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sabato 9 luglio 2011

IL CAPITALISMO DI STATO TRA BORDIGA E L’INDUSTRIALISMO DI STATO di L. Mortara

IL CAPITALISMO DI STATO TRA BORDIGA E L’INDUSTRIALISMO DI STATO

-appunti estratti da un dibattito-

di Lorenzo Mortara


Ma voi marxisti in quanti siete rimasti?

Uno uguale milione come diceva Gramsci;

e voi liberali quanti siete? Un miliardo uguale a nessuno

come ogni testa mediamente sottopensante può intuire...

Marxista di provincia del XXI Secolo



Lo scritto Mrs Trotsky contro Mr Trotsky non poteva che incrementare le inesauribili polemiche sulla natura dell’URSS. Buon segno, vuol dire che è stimolante, di più non bisogna pretendere. Tuttavia, non mi aspettavo l’attacco inviperito dei bordighisti, in quanto ho sempre considerato la tesi del capitalismo di Stato una costola del trotskismo, quindi una polemica inter nos. Infatti, le polemiche coi bordighisti, almeno per i marxisti come me, sono finite da quando, questi ultimi, sono usciti dall’orizzonte della classe operaia per richiudersi per sempre nel loro guscio settario. Da allora, i bordighisti, viaggiano paralleli al movimento operaio senza che nulla li tocchi. Perché il bordighismo, in effetti, è l’ala “metafisica” della classe operaia. In ogni caso, siano come siano i seguaci del grande fondatore del nostro Partito, nel batti e ribatti è emersa la questione dell’industrialismo di Stato, versione bordighiana del capitalismo di Stato, che merita un approfondimento.

Se non se ne fa una questione di orgoglio personale, tipico di chi vuole aver sempre ragione su tutti, sicuro di non sbagliarsi mai, si può comunque trarre qualche utile precisazione anche da queste scaramucce e mettere meglio a fuoco la nostra teoria.

Non riporterò i nomi dei vari compagni che sono intervenuti nel dibattito, perché l’eventuale lettore potrebbe non averlo seguito e quindi perdersi in rimandi introvabili. L’importante è riportare correttamente le posizioni. Il resto si capirà da sé.

Quando ho letto per la prima volta Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, ho notato che Bordiga usa sia l’espressione capitalismo di stato che industrialismo di stato. Poiché si toccano sulle dita di una mano monca, i passi in cui cerca di farne una distinzione, a fine lettura l’impressione che ne ho sempre avuta è che si tratti sostanzialmente della stessa cosa. Non è vero, però, come ho scritto affrettatamente all’inizio del dibattito che le due espressioni coincidano. D’altra parte, non è nemmeno vero quello che ha sostenuto il mio primo contraddittore che l’industrialismo di Stato sia cosa molto differente dal capitalismo di Stato. Rileggendo meglio il pensiero di Bordiga, in realtà, una sottilissima differenza c’è. Dunque, la verità sta, per una volta, esulteranno i mediocri, a mezza strada. È stato il secondo contraddittore, urtato come una medusa e più col tono di un kapò che quello di un compagno, a metterci sulla giusta strada. Citando il Dialogato con Stalin (per altro non contenuto nel testo classico di Bordiga sulla questione), ha mostrato come Bordiga sosteneva che la Russia non solo non era «nella fase del primo socialismo, ma nemmeno in un completo capitalismo di Stato» (corsivo mio, da tenere bene a mente). Per completo capitalismo di Stato Bordiga intendeva un’economia in cui ogni prodotto fosse commercializzato dallo Stato in grado di fissare, così, tutti i rapporti di equivalenza, compresa la forza lavoro. Ora, in Russia, nel 1938 ma direi anche fino al 1989-91, con «la crescita imponente del capitalismo statale nell’industria e del semicapitalismo statale-cooperativo in agricoltura» – è Bordiga che parla – si era ancora lontani da questo sistema, ed era più corretto parlare di industrialismo di Stato (gli ultimi due corsivi sono sempre espressioni indirette di Bordiga).

Se si è letto però bene questi passaggi, senza genuflettersi davanti a semplici espressioni, cosa ne consegue? Ne consegue che, per Bordiga, l’industrialismo di Stato, non è che un capitalismo (non completamente) di Stato, un suo stadio inferiore. E infatti lo stesso Bordiga, nella Parte seconda del suo famoso libro, al paragrafo 92, nei cinque gradini delle forme russe di economia ai tempi della Rivoluzione d’Ottobre, mette nell’ordine: «patriarcalismo; piccola economia contadina mercantile; capitalismo privato; capitalismo di Stato; socialismo». Come si vede, l’industrialismo di Stato, non è presente. Per forza, essendo soltanto una sottospecie di capitalismo di Stato, in termini marxisti una sua variazione quantitativa. Per essere più precisi, è il capitalismo di Stato che è una modificazione quantitativa dell’industrialismo di Stato, o, che è ancora la stessa cosa, l’industrialismo di Stato è una quantità minore di capitalismo di Stato.

Cosa cambia? Per noi marxisti pressoché nulla, per i bordighisti probabilmente tutto.

Per noi marxisti resta sempre da stabilire a chi appartenga questo benedetto Stato, se al proletariato o alla borghesia. In quest’ultimo caso restano confermate tutte le nostre obiezioni al famoso capitalismo/industrialismo sovietico sui generis senza cicliche crisi, né mercato del lavoro né esercito industriale di riserva eccetera, eccetera.

Per i bordighisti, che mai hanno risposto a queste obiezioni, come gli altri del resto, resterà forse solo da decidere, una volta stabilita la non equidistanza, quale tra i vari imperialismi colpire maggiormente, e quindi innanzitutto gli USA in quanto imperialismo più potente. O forse resterà qualcos’altro, non lo so, e non essendo un bordighista lascio volentieri a loro la risposta definitiva.

Per tutti gli altri compagni, la questione speriamo si chiuda qua. Di buono c’è che il dibattito è almeno servito a scrivere questa brevissima scheda che spero potrà essere utile come vademecum sulla questione, per chi vorrà discutere, come me in fondo, con amore sempre più millimetrico di precisione.


Stazione dei Celti

Sabato 9 Luglio 2011

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