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sabato 8 ottobre 2011

Abdullah Saleh il marpione “USA-made”, di Riccardo Achilli


I rapporti fra gli USA e Ali Abdullah Saleh, il leader dello Yemen unificato dal 1990, e prima ancora leader dello Yemen del Nord sin dal 1978, sono da sempre amichevoli, lo stesso diretto interessato non ne ha mai fatto mistero, ribadendo più volte pubblicamente la sua amicizia con gli Stati Uniti, amicizia anche dimostrata con favori pratici.Interessante storia è quella dei guerriglieri yemeniti infiltrati nell'Afghanistan, negli anni Ottanta, per combattere l'Armata Rossa, e poi, dopo la ritirata sovietica, utilizzati per eliminare fazioni anti-americane dei mujahiddin.
Inoltre, Saleh ha giocato un ruolo fondamentale nella fusione per incorporazione dell'ex Yemen del Sud nel 1990, cancellando dalle carte geografiche quello che era un Paese socialista, e nell'emarginazione politica del partito socialista yemenita (dopo aver soffocato nel sangue la rivolta della popolazione sud-yemenita del 1994, che ambiva a ripristinare la perduta indipendenza, sostenuta anche e soprattutto dal partito socialista, che fino al 1990 era al potere nello Yemen meridionale).
Saleh ha peraltro accettato diligentemente di mettere in campo tutte le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione imposte dal FMI, al prezzo di un grave impoverimento del proletariato locale, e ciò dimostra ulteriormente la sua fedeltà al campo occidentale. Già nel 1995, il governo yemenita lancia il programma EFARP, finanziato da Banca Mondiale e FMI, mirato a creare convenienze per l'investimento industriale esterno ed a stabilizzare i conti pubblici. Tale programma neo liberista sarà rafforzato nel 1997, con l'avvio del programma di riforme imposto dal FMI tramite l'ESAF e l'EFF. Tali programmi neoliberisti di stabilizzazione delle finanze pubbliche e dell'inflazione, e di creazione di convenienze per gli investimenti industriali, sono stati attuati soprattutto tramite misure antiproletarie quali le massicce privatizzazioni e liberalizzazioni di servizi pubblici essenziali, la riduzione dei salari della P.A. ed il parziale smantellamento del sistema dei sussidi publbici ai prezzi dei beni di prima necessità.
Non devono trarre in inganno le frequenti iniziative terzomondiste e anti imperialiste inscenate da Saleh, più che altro per motivi di politica interna, come nel caso dell'invasione del Kuwait da parte dell'Irak nel 1990, quando votò contro le risoluzioni ONU che autorizzavano l'uso della forza. Più che per motivi anti imperialistici, Saleh era guidato da due obiiettivi: uno interno e l'altro internaizonale. Sul fronte interno, il nostro voleva ingraziarsi, riuscendoci peraltro in modo brillante, il sentimento anti americano e anti saudita di larga parte dell'opinione pubblica yemenita, senza peraltro creare alcun reale problema politico e diplomatico con gli USA. Sul fronte internazionale, le prese di posizione autonome servono a Saleh soprattutto per far pesare di più il suo Paese sul tavolo delle negoziazioni con gli alleati occidentali, USA in primis, relative alla fornitura degli aiuti economici e militari. In fondo, il voto contrario dello Yemen all'intervento della NATO contro l'Irak, nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, era del tutto ininfluente, come gli sviluppi successivi hanno dimostrato. Questa iniziativa, almeno sul fronte esterno, fu però un errore: nonostante la sua natura prevalentemente propagandistica e inoffensiva, Saleh dovette affrontare il rientro di circa 850.000 yemeniti espulsi per ritorsione dall'Arabia Saudita, e un drastico calo degli aiuti finanziari USA; la susseguente crisi economica generò la guerra civile del 1994, con il tentativo soffocato nel sangue, da parte dell'ex leadership dello Yemen del Sud, di riacquistare l'indipendenza cessata quattro anni prima.
Già a partire dal 1995, comunque, gli aiuti economici e militari internazionali ripresero, e dal 2003 ripartirono quelli statunitensi (che comunque non si erano mai del tutto interrotti, anche se nel periodo 1996-2003 furono minimi), questi ultimi per un ammontare medio di 20-25 milioni di dollari all'anno (Sharp, 2011). La posizione strategica del Paese, all'incrocio fra il golfo di Aden e il Mar Rosso, con il suo porto di Aden collocato proprio sulle rotte delle petroliere che riforniscono di petrolio iraniano ed iracheno l'Europa, nonché naturale ponte commerciale che collega il Medio oriente con l'Africa centro orientale, è troppo importante per gli interessi geo-strategici dell'Occidente e degli USA. La sicurezza del confine meridionale saudita, altro tradizionale alleato degli USA, da possibili infiltrazioni di gruppi politico/religiosi ostili alla dinastia salafita saudita è anch'essa fondamentale. Per cui è di grande importanza, per gli interessi degli USA in quella regione cruciale, che Saleh continui a tenere sotto controllo i gruppi tribali sciiti, che guarda caso si addensano proprio in corrispondenza della frontiera saudita.
Successivi tentativi di Saleh di adottare posizioni politiche autonome dagli USA, sempre motivati dalle medesime ragioni interne ed internazionali che lo guidarono nelle iniziative pro-Saddam, sono stati per lui molto più proficui ed efficaci, rispetto a quello fatto con l'Irak. Ad iniziare dalle crescenti relazioni di amicizia con l'Iran. Anche al fine di contrastare la ribellione, iniziata nel 2004, degli Houti (un gruppo guerrigliero sciita, che scondo il governo yemenita è appoggiato dall'Iran) , vengono intensificati i rapporti di amicizia fra Saleh ed Ahmadinejad. Ciò serve, da un lato, per ridurre il supporto della popolazione civile sciita ai guerriglieri, e dall'altro per ridurre il supporto esterno dell'Iran agli stessi. Di conseguenza, a dicembre 2010 Saleh stipula un tratto di cooperazione con l'Iran, nel quale ribadisce il suo sostegno ai progetti nucleari iraniani, anche in sede ONU. Anche in questo caso, però, occorre non cadere in errore. Saleh rimane un fedele alleato dell'Occidente, e le sue relazioni con l'Iran servono solo per scopi tattici (in questo caso legati a problemi interni di contrasto alal guerriglia sciita). Infatti, per quanto Saleh sia sciita, appartiene alla setta Zaidi, che è la setta sciita, peraltro particolarmente moderata e del tutto minoritaria in Iran, più vicina ai sunniti, soprattutto in materia di giurisprudenza e legislazione, tanto da essere considerata, da alcuni, "la quinta scuola dell'islam sunnita". In realtà, Saleh ha da sempre contrastato la fazione sciita filo-iraniana degli Houtis. In pratica, Saleh, nonostante un pò di diplomazia di buon vicinato con l'Iran, è uno sciita moderato e appartenente ad una corrente dello sciismo molto diversa da quelle che prevalgono in Iran, ed ha tutto l'interesse a contrastare, a casa sua, le fazioni sciite più radicali e più legate agli ayatollah, che nello Yemen costituiscono parte importante dell'opposizione.
L'ultimo gioco di prestigio di questa autentica volpe da bazar della politica araba che è Saleh è l'estrema tolleranza mostrata rispetto alla progressiva infiltrazione di Al-Qaeda nel Paese, sin dalla fine degli anni Ottanta, quando secondo Moghadam-Fishman (2010) Bin Laden cercò, senza successo, di promuovere una insurrezione nel Sud socialista. Le relazioni fra Saleh ed Al-Qaeda, la cui crescita nel Paese ha condotto all'istituzione di un gruppo ben strutturato, sono state ondivaghe, e caratterizzate da ocntinui cambiamenti di direzione. Con questo atteggiamento ambiguo e cangiante, la finalità di Saleh è sempre stata quella di strappare maggiori aiuti economici e militari agli USA, in cambio di periodici giri di vite sulle cellule qaediste, seguiti da nuove fasi di tolleranza. Basti pensare che la costituzione dell'Armata Islamica di Aden-Abyan (AAIA), che ha rappresentato il primo nucleo strutturato di Al-Qaeda nello Yemen, è stata favorita dallo stesso Saleh. E che nel 2006, una evasione di massa che, secondo molti è stata propiziata dal governo yemenita, ha consentito a 23 membri di Al-Qaeda, ivi compreso Al Badawi, organizzatore dell'attento dalla nave militare USS Cole nel porto di Aden nel 2000, di fuggire. Lo stesso Al Badawi, dopo esser stato ricatturato, è stato legalmente rilasciato nel 2007, con la scusa ufficiale (e poco credibile) che stesse collaborando con le forze di sicurezza yemenite per smantellare l'organizzazione.
E tale strategia ambigua, nonostante i rimproveri puramente verbali giunti dagli Stati Uniti, sembra aver avuto un notevole successo. Già nel Novembre del 2001, ovvero solo due mesi dopo gli attentati a New York, Bush, Cheney e Powell si recarono, come novelli re magi, a Sana'a, per stipulare il patto di cooperazione che Saleh voleva: maggior controllo e repressione delle cellule qaediste presenti nello Yemen, in cambio di un significativo incremento degli aiuti economici statunitensi. La presidenza Obama ha ulteriormente rafforzato questa politica di cooperazione, incrementando a dismisura gli aiuti allo Yemen, nonostante i gravi problemi di deficit del bilancio federale. Nell'anno fiscale 2010, infatti, gli aiuti statunitensi sono arrivati alla cifra record di 58,4 milioni, cui vanno aggiunti aiuti militari per 150 milioni. Nel 2011, nel pieno dell'ondata mondiale di indignazione per la violenta repressione della rivolta yemenita perpetrata da Saleh, Obama, mentre nei discorsi pubblici deplora la violenza del regime yemenita sui civili, chiede al Congresso di autorizzare ulteriori 106 milioni di aiuti per il 2011, e 115,6 milioni per il 2012. e l'accordo “denaro e supporto politico in cambio del controllo di al-Qaeda” continua a funzionare, a dieci anni dalal sua stipula.
Tra l'altro, lo stesso Saleh è, negli ultimi due anni, molto più interessato a stringere il cappio attorno alla presenza qaedista nel suo Paese, da quando cioè la marea dell'opposizione interna sta crescendo, e la capacità del Governo di controllare ampie zone tribali sta scemando. Infatti, vi sono seri sospetti che Al-Qaeda stia stringendo patti di alleanza, per quanto non stabili, con alcune tribù rurali, e ciò crea un evidente problema di potere allo stesso Saleh. L'ex ambasciatore USA nello Yemen, Edmund Hull, sostiene infatti che “non vi è alcuna affinità radicata fra Al-Qaeda e le tribù yemenite. Non vi sono evidenze di una crescita di matrimoni fra donne delle tribù e membri esterni alle stesse (che sarebbe il segno inequivocabile della nascita di alleanze strutturate, NdA). Tuttavia, le tribù tendono ad assumere comportamenti opportunistici, ed il rischioi è che Al-Qaeda sfrutti con successo opportunità generate dal conflitto fra alcune tribù ed il Governo”. La stretta su Al-Qaeda, condotta negli ultimi anni da Saleh per motivi di politica interna, è dimostrata dalla rinnovata collaborazione dell'intelligence yemenita con gli USA per l'eliminazione di Aulaqi, il leader dell'Al-Qaeda yemenita ucciso il 30 settembre scorso nello Yemen. La rinnovata feroce repressione di Al-Qaeda messa in scena di recente aiuta Saleh a contrastare l'opposizione interna, ed al contempo a preservare i suoi legami di amicizia con gli USA, e quindi il suo potere di fronte alle forti proteste popolari (non si dimentichi che una componente importante dell'opposizione è composta da movimenti salafiti, come Al Islah, o legati ai Fratelli Musulmani, tutti movimenti che hanno stabilito contatti con le cellule locali di Al Qaeda).
Saleh è un buon amico degli USA, e non sarà destituito a breve. Mentre la stampa dei Paesi "democratici" lo critica per il suo spietato e brutale dispotismo, la diplomazia USA lavora per tenersi buono il suo alleato, come dimostrano le dichiarazioni di Obama, che ha ringraziato lo Yemen per la sua collaborazione nell'uccisione di Aulaqi, e la sua assicurazione che gli USA non faranno niente per attentare alla sovranità del governo yemenita (cfr. Washington Post del 01/10/2011). Certo, gli USA preferirebbero sostituire Saleh con qualcuno di altrettanto amichevole e servizievole nei momenti importanti, ed al contempo meno astuto nel negoziare e meno ambiguo, e magari più presentabile di fronte all'opinione pubblica mondiale. Ma il panorama attuale delle famiglie tribali del Paese non fornisce nessuna figura di questo genere. Ed il tirmore di una opposizione all'interno delal quale si agitano elementi sciiti radicali filo-iraniani, ed elementi salafiti e tribali legati, più o meno stabilmente, con al-Qaeda, suggerisce molt prudenza prima di decidere di cambiare cavallo. Gli yemeniti che si oppongono a questo brutale e neoliberista semi/fantoccio degli USA dovranno masticare molta erba Qat per sopportarne la presenza al potere per altro tempo. E per accettare di essere poverissimi, in una penisola araba ricchissima.

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