Il movimento dei giovani “indignados” spagnoli è emerso improvviso, ma non certo inatteso, dalla apparentemente piatta calma sociale europea. A partire dal giorno in cui ha fatto irruzione sulla scena (il 15 maggio, da cui la denominazione “15-M”), ha rapidamente ingrossato le sue file, richiamando migliaia e migliaia di persone in strada, superando anche i confini nazionali.(1)Nonostante l’importante e ingombrante presenza di forze politiche minoritarie della sinistra istituzionale, la mobilitazione è stata in gran parte spontanea ed è corsa sul passaparola e sulle pagine dei social network più che sui manifesti dei partiti.
Secondo il manifesto del movimento “Democrazia Real, Ya!”, primo promotore delle manifestazioni, quel che i giovani rivendicano in piazza sarebbe in sostanza maggiore democrazia ed equità sociale. (2) A molti è parsa evidente la somiglianza tra il movimento 15-M spagnolo e i “grillini” italici. È parsa evidente pure a patron Beppe, che infatti non ha tardato a presentarsi in piazza a Barcellona, sottolineando egli stesso gli aspetti simili nelle richieste contro l’oligarchia dei partiti, per l’esclusione degli indagati dalle liste elettorali e per una democrazia partecipata. Rimanendo a questo livello, c’è da segnalare che ad avvantaggiarsi del movimento potrebbe essere soprattutto la Izquierda Unida, che dall’attuale sistema elettorale risulta fortemente danneggiata.
Ma c’è da dubitare fortemente che una tale descrizione del movimento sia esaustiva. Se tra i vari striscioni presenti alla Puerta del Sol ne campeggiava uno nero, grande, che urlava “La crisis es el capitalismo”, nessuno dei vari inviati ne ha parlato. Così come pochi hanno inquadrato correttamente le spinte sociali che hanno portato così tanti giovani in piazza, in tutto il paese. Scorrendo i dati più recenti, si scopre che in Spagna il numero dei senza lavoro a marzo è cresciuto di 34.406 unità rispetto a febbraio, toccando quota 4,3 milioni di persone (secondo i dati addomesticati del ministero del lavoro); nel solo settore dei servizi si sono persi quasi 15 mila posti in un mese; già a febbraio il tasso di disoccupazione spagnolo era al 20,5 %, il dato più alto dell’Unione Europea. Se si guarda alla disoccupazione giovanile, questa affligge addirittura il 44,6% dei giovani con meno di 25 anni. Il governo spagnolo spera di contenere il debito pubblico al di sotto del 74,3% nel 2012, a condizione però di riuscire ad abbattere drasticamente la spesa pubblica e il deficit di bilancio, che attualmente viaggia all’11,4%. Chiunque risulterà eletto alle amministrative di questi giorni, in particolare, dovrà fare i conti con bilanci in profondo rosso. Municipalità e regioni incidono per circa la metà della spesa pubblica totale. In tutto, si contano ben 5200 entità locali e regionali, il cui debito si attesta intorno ai 26 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere circa 4 miliardi di crediti vantati dalle aziende farmaceutiche fornitrici degli ospedali pubblici.
Il movimento, in effetti, appare molto più variegato di come viene descritto, segnato da un profondo malessere sociale le cui radici affondano nelle caratteristiche particolari del sistema produttivo spagnolo e più in generale nella crisi del capitalismo globale, che ha colpito la rampante economia spagnola in maniera durissima. La malapianta è il capitalismo stesso, come hanno giustamente scritto i giovani spagnoli a Madrid. Questa pianta, che parassita sulla stragrande maggioranza proletaria della popolazione, non può essere di certo curata con illusorie iniezioni di democrazia ed equità sociale. Le aspirazioni sociali più profonde, che i giovani stanno cercando di portare in piazza, sono fondamentalmente legittime e devono essere sostenute, partecipando attivamente alle manifestazioni e favorendo l’allargamento delle proteste. I comunisti devono però chiarire che l’aspirazione all’equità sociale e ad una vera partecipazione “democratica” non possono essere ottenute “ya!”, “subito!”, senza un radicale e totale ribaltamento dell’attuale sistema sociale. È palese infatti che il ricco banchiere o l’industriale non saranno mai davvero sullo stesso piano di un operaio o di un giovane disoccupato, finché i primi terranno il controllo dei mezzi di produzione e i secondi potranno al massimo sperare di trovare una occupazione dove essere sfruttati alle condizioni imposte dal “mercato”.
In ogni caso, non dobbiamo certo essere noi proletari ad avere a cuore le sorti del sistema che si nutre del nostro stesso sfruttamento. Gettiamo invece acido sulle radici di questa malapianta, colpiamola nel cuore stesso della produzione, cercando sul territorio l’unità tra i proletari al lavoro e i tanti che il lavoro lo hanno perso o non lo hanno mai trovato. In Spagna ed altrove, l’obiettivo deve essere di allargare e radicalizzare su posizioni classiste il conflitto sociale, per arrivare a rivoluzionare l’intera società e costruirne dal basso una nuova, che soddisfi i bisogni dell’uomo e non il profitto. In Spagna ed altrove, l’obiettivo deve essere la costruzione di un’avanguardia rivoluzionaria, che sappia unificare e dirigere politicamente quel profondo malessere sociale. Altrimenti la piazza avrà svolto il ruolo di cassa di espansione per contenere la piena di risentimento ed indignazione “popolare”, senza che questa sia stata capace di esprimere una connotazione di classe, senza lasciare sul campo una rinnovata e più diffusa coscienza dei contrapposti interessi in gioco e senza delineare alcuna prospettiva di più ampio respiro, tesa a liberarsi finalmente del sistema produttivo alla base di tutti gli attuali dissesti sociali.
Battaglia Comunista
28 maggio 2011
1. Alla mezzanotte del 21 maggio, 25 mila persone si trovavano raccolte alla Puerta del Sol di Madrid, cuore della protesta dei giovani spagnoli, violando il divieto di manifestazione a ridosso delle prossime elezioni amministrative. Nello stesso momento, altre 10 mila persone manifestavano a Barcellona, in Plaza Catalunya, e in migliaia affollavano le piazze di tutte le principali città della Spagna.
2. In breve, tra le proposte ci sono molte riforme di carattere democratico: abolizione di varie leggi, tra cui quella elettorale, considerate ingiuste; referendum per la conferma di tutte le leggi più importanti; abolizione della monarchia; completa separazione fra lo Stato e la Chiesa, senza nessun finanziamento statale ad istituzioni religiose; separazione e divieto di interferenza tra politica e magistratura; provvedimenti contro la corruzione e lo strapotere della “casta” politica, che comprendono apertura delle liste elettorali, esclusione degli indagati dalle cariche pubbliche, riforma del finanziamento ai partiti, taglio alle pensioni vitalizie; decentramento amministrativo, con coinvolgimento di regioni, provincie, comuni nella gestione dei bilanci; democrazia più diretta grazie al web e alle reti di telecomunicazione. L’altra direttrice è la lotta contro ledisparità sociali: riforma fiscale a favore dei redditi più bassi; tassazione delle rendite finanziarie; nazionalizzazione delle banche salvate dal fallimento con finanziamenti statali; limiti alla precarietà; salario minimo. Infine, rispetto dell’ambiente e pacifismo: chiusura immediata di tutte le centrali nucleari e sostegno alle energie alternative; aumento dei trasporti pubblici e diminuzione delle auto private, piste ciclabili e biglietti gratis ai disoccupati; riduzione delle spese militari e divieto di intervenire in qualsiasi scenario di guerra.
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