Con l'ultima uscita di Brunetta,
sembra azzeccato riproporre un articolo di un paio d'anni fa.
In una tazzina dell’Espresso1, uno dei più neri caffè che la borghesia convinta d’essere di sinistra si sorbisce una volta alla settimana, e che finché avremo la rogna del capitalismo dovremo purtroppo grattarci, scopriamo che l’ultimo nano malefico venuto fuori dalla greppia parlamentare, quand’era a Strasburgo sulle spalle anche dei lavoratori europei e non solo di quelli italiani – tanto è leggero! – si presentava in aula una volta su due. Evidentemente allora, al Parlamento Europeo, non c’erano i tornelli. Ma anche ci fossero stati, a nulla sarebbero valsi con uno che ci passa sotto!
Nella legislatura che va dal 1999 al 2004, si è fatto vedere 166 volte, pari al 53,7% delle sedute. Il restante delle volte è stato desaparecido, ma non per merito suo. La colpa è di qualche perdigiorno che non se l’è sentita di rubare proprio tutto lo stipendio, perciò, con una mano sul portafogli e l’altra sul rimasuglio di scrupolo proletario rimasto, ha messo un paletto che limita al 50% il numero delle assenze, oltrepassato il quale, si perde il diritto alla prebenda integrale. Senza questa “legge vergogna”, Brunetta, molto probabilmente, avrebbe polverizzato tutti i record.
A parte una strage di case e di ville da sogno comprate per niente, tante altre credenziali da mostrare non ha, l’ex consigliere di Craxi, i cui stratosferici, già noti meriti arrivano fino ad Hammamet, dove speriamo lo raggiunga presto, risparmiandoci così le scene strappalacrime che Bettino ci ha imposto. Per uno che, vista la stazza, potrebbe stare largo e comodissimo nella casetta-fungo dei puffi, non c’è male.
Un simile feed-back, alias riscontro, se ancora non fosse sufficiente per svendere, Sua Bassezza il Ministro, a un’asta immancabilmente al ribasso su E-bay® ai primi inceneritori che se lo volessero comprare, e che sarebbero certamente quelli della Marcegaglia, dovrebbe perlomeno bastare per farlo stare zitto. Macché!
Quand’anche per un momento di follia, però, riconoscessimo il merito a chi, oltre al solito, non ne ha mai avuto uno, bisognerebbe subito sottolineare che una simile, improbabile incoronazione è stabilita dal metro fasullo di una meritocrazia borghese.
Da oltre duecento anni, i borghesi hanno il vizio di trasformare la loro particolare concezione storica delle cose, in concezione universale, eterna. Già questo dovrebbe bastare per farsi entrare in un orecchio e uscire immediatamente dall’altro ogni loro sibilo. Solo chi è ben conscio della parzialità del suo giudizio, può aspirare ai prati eterni del pensiero; chi già ce lo presenta come universale, nella sua ignoranza, non sa che salvo miracoli varrà il tempo che trova. I borghesi, non avendo mai avuto la ben che minima idea su nulla, scambiano ogni barlume che gli passa nel cervello per chissà quale folgorazione divina. Credono di avere trovato, nei loro ridicoli principi, la legge del mondo, quando dovrebbe essere ormai chiaro che al di là della leggi di mercato e dei loro corollari, non sanno pensare ad altro.
Per i proletari, la meritocrazia borghese, fuori dalla costrizione legale che comporta, non ha alcun valore, nemmeno qualora venga usata come nobile pitale per i bisogni notturni e diurni. Si potrebbe chiudere un occhio e farla passare, se cominciasse dal punto giusto: dall’alto. È facile far la lotta ai fannulloni nei gironi dell’inferno, lasciando in pace quelli del Paradiso nei quali ci si è pasciuti fino adesso all’interno della rosa dei beati. O la meritocrazia comincia dall’alto dei potenti, o non si alza di un centimetro dal lecchinaggio ai loro piedi. Certo, non si può pretendere che a colpire l’alto dei cieli sia un nano che ha difficoltà ad alzarsi un micron da terra. Riconosco l’errore d’ingenuità, viziato dal mio estremismo di fondo. Ma chi mal comincia l’opera, può rimettersi in carreggiata in fretta, magari regalando i trampoli al Ministro. Se poi dovrò alzare anche i tornelli, farò volentieri gli straordinari. Di tutto sono disposto a fare pur di vederlo inciampare e ruzzolare lungo i gradini della sua stessa scala meritocratica!
Anche chiudendo un occhio, però, i proletari, con l’altro, continueranno a vederci attraverso la loro visuale. E guai a cambiargli prospettiva. Meritocrazia padronale e meritocrazia operaia sono due cose diverse e irrimediabilmente inconciliabili tra loro. Per i padroni merita non chi lavora, ma chi si lascia sfruttare a sangue. Per i lavoratori merita più di tutti chi si difende e lotta contro lo sfruttamento. Il padrone promuove chi ha il merito di non dare noie. Essere un incubo per il padrone in tema di diritti, è il merito più grande che un lavoratore possa esibire davanti ai suoi colleghi. Fregarsene dei sindacati e dei tesseramenti, è il primo valore aggiunto che ogni padrone vorrebbe dal suo dipendente modello. Per i lavoratori più coscienti, quello è il vero prototipo del crumiro. I veri lavoratori modello si tengono stretti la loro tessera della CGIL, non la mollano per nessun motivo, e difendono a spada tratta il loro sindacato da tutti gli attacchi infidi degli Ichino e della giornalaglia che glielo vorrebbero far abbandonare solo per la burocratizzazione evidente. Ha la coscienza più sporca dei suoi padroni quel servo che vuole ripulire i sindacati senza toccare il marciume di chi è responsabile, in buona parte, di averli insozzati. Un operaio che tra la mafia dei padroni e la mafietta dei sindacati, si schieri con la seconda, sta sempre dalla parte giusta. L’importante è che, da quella parte, non ci stia come un burattino. Un operaio attivo in un sindacato passivo e semiparalizzato, è un granello di sabbia pulito che assieme a tanti altri può rischiarare, dal fondo, tutta l’acqua ancora sporca in cui nuota e affonda coi milioni di lavoratori che si sono iscritti. Un operaio che abbandoni il sindacato e lotti dall’altra parte, è un disastro ecologico irrimediabile che va aggiungersi all’inquinamento nero del capitalismo. Ripulire il mondo dal capitalismo, è il compito del lavoratore, non rimanerne imbrattato.
Morale: per i padroni merita qualunque schiavo li serva, per i lavoratori, al contrario, soltanto chi si vuole affrancare dalla schiavitù salariale è degno di rispetto. La meritocrazia proletaria esalta chi lotta, quella borghese chi si arrende. Se proprio devono fare a gara tra loro, i lavoratori si sfidino a chi ha l’azienda più agguerrita in fatto di relazioni sindacali e di conquiste sociali. Con il metodo Brunetta i cialtroni e i mediocri avanzeranno, mentre retrocederanno i guerrieri. A dimostrazione dei primi abbiamo tutta la classe borghese, mediocre fin nelle ossa; a riprova dei secondi abbiamo Dante De Angelis, ferroviere licenziato per avere denunciato la mancanza di sicurezza in Trenitalia, senza che la meritocrazia privata di Brunetta abbia battuto ciglio. Più dei fannulloni, la meritocrazia padronale punirà gli attivisti sindacali, i “rompiballe”, i Chico Mendes, i quali se non verranno assassinati – per altro solo grazie ai diritti rimasti dopo 200 anni di lotte – saranno comunque licenziati in massa.
E dei fannulloni e degli assenteisti veri? I lavoratori più coscienti rifiutano in partenza ogni discussione sulla questione e si schierano a priori dalla parte di tutti i fannulloni d’Italia, anche quelli che escono dal lavoro per andare a fare la spesa sulle spalle dei pochi rimasti a sgobbare. Perché? Perché nessuna concessione i proletari possono fare ai borghesi finché non ci parleranno dei milioni di assenteisti forzati, dei milioni di disoccupati e precari che non rientrano neanche nei conti fasulli di Brunetta2. La quota di plusvalore che ci mangiano i lavoratori sfaticati è nulla rispetto al furto dei milioni di salari che ci vengono addirittura negati per mantenere i Brunetta e tutte le altre pulci del capitale come lui. I fannulloni sono un problema nostro e solo nostro. E con loro faremo i conti alla fine di una rivoluzione vera, mai prima, mai durante una controriforma reazionaria spacciata per riformismo progressista.
Tanto più che a ben guardare, siamo sicuri che siano davvero dei fannulloni? Con tutta la tecnologia che abbiamo disposizione, già oggi sarebbe possibilissimo, e i marxisti lo sanno bene, ridurre l’orario a 6 ore al giorno per quattro giorni la settimana, dal lunedì al giovedì. La fannullaggine è solo la risposta istintiva del popolo che, di fronte a un potere che pur di continuare a sfruttarlo gli nega ciò di cui avrebbe diritto, finisce per prenderselo lo stesso per le vie traverse dell’assenteismo.
Il bello è che non ci sono solo i marxisti a sapere queste cose. Tempo fa le sapeva anche – udite! Udite! – Brunetta, il quale si è dato da solo la zappa sui piedi tanti anni fa, scrivendo in un opuscolo, forse per ricordarsela, l’unica cosa furba che abbia mai pensato in vita sua. L’opuscolo parlava – manco farlo apposta – della riduzione dell’orario di lavoro! E non c’è dubbio che stesse parlando proprio del nostro, perché il loro, i Brunetta, non sanno nemmeno cosa sia.
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom-Cgil
1 L’espresso del 13 Novembre 2008 – nella “propaganda padronale”, non inganni l’articolo, Che furbetto quel Brunetta, di emiliano Fittipaldi e Marco Lillo.
2 Per la truffa sulle cifre di San Brunetta che annienta l’assenteismo si veda tra i tanti:
Nessun commento:
Posta un commento