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sabato 9 luglio 2011

MRS TROTSKY CONTRO MR TROTSKY di L. Mortara


MRS TROTSKY
CONTRO MR TROTSKY
- ancora sulla natura dell’URSS -


Siamo il solo partito che ha realmente previsto gli eventi,
non nella loro concretezza empirica, naturalmente,
ma nella loro tendenza generale
Lev Trotsky, In difesa del marxismo


La lettera del 9 Maggio 1951 con cui la moglie di Trotsky, Natalia Sedova, comunicava all’esecutivo della Quarta Internazionale di non essere più d’accordo con la tesi del marito che vedevano nell’URSS uno stato operaio degenerato, ma un nuovo capitalismo di Stato, ha riaperto su queste colonne il dibattito su un tema che i più giudicheranno datato o addirittura superato, ma che invece, finché il movimento rivoluzionario non riprenderà il suo corso e risolverà con la lotta il problema, sarà sempre di fondamentale interesse.
Per taluni compagni, sembra che essere la moglie di Trotsky, sia una prova sufficiente per avere ragione. Ma a questo punto i detrattori della teoria del capitalismo di Stato, potrebbero sempre aggrapparsi a Vsievolod Volkov, nipote di Trotsky, che ha invece tenuto alta la bandiera del nonno. Tuttavia, in questo modo, la questione della natura dell’URSS è ridotta a una lite di famiglia e non a questione di classe come in effetti è e come in effetti va risolta.
Per parte mia, l’istinto marxista, mi dice che per risolvere la questione, e cioè per stabilire definitivamente che Trotsky ha avuto ragione fino al crollo dell’URSS, basterebbe osservare che la tesi del capitalismo di Stato è sostenuta ancora oggi da dilettanti alle prima armi, idealisti romantici, delusi del Socialismo Reale, settari bordighisti, anarchici e, ad esempio in Italia, dai Testimoni di Geova Rossi, ovvero i compagni di Lotta Comunista, i “rivoluzionari” più innocui sulla faccia della terra.
Siccome però so che i compagni sono un po’ come San Tommaso e che le simmetrie non gli sono sufficienti come prove, cercherò di riprendere la questione dall’inizio per provare a riportarli ancora una volta sulla retta via.

CHE COSA HA DETTO TROTSKY
Citando qua e là gli innumerevoli articoli e saggi dedicati al tema, si finisce quasi sempre col far dire a Trotsky tutto quello che uno vuole. In realtà il pensiero di Trotsky sulla difesa dell’Urss e sulla sua natura è di una chiarezza cristallina.
Per Trotsky la difesa dell’URSS di Stalin, coincideva con la difesa delle due conquiste fondamentali della Rivoluzione d’Ottobre: la proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione economica. Queste due conquiste, secondo Trotsky, erano conquiste del proletariato ed erano storicamente colossali, per questo andavano difese coi denti e con le unghie anche se non costituivano il socialismo, ma solo i suoi prerequisiti minimi. Inoltre, la completa statalizzazione dei mezzi di produzione, rispetto alla statalizzazione parziale dei paesi capitalistici, come ad esempio quella degli USA del New Deal di Roosevelt, non costituiva più per lo Stato una modifica quantitativa, ma qualitativa, di qui la tesi che lo Stato sovietico, per il suo modo di produzione, fosse uno Stato operaio. In effetti, per passare allo Stato operaio, la Rivoluzione d’Ottobre aveva dovuto spezzare lo stato capitalistico dello Zar e sostituirlo con uno nuovo.
Con la controrivoluzione burocratica di Stalin, per Trotsky, la fase di transizione dal capitalismo al socialismo, si era arrestata e non procedeva più per il verso giusto, ma al contrario stava rapidamente tornando indietro, fino al pieno ripristino del capitalismo. Tuttavia Stalin, pur avendo fatto piazza pulita del Partito bolscevico e praticamente di tutte le altre conquiste della Rivoluzione D’Ottobre, non era riuscito a debellare anche la pianificazione e la proprietà statale dei mezzi di produzione, anzi la sua dittatura poggiava proprio su quelle due conquiste rivoluzionarie. Proprio per queste due conquiste non ancora liquidate, l’URSS andava considerata uno Stato Operaio anche se deformato. Fino a che non fossero state debellate, per Trotsky era compito di ogni comunista difenderle dall’attacco dei paesi capitalistici che non vedevano l’ora di invadere l’URSS per debellarle.
La minaccia a quelle due conquiste, però, non veniva solo dall’esterno dell’URSS, ma anche dall’interno, dalla burocrazia stessa che, staccandosi sempre più dalle masse, secondo Trotsky, avrebbe finito per ripristinare il capitalismo. Di qui la necessità di una nuova rivoluzione in Russia, questa volta solo politica, che debellasse la cricca di Stalin, salvaguardando la pianificazione economica e la proprietà statale dei mezzi di produzione.
Queste due conquiste, inoltre, conferivano all’URSS, dal punto di vista storico e della lotta di classe, il suo carattere progressivo. Non solo: fino a che la burocrazia era in grado di sviluppare le forze produttive, tutto sommato sarebbe stata lei la guardiana delle ultime conquiste dell’Ottobre. Tuttavia, la burocrazia avrebbe fatto sempre più da freno allo sviluppo sovietico, e poiché la burocrazia non avrebbe mai rinunciato ai suoi privilegi, piuttosto che togliersi di scena, per salvarsi la pelle, avrebbe finito con liquidare anche le ultime due conquiste dell’Ottobre.
Con la sempre più spinta degenerazione dell’URSS, le purghe di tutti i rivoluzionari, la decimazione dell’Armata Rossa e infine il patto Ribbentrop-Molotov, furono in tanti a contestare a Trotsky la difesa dell’URSS. Secondo costoro l’URSS non era più uno stato operaio degenerato, quindi tra l’URSS di Stalin e gli altri paesi non c’era più alcuna differenza. Allo teoria dello stato operaio deformato, sostituirono quindi la teoria del Capitalismo di Stato o quella del Collettivismo burocratico.
Ai suoi critici, Trotsky, rispose sempre rinfacciando loro di non essere in grado di spiegare dove e quando le ultime due conquiste dell’Ottobre erano state debellate. E ribadiva che fino a che queste due conquiste resistevano in Russia, l’Unione Sovietica continuava ad essere uno Stato Operaio, le cui basi produttive andavano difese contro tutti e contro tutti. La difesa dell’URSS era quello e solo quello, e non pregiudicava affatto la lotta a morte contro la burocrazia di Stalin.

SEDOVA ADDIO!
La storia del marxismo, grosso modo dalla fondazione della Quarta in avanti, è storia di solitudine, di persecuzione, di repressione, di morte, di immenso dolore, di disincanti, di disillusioni, di scoraggiamenti, di rotture e ahimè anche di molti opportunismi e capitolazioni. La distanza siderale che ha separato i marxisti dal resto della classe operaia, ha tolto a molti compagni la forza psicologica di reggere. La controrivoluzione stalinista ha costretto il marxismo nell’ombra per tutto un periodo storico che ancora non è finito. Salvaguardare la teoria, difendendola da ogni sorta di revisionismi, è quanto ci è stato dato dalla Storia. Anche evitando gli errori più grossolani, e la Quarta e suoi seguaci ne hanno fatti a bizzeffe, difficilmente avremmo potuto invertire la rotta. Troppo sfavorevoli ci erano i rapporti di forza. Non tutti i compagni son riusciti a farsene una ragione, moltissimi, nell’attesa di un nuovo flusso storico che mai appariva all’orizzonte, si sono spazientiti capitolando a questa o a quella teoria credendo, forse, di poter accelerare i tempi. Naturalmente era un’altra illusione che, disgregando ancora di più il fronte dei marxisti in mille tendenze, finiva per allungarli ancora di più.
La teoria del capitalismo di stato come quella della collettivismo burocratico, sono appunto una costola del trotskismo, e dimostrano almeno quanto sia stato fecondo il pensiero dell’ultimo grande marxista
Natalia Sedova non fa eccezione, e nel 1951, non avendo più retto alle pressioni enormi dell’isolamento, o forse solo di un passato che le aveva sottratto tutti i suoi cari, ha preso le distanze dalle teorie del marito.
Precedentemente, in una Lettera aperta al Parti Communiste Internazionaliste, la frazione maggioritaria, all’epoca (1947), del movimento trotskista francese, scritta insieme con Benjamin Péret e Grandizio Munis, la Sedova aveva già preannunciato quello che avrebbe poi formalizzato quattro anni più tardi1.
Molti compagni si limitano ad esaltare la grande compagna e pensano che sbandierare le sue lettere sia sufficiente per sbrogliare la questione e gridare vittoria: le nostre tesi hanno finalmente avuto la meglio! Leggere attentamente il contenuto e vagliarlo alla luce del marxismo di Trotsky è invece il compito che dovrebbe assumersi un compagno più serio e preparato. Il sentimentalismo, mai come in questi casi, è deleterio.
Nelle lettere in questione, la Sedova, dopo avere rimarcato giustamente che lo stalinismo secondo Trotsky avrebbe riportato indietro la Russia al capitalismo, ne deduce che nel secondo dopoguerra «sfortunatamente è ciò che è accaduto, sebbene sotto forme nuove e inattese». Subito dopo, però, invece di mostrarci queste forme nuove e inattese, la Sedova ci dice solo che in nessun Paese come in Russia i rivoluzionari sono perseguitati «in modo così barbaro» e spietato. Invece di spiegarci dove la struttura economica dell’URSS si sia modificata, la moglie di Trotsky ci parla del peggioramento della sua sovrastruttura politica. Già questo dovrebbe metter in guardia i sostenitori, con lei, del revisionismo del pensiero di Trotsky.
Nella lettera scritta con Péret e Munis, la Sedova, si era però spinta un po’ più in là nei dettagli. Dopo averci dato altre sacrosante delucidazioni sovrastrutturali, accusando il governo russo di aver contribuito da solo «alla sconfitta della rivoluzione mondiale e allo stato di prostrazione delle masse molto più di tutti i governi capitalisti messi insieme», ai marxisti che le facevano notare l’esproprio dei capitalisti nei paesi dell’Est occupati dai russi, controbatteva che in realtà «la cosiddetta espropriazione non è altro che la nazionalizzazione […] dei mezzi di produzione, nazionalizzazione dei mezzi di produzione che di per sé non è che un risultato automatico della concentrazione del capitale nella fase del suo declino, cioè della sua degenerazione e disgregazione». E qui sta la tomba delle forme nuove e inattese della Sedova, che non sono altro che una combinazione delle vecchie teorie del Capitalismo di Stato col Collettivismo burocratico di Bruno Rizzi.
Trotsky, nel suo libro La rivoluzione tradita, spiegava che in teoria era possibile un capitalismo di Stato che avrebbe diviso semplicemente i profitti tra gli azionisti facendo a meno della concorrenza. In pratica però, la concorrenza tra capitalisti, avrebbe sempre impedito di arrivare a un simile grado. Aggiungeva, inoltre, che lo statalismo alla Roosevelt alla Hitler o alla Mussolini, era un tentativo di salvare la proprietà capitalistica a scapito dello sviluppo delle forze produttive. E mentre Rizzi metteva questi stati sullo stesso piano dell’URSS, vedendo in queste nuove forme di dirigismo una nuova epoca a cui presto tutti si sarebbero adattati, Trotsky lo negava in quanto, a differenza di Rizzi, sosteneva che mai e poi mai gli stati capitalistici si sarebbero spinti fino alla completa nazionalizzazione. Perché tra le altre cose, la completa nazionalizzazione, eliminando la proprietà privata, non avrebbe più fatto da freno allo sviluppo delle forze produttive, al contrario ne avrebbe liberato come in Russia le ulteriori potenzialità. La completa nazionalizzazione socialista russa, era potenzialmente progressiva, quanto quella parziale capitalistica era impotente e reazionaria.
La nazionalizzazione completa, dunque, per ogni marxista che rispetti Trotsky, non è affatto un risultato automatico della concentrazione capitalistica, al contrario, a differenza di quel che sostengono Sedova e compagni, è un salto qualitativo frutto della rivoluzione armata e socialista. Ancora oggi, in effetti, non esiste un solo Paese capitalistico al mondo in cui sia stata nazionalizzata interamente l’economia. E proprio questa caratteristica è la prima che hanno perso i Paesi dell’Est al momento del ripristino del capitalismo. Eppure, dai tempi della Sedova, la concentrazione di capitali non ha conosciuto sosta. Se la nazionalizzazione è un prodotto della concentrazione, oggi invece di privatizzare l’acqua, dovremmo nazionalizzare anche il cielo.
Bisogna ancora aggiungere che la Sedova non comprendeva il carattere delle espropriazioni dei capitalisti nei paesi dell’Est. Accusava i vecchi compagni di attribuire in questo modo alla burocrazia sovietica un aspetto progressista e un «ruolo socialista e rivoluzionario». In realtà, anche in questo caso, è vero il contrario. La burocrazia per i marxisti ha sempre avuto un unico ruolo controrivoluzionario e non ha mai avuto nulla di progressivo. Non era infatti la burocrazia a espropriare i capitalisti, ma era l’effetto ancora vivo delle ultime conquiste dell’Ottobre a costringere i burocrati, che in definitiva si appoggiavano su queste, a farlo. Non era la stessa cosa. Alla Sedova e a quelli come lei sfuggiva il carattere ambivalente e dialettico anche della burocrazia.
Dalle stesse lettere della Sedova, emerge quindi che la struttura dell’URSS nel secondo dopoguerra, nonostante secondo lei non avesse assolutamente più niente «in comune con uno Stato operaio e con il socialismo», non era affatto cambiata rispetto a quella difesa incondizionatamente da suo marito. Dunque, sulla lapide delle forme nuove e inattese, fedeli al verbo in mancanza di meglio, i marxisti ancora nel 1951 non potevano che continuare a scrivere: Trotsky aveva e continua ad aver ragione!

LA NATURA DELL’URSS AI TEMPI DELLA STAGNAZIONE
Abbiamo appurato che almeno fino al 1951, la struttura economica dell’URSS non era né più né meno che quella dei tempi di Trotsky. Ciononostante per qualcuno continuò ad essere un capitalismo di Stato. E lo fu ancora di più quando con Breznev entrò definitivamente nella stagnazione. Eppure anche ai tempi di Breznev l’URSS non presentava alcun sintomo tipico dei paesi capitalistici. I sostenitori della tesi del capitalismo di Stato non hanno in fondo mai risposto alle obiezioni marxiste alle loro teorie. Se l’URSS fosse stata un capitalismo di Stato sarebbe stata né più né meno un paese fascista. Ma nessun Paese capitalista ha mai fatto la guerra fredda né calda a un altro Paese solo perché fascista. Più spesso l’ha sostenuto continuando a farci affari come se niente fosse. Un capitalismo di Stato, inoltre, non avrebbe dovuto cessare di funzionare alla maniera capitalistica, pena non essere più capitalismo. Eppure nel capitalismo di Stato sovietico – in termini marxisti fase di transizione tra il capitalismo e il socialismo con tratti un po’ dell’uno e un po’ dell’altro – non c’era più il tipico andamento capitalistico fatto di boom e recessioni; era sparito il mercato del lavoro; i padroni chiunque fossero non potevano comprare la forza-lavoro; le crisi cicliche erano sparite, cosa che non riusci né a Hitler né a Roosevelt; non vi era un esercito in industriale di riserva e nessuno poteva essere espulso dalla produzione solo perché stagnante. Se lo era, non era per colpa della stagnazione ma di qualche insubordinazione contro i burocrati. In definitiva, il capitalismo di Stato sovietico aveva tutte le caratteristiche di uno sfruttamento, tranne quelle peculiari del capitalismo! Proprio per questo i sostenitori della teoria del capitalismo di Stato, non paghi del primo errore, fecero il secondo parlando, addirittura, di imperialismo sovietico!
Dal 1951 al crollo dell’Urss intercorreva ancora parecchio tempo. Forse, quindi, negli anni seguenti e prima del crollo, i rapporti mutarono, chi può dirlo? Per esempio i marxisti degli anni ’70.
Negli anni ’70, in Italia, portare la bandiera del marxismo, toccò a un gruppo di dissidenti in seno ai Gruppi Comunisti Rivoluzionari (Gcr), la sezione italiana della Quarta Internazionale diretta dal disastroso Maitan. Entrato in rotta di collisione con le posizioni centriste sui generis di Maitan, questo gruppo, chiamatosi Tendenza Marxista Rivoluzionaria (Tmr), fu sbattuto fuori dalla Quarta e costretto a trasformarsi in Frazione Marxista Rivoluzionaria (Fmr). Non starò qui a riportare la vicenda, non è necessario2, quel che conta è che essendo arrivato alla conclusione il processo iniziato con quella lotta, oggi sappiamo con certezza che nella Tmr/Fmr era rappresentato il genuino interesse proletario; in Maitan e soci, visto la fine che hanno fatto come ridicoli scopettoni nei vari governi borghesi, si annidava l’opportunismo che li avrebbe riportati all’ovile.
Purtroppo, una volta usciti dalla Quarta, i dissidenti della Tmr/Fmr, invece di tenere alta la bandiera del marxismo, si persero anche loro nei mille rivoli dei revisionismi, approdando oggi al marxismo libertario, e cominciando da quel giorno a sostenere un po’ tutto e il contrario di tutto.
Nonostante questa deriva di cui non possiamo che rammaricarci, molto del loro materiale è ancora utilissimo. Relazionando sull’URSS di Andropov nel 19833, infatti, la Tmr/Fmr, demoliva ancora una volte le tesi del Capitalismo di Stato e dell’imperialismo sovietico. Dopo averci spiegato che nel Capitalismo di Stato sovietico «il direttore di fabbrica non ne è diventato proprietario, non è diventato un alto burocrate e non è scomparso come figura sociale: è sempre lì, immutabile nel tempo così come lo sono le relazioni industriali nell’Urss dalla sconfitta dei Comitati di fabbrica in epoca leniniana ad oggi», Roberto Massari passava al setaccio anche l’imperialismo russo, scoprendo che nessuno avrebbe potuto trovare «presenza del capitale finanziario sovietico in nessuna grande industria o trust internazionale degni del nome». Qualche traccia si sarebbe potuta trovare in «aziende di credito o nel campo dell’import-export, in genere nel terziario, o magari per costruire dighe, strade, palazzi, e sempre comunque in paesi ai quali i sovietici sono legati da rapporti politici o in cui sperano di stabilirli (l’Egitto, per una fase l’Argentina, oggi obbligatoriamente nell’Afghanistan da loro occupato)». E con questo, i compagni della Tmr/Fmr, tumulavano per sempre le sciocchezze dei maoisti di allora sul presunto socialimperialismo sovietico. Da allora, infatti, essendo ormai a un passo dal crollo dell’URSS, solo degli invasati avrebbero potuto sostenere che i rapporti di produzione in Russia fossero sostanzialmente modificati dai tempi di Trotsky e della sua difesa dell’URSS.
L’unico rammarico per dei marxisti incrollabili, è che dopo un’analisi così accurata e corretta, la Tmr/Fmr pensò bene che le conclusioni da tirare fossero «l’abbandono programmatico della vecchia parola d’ordine di difesa dell’Urss» e la nascita di una nuova Internazionale, la Quinta, la quale però non sarebbe più dovuta essere né un Partito né «un’internazionale di partiti, ma in primo luogo di movimenti». In sintesi, avrebbe dovuto essere un’Internazionale Anarchica. La Quinta Internazionale, per la Tmr/Fmr, avrebbe dovuto raccogliere il meglio delle quattro internazionali precedenti, in realtà in questo modo avrebbe solo preso il peggio della seconda, girandola semplicemente di segno: da un’Internazionale sempre più casella postale, a un’Internazionale senza più alcun indirizzo.
In realtà, come si può vedere, il cambio di impostazione della Tmr/Fmr non fu dovuto tanto alla mutata situazione, visto che la stessa relazione confermava, nel 1983, che la Russia era quella del 1938, quanto alla stessa Tmr/Fmr che cominciava a vedere la Russia e il mondo intero non più con le lenti del marxismo ma con quelle dell’anarchismo, sebbene nella versione sofisticata che è il libertarismo.
Per parte marxista confermo che non abbiamo alcun problema a revisionare Trotsky, ma per revisionarlo bisogna prima averlo compreso. E se la proposta di revisionismo viene da chi non l’ha compreso manco di striscio, è meglio chiudersi una volta di più e a riccio nella sua conferma. Come detto, infatti, per Trotsky finché fosse stata in grado di sviluppare le forze produttive, sarebbe stata la burocrazia stessa a difendere, alla sua maniera e in qualche modo, la proprietà statale e la pianificazione economica. Ma è quando a furia di far da freno avesse finito per impantanare la Russia che sarebbe salito alle stelle il rischio di vedere la burocrazia girarsi verso il capitalismo. È in quel momento che le due conquiste fondamentali avrebbero corso il rischio maggiore di venir travolte. Nel momento del massimo pericolo, la Tmr/Fmr, invece di alzare la guardia, finì per sguarnire completamente la difesa, teorizzando l’equidistanza tra pianificazione operaia dei Paesi dell’Est e competizione capitalistica dell’Occidente. Con simili avversari, per la burocrazia, segnare il gol decisivo del ripristino del capitalismo, fu come segnare a porta vuota. Invece di restare tra i pali e respingere le imminenti cannonate, i compagni della Tmr/Fmr, di fatto, si unirono alla burocrazia in combutta con gli imperialisti e andarono all’attacco degli ultimi resti dell’Ottobre! Complimenti! Per le forze esigue che erano, nessuno può rimproverare ai marxisti di tutte le tendenze, il ritorno del capitalismo in Russia. Anche con la miglior difesa, quella di Trotsky, probabilmente non avremmo potuto far altro che far da spettatori agli eventi. È certo però, che aver impostato correttamente la questione, è almeno utile a discernere tra i compagni da tenere in considerazione e a cui guardare, e quelli da buttar giù dagli spalti con tutti i loro revisionismi.

«L’ASSOLUTISMO BUROCRATICO»:
ULTIMA CONTRONATURA DELL’URSS
In sé e per sé potremmo anche finire qua la discussione. La Storia non ha prodotto altre analisi dell’URSS degne di nota. Qualche settario però ha sempre bisogno di distinguersi. Incapace di stare nel campo teoricamente giusto, dopo un po’ gli sta stretto anche quello sbagliato, così ne inventa uno nuovo che costituisce soltanto la sofisticheria sua personale di quello abbandonato. Per noi, in sé, non riveste alcuna importanza, sennonché dai suoi errori possiamo trarre ulteriori delucidazioni su quel che fu l’Urss fino alla fine dei suoi giorni.
In La rivoluzione è morta! Viva la rivoluzione4, il compagno Alberto Belcamino, sorta di bordighista sui generis, dopo aver abbracciato, come ogni sostenitore del capitalismo di Stato, la teoria degli opposti imperialismi Usa/Urss, scambiando l’epoca della Resistenza italiana addirittura per una guerra civile tra forze borghesi (fascismo/antifascismo)5, spiega che nel secondo dopoguerra lo stato operaio degenerato era scomparso, sin dal 1945-46, sostituito dall’avvento dell’Assolutismo burocratico. Già qui ci sarebbe da chiedersi come ha fatto uno stato operaio a scomparire dopo la seconda guerra mondiale e a costituire, durante, uno stato imperialista! Tutto si spiega naturalmente con la natura tipica del settario che dove c’è un più vede un meno, e dove c’è un progresso vede un regresso e viceversa.
La scomparsa dello stato operaio degenerato, ovviamente, non era dovuta alla soppressione della sua struttura economica, vale a dire delle famigerate ultime due conquiste dell’Ottobre, la proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione, ma ancora una volta ad argomenti sovrastrutturali. Non essendo sorto «un nuovo partito di massa che rovesciasse il vecchio partito stalinista, sciovinista e controrivoluzionario» non erano più visibili tracce socialiste, «ormai tizzoni spenti, essendo il fuoco dell’ “iniziativa cosciente” di classe cessato di ardere sui rami fradici d’acqua protesi sulla “palude” della società civile. Quivi, gli operai d’avanguardia non esercitavano più una funzione dominante...». In fondo, non c’è nient’altro nella teoria dell’assolutismo burocratico. Tutto, come si vede, è girato al contrario. Gli operai perdono il controllo definitivo dopo la guerra, anziché molto prima, e la burocrazia anziché essere più asfissiante prima, lo diventa dopo. Tutto il corso storico viene invertito. In realtà, se proprio di assolutismo burocratico si vuol parlare, ci si deve riferire all’epoca di Stalin. Lì l’aspetto burocratico dell’Urss raggiunse l’apice, con purghe e Gulag. Dopo, con Chruščёv, la destalinizzazione e un sensibile miglioramento economico, la burocrazia, che per Belcamino era ormai ritornata una classe senza però diritto di trasmissione, fu meno assoluta. Ma alla teoria dell’assolutismo burocratico questo non interessa. Questa teoria può negare il diritto ereditario e contemporaneamente affermare che i mezzi di produzione erano a titolo di usufrutto personale dei bruocrati! A noi quel che interessa sapere è che, a detta dello stesso Belcamino, la scomparsa dello stato operaio degenerato, andò di pari passo con la conservazione, oltreché di quanto sopra, anche con «le forme esteriori del “socialismo”, proprietà statale, economia di piano, monopolio del commercio estero...». Come si vede, l’assolutismo burocratico, in ultima analisi, è solo l’espressione del settario Belcamino per ridefinire lo stato operaio degenerato. Resta appena da aggiungere che avendo girato le cose al contrario, Belcamino ha chiamato anche forme esteriori del socialismo, quelle che in realtà ne costituiscono l’ossatura. Ecco perché, come ogni buon un settario, prendendole per fronzoli, può abbandonarne la difesa, ed ecco anche perché ogni buon marxista, sapendo, storicamente, quale tesoro immane rappresentino, non lo farà mai neanche sotto tortura.
Se invece di perdersi dietro nuove teorie alquanto deboli, i compagni leggessero più attentamente quelle vecchie, forse troverebbero utili suggerimenti per comprendere appieno anche quel che avvenne dopo la Seconda Guerra mondiale e che per loro resta un giallo avvolto nel mistero più assoluto. In fondo, è lo stesso Trotsky ad anticiparcelo nei suoi ultimi scritti.
L’avanzata nei paesi dell’Est dell’occupazione sovietica, almeno per la fortuna della nostra teoria, non data solo sul finire della guerra, ne abbiamo una interessante anticipazione anche all’inizio, quando Trotsky era ancora vivo e poté analizzarla. Quando Stalin invase la Polonia invitando la popolazione ad espropriare i capitalisti, Trotsky, nel suo ultimo libro, In difesa del marxismo, registrò che «le misure rivoluzionarie in campo sociale applicate mediante metodi burocratici, non solo non hanno nuociuto alla nostra definizione dialettica dell’URSS (il secondo corsivo mio), come Stato operaio degenerato, ma l’hanno innegabilmente rinvigorita»6. Ecco anticipato in quattro righe il secondo dopoguerra, senza bisogno di capitalismi di Stato, collettivismi burocratici, assolutismi burocratici e altre baggianate. L’avanzamento ad Est della pianificazione e della proprietà statale dei mezzi di produzione, rinvigorì gli stati operai sfigurati, specialmente quello russo che ne faceva da perno. Questo non invertì il processo che avrebbe riportato al capitalismo, ma allungò la vita allo stato operaio burocratico che invece di schiantarsi subito dopo o durante la guerra, riuscì a campare altri cinquant’anni. Ecco qua risolto il mistero.
Col crollo dell’URSS, il processo già delineato da Trotsky, giunge comunque a conclusione, con la burocrazia che si gira verso il capitalismo. La ragione evidente di Trotsky, per chi lo vuol ammettere, sta proprio nell’arretramento senza precedenti e su scala mondiale della classe operaia. Nel giro di vent’anni la classe operaia s’è vista ributtata indietro di quasi un paio di secoli. A cosa è dovuto questo arretramento se non alla perdita di quelle due conquiste storiche così enormi e colossali come la proprietà statale dei mezzi di produzione e la pianificazione economica? Il trentennio glorioso della classe operaia occidentale è più dovuto a quello, al riequilibrio su scala mondiale dei rapporti di forza, che al piano Marshall. L’eliminazione da mezzo mondo dei capitalisti è qualcosa di cui, pur in maniera distorta e diseguale, il proletariato mondiale ha beneficiato. Il loro ripristino su scala mondiale, di conseguenza, ha sancito la rapida fine della cuccagna.
Dunque, i marxisti si tengono stretta la lezione di Trotsky, e mettono in guardia i faciloni che la vogliono abbandonare, visto che da qualche parte, queste due conquiste, ci sono ancora.
Abbiamo appena assistito a un Congresso del Partito Comunista Cubano che non vede l’ora di liquidarle. Che sia giunta l’ora anche per la burocrazia cubana di girarsi verso il capitalismo? È probabile, perché senza una rivoluzione politica o l’estensione internazionale della rivoluzione prima o poi è inevitabile, quello che è certo è che la perdita di quelle due conquiste si ripercuoterà anche su tutto il Sud America, segnando probabilmente anche la fine del processo bolivariano in Venezuela e l’arretramento di tutti gli altri esperimenti vagamente progressisti presenti nella ragione. Quindi, chi ha già commesso l’errore di stare equidistante tra il secondo e il primo mondo, che altro non significa che equidistanza tra progresso e regresso della classe operaia, corra ai ripari. Perché come si dice: errare è umano, ma perseverare...


Stazione dei Celti,
Luglio 2011

1 La lettera è riportata in appendice al libro di Grandizio Munis, Lezioni di una sconfitta premessa di una vittoria – critica e teoria della rivoluzione spagnola 1930-1939, Edizioni Lotta Comunista, Milano 2007.
2 Chi vuole può leggersela nel libro di Roberto Massari, Il centrismo sui generis, Massari Editore, Bolsena 2006

3 Trovate il testo di Roberto Massari, La necessità di una Quinta internazionale, sul sito di Utopia Rossa.
4 Libro autoprodotto dallo stesso autore, per le citazioni, quindi, il lettore dovrà fidarsi della mia buona fede.

5 Tra l’altro, quel che successe in Italia nel 1945, non fu nulla di nuovo, ma la riproposizione in chiave italiana del fronte popolare spagnolo del 1936. In Italia come in Spagna, gli esponenti della classe operaia, entrarono a far parte del governo borghese di fronte popolare. L’unica differenza è che, in Italia, gli anarchici, in pratica, non c’erano. Ma così come in Spagna non mi risulta che Trotsky, solo per il tradimento di Stalin CNT e FAI, abbia mai parlato di guerra civile interborghese (sic!), così in Italia non c’è motivo per non parlare di guerra civile rivoluzionaria, deragliata, come sappiamo, da Togliatti e compagni.
6 Lev Trotsky, In difesa del marxismo, Edizioni Giovane talpa, Milano 2004

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