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giovedì 6 ottobre 2011

La «pseudociviltà» dei nuovi «cives barbarizzati»






La «pseudociviltà» dei nuovi «cives barbarizzati»

Viviamo in un'epoca da «basso impero» in cui, come sovente accade nei tempi di decadenza, alcuni barbari già integrati e per questo ben pagati, immemori di cosa fosse stata la civiltà romana, specialmente per ciò che attiene al valore dell'humanitas, si arrogano il diritto di essere considerati «cives» nei confronti di altri, come loro, che premono alle frontiere per entrare, e che contestano un modello di impero vessatorio in cui la tassazione, utile soprattutto alla casta di potere, non è più sostenibile nemmeno dalle popolazioni romanizzate, disposte per questo ad accogliere in «nuovi barbari» come dei veri e propri liberatori.
Oggi abbiamo i «barbari predicatori» dell'europeismo formato BCE, immemori di cosa debba essere e soprattutto di che cosa avesse animato, sin dall'inizio, l'europeismo. Gente che non sappiamo nemmeno se abbia letto il manifesto di Ventotene che inventò l'Europa Unita e in cui «si prevedeva una nuova realtà che avrebbe dovuto basarsi su una “terza via” economico-politica, che avrebbe evitato gli errori di capitalismo e comunismo, e che avrebbe permesso all’ordinamento democratico e all’autodeterminazione dei popoli di assumere un valore concreto."
In cui si precisava che «le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività.".
E nel quale soprattutto si auspicavano «i cambiamenti necessari per creare intorno al nuovo ordine un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento, e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un continuo ed efficace controllo sulla classe governante
Sappiamo bene come sono andate poi le cose, come la UE non è riuscita nemmeno a creare una Costituzione Unitaria pienamente corrispondente e coerente con tali principi. Siamo consapevoli che il monetarismo ha prevalso a tutti i costi, che nessuna vera struttura politica di coordinamento e di raccordo è stata creata, nessun organismo comune di difesa militare e tanto meno abbiamo una adeguata politica fiscale e del diritto del lavoro valida tutti i Paesi membri aderenti.
Chi dunque, come oggi fa Meloni con il suo artitolo su l'Unità, ci viene a dire che occorre evitare «sofismi ed ideologismi», che ci ricorda che non è stata la BCE a «salvare Alitalia e a colpire la reputazione dell'Italia nel mondo e le grandi società pubbliche con la nuova etica dei faccendieri improvvisati» probabilmente trascura di considerare che sono state le stesse strutture di «controllo economico» europeo a promuovere le finanziare italiane partorite sempre dallo stesso mago della finanza creativa, persino di più e meglio di quelle di altri governi che gli si opponevano, ha dimenticato la "lezione dei Penati". Come la BCE ha promosso le finanziarie berlusconiane, con la stessa serafica pazienza dell'avvoltoio che gira intorno alla preda in attesa che crolli al suolo stremata, per spolparla. Dato che le inevitabili privatizzazioni, tanto sbandierate ed evocate, non fanno altro che trasferire pezzi sempre più grossi di patrimonio nazionale in mano ai nuovi «barbari» che hanno la prosopopea di voler essere considerati gli autentici «cives europei»
O ci siamo forse dimenticati che si è osato addirittura chiedere come ostaggio ad una Grecia messa in ginocchio fino all'orlo della prostrazione, fino alla proskinesis, alla adorazione con il capo e il corpo striscianti a terra, il suo patrimonio culturale millenario, la sua risorsa più bella e preziosa, simbolo della sua stessa libertà: il Partenone, le isole, mancava solo il mare Egeo.. e ci auguriamo anche la vendetta di Zeus!
Che differenza c' è tra questa epoca e quella dei barbari invasori che inziarono il medioevo ellenico?
L'antipolitica non è dunque, come vorrebbero farci credere, lo sfuggire dall'europeismo della BCE, ma è piuttosto spacciare in maniera ostinatemente arrogante la politica della BCE per europeismo. Considerare l'umiliazione di interi popoli come necessaria alla «volontà di potenza» di una moneta, che ha, di fatto, arricchito pochi in Europa e impoverito la gran parte dei suoi cittadini.
Dove è finito quel forte «senso di solidarietà sociale» evocato dal manifesto di Ventotene nei diktat e nelle lettere che impongono tagli a servizi vitali, alla scuola, agli ospedali, agli stipendi dei lavoratori, allo stesso futuro dei giovani, con una precarizzazione senza fine?
Che invocano, come in una litania senza fine, una crescita del tutto astratta, senza considerare che la «crescita» è un concetto che già agli inizi degli anni sessanta persino i Kennedy riuscirono a contestare. Cosa significa «crescere»? Lo sa uno come Draghi e chi gli fa da «bordone»? Significa inondare il mondo di prodotti di consumo, magari inutili che non fanno che distruggere la natura e annientare la biodiversità? O significa forse immaginare un mondo di consumatori in cui a 50 anni si inizia ad essere «rottamabili» e a 80 si è pronti per il macero? In cui i giovani, fin dalla più tenera età, vengono «parcheggiati» ovunque, e persino dimenticati nelle auto in sosta, quando non buttati addirittura alla nascita dentro i cassonetti, e gli anziani lasciati morire di inedia, di solitudine e di abbandono, magari in lucrosissimi lagher.
E' questa la crescita tanto invocata? La «civiltà» dei nuovi «cives barbarizzati»?
Sappiamo perché si vuole ridurre a tutti i costi l'offerta culturale nel campo umanistico, perché si vuole tagliare alla radice l'humanitas.
Quando uno come Marchionne riesce a fare introdurre in una manovra finanziaria addirittura una norma sui licenziamenti e poi, non ancora contento, rovescia il tavolo, dichiarando di volersi portar fuori persino da Confindustria, del tutto indifferene al calo di credibilità della sua azienda e alla forte riduzione della sua produttività, vuol dire che la «barbarie» ha vinto sull' «humanitas». Che la logica del profitto garantisce il suo imperium mediante i suoi «barbari», arricchitisi con il verbo della fedeltà alle armi della speculazione.
Evidentemente la costruzione del consenso, per caste o individui che fondano il loro potere sulla ricchezza personale, sempre più avulsa da regole di controllo o da conflitti di interessi, passa per la rimozione di ogni possibile alternativa di senso, culturale, morale e sociale a tale assetto, fino a proporlo come unica salvezza possibile da condizioni ancora più rovinose.
Tutto questo non fa che consentire il travaso della ricchezza dai molti ai pochi, sempre più inevitabile ed imprescindibile, costruendo anche quel consenso di cui le democrazie, almeno formalmente, hanno comunque bisogno.
Il “si salvi chi può” infatti si incrementa e viene indotto, in particolare, dall'illusione che ci si possa salvare meglio degli altri, saltando prima e tirando poi il carro di chi ha dimostrato più di altri di potersi salvare meglio e di essere per questo più credibile nell'orizzonte dell' arricchimento assunto a metafisica globale, e ritenuto tanto necessitante da non presentare alcuna alternativa alla sua ineludibile attuazione.
Il barbaro deve potersi affermare solo se quelli che anticamente erano i cives sono abbondantemente «barbarizzati», privi di cultura, di diritti, di speranza, sono ridotti alla «furberia» del contingente, più o meno come Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Noi italiani questo rischiamo di diventare: dei "Cacasenno", dando retta a chi spaccia la «barbarie» per riformismo, a chi ignora che i veri «riformisti» come Matteotti, furono capaci di combattere e denunciare la barbarie contemporanea, in primis, nella corruzione e nella speculazione, e fino alla morte. Il vero riformismo è sempre stato socialista, non un sogno identitario, non la nostalgia di un modello del secolo scorso, ma un modello di civiltà largamente praticato contro la crudeltà neoliberista. E' quello che contrasta il debito e la povertà promuovendo non il lavoro "nero" ma quello vero, stabile e meritevole.

Eppure, per smontare tali arroganti «consorterie», per umiliare quelli che dirigono i potentati bancari con l'illusione di essere i novelli imperatori nella caduta dell'impero del neoliberismo, per sbugiardare i loro scherani «pennivendoli», anche di certa sinistra lobotomizzzata dal verbo del «divide et impera pro pecunia tua», basterebbe ricordare le parole di Socrate nell'Apologia: “Ottimo uomo, dal momento che sei Ateniese (oggi diremo Europeo)...non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima...?”
Ecco.. davvero, non vi vergognate?

C.F.

4 ottobre 2011

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