se non inacidita dal fumo della confusione dei valori, inevitabilmente e sempre, incombe su di noi, come una condanna o una liberazione.
E per una volta, cerchiamo di non aprire l'ombrello.

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