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domenica 16 ottobre 2011

Il conservatorismo di Eugenio Scalfari, di Riccardo Achilli


L'editoriale di Scalfari sulla Repubblica di oggi è il migliore esempio di come la sinistra riformista che si appresta a sostituire il centro-destra al governo (per proseguire nella stessa linea economica e sociale del centro-destra, atteso che il risanamento di bilancio è la priorità delle priorità anche per il centro-sinistra) veda i movimenti di protesta che salgono spontaneamente dalla società, e che quindi non riesce ad inquadrare gerarchicamente: con paura e disprezzo. Il più brillante ed intelligente interprete della fazione c.d. “illuminata” della borghesia nazionale (quella dei professori universitari, della fazione dell'imprenditoria italiana – De Benedetti in primis – che ritiene più facile imbrigliare la protesta sociale nelle reti di una blandissima e poco sostanziosa socialdemocrazia, di parte rilevante di ciò che resta degli intellettuali) scrive, a proposito della protesta degli indignados di ieri, e delle violenze che l'hanno seppellita, come scriverebbe un autentico conservatore con venti centrimetri di pelo sullo stomaco.
Già il titolo la dice lunga: “Stato sconfitto da un pugno di teppisti”. Mirabile esempio di distorsione della realtà, ad uso e consumo delle fobie securitarie della piccola borghesia. Intanto il “pugno di teppisti”, con ogni probabilità (o comunque è una ipotesi che sarebbe degna di essere esplorata e commentata da chi, come Scalfari, pretende di fare l'analisi della giornata) potrebbe essere in parte costituito da infiltrati e provocatori (come spiegare altrimenti la loro perfetta organizzazione militare, il fatto che nell'area dei centri sociali e dell'autonomia non sono conosciuti, il fatto che gli arresti nelle loro schiere siano pressoché inesistenti, l'assoluta tranquillità con la quale si organizzano e riescono a penetrare nei cortei, nonostante il fatto che, in occasioni come queste, le forze di sicurezza ed i servizi dovrebbero essere particolarmente scrupolosi nell'evitare ciò). Colpisce in tal senso il lungo articolo di Repubblica nel quale vengono criminalizzati proprio i movimenti ed i centri sociali, indicando nei colpevoli Acrobax, Gramigna, Askatasuna, oppure partiti come i Carc, affermando, udite udite, che “chi ha colpito a Roma è una frangia di sofferenza sociale che INDUBBIAMENTE (nientepopòdimeno, l'articolista di Repubblica ha già individuato senza ombra di dubbio la matrice dei black block) gravita attorno ad alcuni luoghi. Annidano IL GERME DI UNA POSSIBILE NUOVA STAGIONE DI VIOLENZA DI STAMPO BRIGATISTA” (suggerirei a Scalfari, se ha ancora un minimo di influenza all'interno del giornale, di censurare tali affermazioni dell'articolista, prive di prova, che potrebbero dare luogo come minimo ad una querela per diffamazione da parte degli interessati, e come massimo potrebbero creare un clima che autorizza, in nome della minaccia “brigatista”, una fase di repressione ed autoritarismo politico). Mentre una intera pagina di giornale criminalizza i centri sociali ed i movimenti (i soggetti denunciati nell'articolo sono peraltro in prima linea nella lotta No Tav o nella lotta contro le morti sul lavoro, evidentemente tutti temi scomodi per la borghesia “progressista”) nemmeno una riga viene spesa per analizzare il sospetto che i black block siano in realtà emanazioni dei servizi, provocatori professionisti.
Per altra parte, è anche vero che alcuni protagonisti degli scontri sono giovani che esprimono in buona fede, con la violenza, l'esasperazione di chi a vent'anni vede la sua vita senza prospettive, non riesce ad accedere, nella Roma “blindata” e normalizzata da Alemanno e dai suoi amici fascisti che ha piazzato in tutte le posizioni di responsabilità, ad alcun canale di ascolto “democratico”. Trattarli come “teppisti” è un segno di disprezzo intellettuale che richiama la peggior tradizione “radical chic” della sinistra borghese e salottiera. Perché Scalfari ed il suo giornale non li ascolta, invece di criminalizzarli? Perché un giornale di sinistra non fa qualche bell'analisi oggettiva delle condizioni di vita nelle borgate di Roma, perché non analizza la condizione dei giovani proletari senza speranza e senza futuro? Facile parlare di “teppisti”, dottor Scalfari. E' un linguaggio da borghese piccolo piccolo. E molto impaurito.
Inoltre, dottor Scalfari, non è lo “Stato” ad essere sconfitto. Quando un movimento di massa viene deviato dai suoi obiettivi di cambiamento dalla violenza di piazza priva di direzione politica e di chiari obiettivi di classe, a vincere è proprio lo Stato, inteso come istituzione che mira a mantenere invariato lo status quo degli assetti sociali. Sono quelli che protestavano ad essere sconfitti, perché da oggi saranno marchiati con il bollo d'infamia dei “violenti”, avranno quindi difficoltà molto maggiori a dialogare con l'enorme pancia del ceto medio (mi si perdoni il termine non marxista, ma lo utilizzo per essere più chiaro) e della piccola borghesia, tenderanno a creare un cordone sanitario che li isoli dai movimenti e dai centri sociali, frazionando quindi il fronte della lotta ed emarginando i più disperati ed i più bisognosi di rappresentanza, cui solo il mondo dei centri sociali e dei movimenti di base dà voce. Lo Stato, al contrario, ne esce vittorioso e rafforzato: si elogiano le forze di polizia, il Ministro dell'Interno diviene il paladino dei piccolo-borghesi spaventati, per parafrasare una bella canzone di Dè Andrè, per il fuoco della rivolta che potrebbe bruciare le loro 1.100, si autorizzano, in nome della sicurezza, i servizi segreti ad ampliare il raggio delle loro operazioni di schedatura e censura. Parlare di Stato sconfitto risponde soltanto ad una miserrima logica di lotta politica, ovvero al tentativo del centro-sinistra di screditare il centro-destra e di proporsi quale “cane da guardia” più affidabile.

Ma la parte più inaccettabile dell'editoriale è quella centrale, in cui Scalfari afferma che “gli indignados hanno obiettivi concreti anche se talmente generali da diventare generici: vogliono che i beni comuni siano di tutti; non dei privati, ma neppure dello Stato o di altre pubbliche autorità poiché non hanno alcuna fiducia nella proprietà privata e neppure in quella pubblica (...) Le banche? Non servono le banche, tutt'al più servono a render facili i pagamenti che avvengono sulla base del valore d'uso e non del valore di scambio. C'è una dose massiccia di utopia in questo modo di pensare; c'è un'evidente reminiscenza di comunismo utopico; c'è anche una tonalità "francescana". E c'è - l'ho già scritto domenica scorsa e qui lo ripeto - un rischio estremamente grave: un contagio di populismo. Esiste storicamente il populismo dei demagoghi, costruito per accalappiare i gonzi, e il populismo degli utopisti che predicono la Città del Sole. Ma non esistono Città del Sole, almeno in questa terra (...) Certo le foreste non vanno abbattute. Certo l'aria non va inquinata. Certo le banche non debbono truffare i clienti e ingrassare sulla truffa. Certo i cittadini debbono partecipare alla gestione della cosa pubblica e non limitarsi a votare con pessime leggi elettorali una volta ogni cinque anni (...) Ma so che non è con l'utopia che si risolve il problema. L'utopia è una fuga in avanti alla quale subentra ben presto l'indifferenza. Il vostro entusiasmo è sacrosanto come la vostra pacifica ribellione, ma dovete utilizzarlo per la progettazione concreta del futuro, altrimenti da indignati finirete in rottamatori e quando tutto sarà stato rottamato - il malfatto insieme al benfatto - sarete diventati "vecchi e tardi" come i compagni di Ulisse quando varcarono le Colonne d'Ercole e subito dopo naufragarono”.
Intanto Scalfari dimostra una confusione sulla definizione di “comunismo utopico”, perché come è noto il socialismo utopistico pensava di realizzare i cambiamenti sociali attraverso le riforme, e non attraverso i moti di piazza e le rivoluzioni (evidentemente Scalfari non ricorda bene i principi del sansimonismo, che predicava la possibilità di fare appello a tutti i membri della società, compresi i ceti dominanti, per una pacifica azione di riforme, che i seguaci di Saint Simon consideravano pressoché automaticamente legate al progresso scientifico e tecnico, senza bisogno di una rivoluzione proletaria e di indignados in piazza). Ma questo errore teorico è il minore dei problemi. In fondo riflette il terrore del piccolo borghese di fronte a qualsiasi movimento sociale che mette in causa le sue piccole comodità e minaccia la sua “1.00 full optionals”. Non a caso Berlusconi si rivolge ai tanti piccoli borghesi del nostro Paese agitando lo spettro dei “comunisti”.
Ma ciò che è veramente grave è il fatto che, in nome di un sano e robusto realismo che puzza di vecchio, emana il maleodorante alito di Crono che, per paura dei cambiamenti, divora i suoi stessi figli non appena nascono, il tanfo putrescente del Senex, Scalfari suggerisca di abbandonare l'utopia, di dimenticarsi della Città del Sole. No, Scalfari, questo non lo accetteremo mai. Non rinunceremo mai all'idea che un mondo migliore sia possibile, per chiuderci dentro un comodo ma angusto salotto. L'utopia è stata la molla che ha dato luogo ai grandi cambiamenti sociali. Non ci sarebbe stato il '68, con tutti i suoi enormi cambiamenti sociali (liberazione della donna, contrasto al razzismo, tolleranza, istruzione pubblica gratuita aperta anche ai figli del proletariato, miglioramenti nella legislazione del lavoro, persino, nel nostro Paese, grandi progressi nel trattamento delle malattie psichiatriche, ecc.) se non ci fosse stata la luce dell'Utopia ad illuminare una intera generazione.
Dottor Scalfari, diveniamo vecchi quando abbandoniamo l'Utopia in nome di sani principi di realismo. Lei rappresenta la borghesia, perché il suo maggior timore è che l'Utopia rottamerà il sistema. E sarà quello che succederà. E sarà la borghesia ad averlo provocato, con il suo sistema capitalistico pieno di storture e contraddizioni irrisolvibili, cui è tanto attaccata. E quando i diseredati entreranno, con i loro abiti logori e la loro rabbia, nei salotti eleganti che Lei frequenta, capirà che l'Utopia si sarà realizzata. E che le sue vane parole sul “populismo” dei disperati che si sollevano contro una vita di precarietà e di povertà non serviranno ad evitare la rottamazione. Voglio ricordare questi versi di Jacques Prévert, il poeta dell'Utopia:

Non chiedere alla foglia di non muoversi.
Non può... c'è il vento!
Non chiedere al sole di rimanere immobile.
Non può... c'è la notte!

2 commenti:

  1. non condivido proprio tutto quello che dici ma apprezzo specie laddove dici che i "teppisti" esprimono un disagio che non riguada i frequentatori dei salotti di roma

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  2. tutti pulitini tutti un po radical scic ,forse invece che prendersela con pannella bisognerebbe prendersela con noi stessi .poco inteligenti poco preparati e afonici per convenienza.che centra pannella ?be a furia di rendere piena e valente la costituzione abbiamo dimenticato la lotta per una piena attuazione di essa anche in una maniera non propiamente pacifista.eppure facciamo come caifa nel tempio ce la prendiamo con chi a la dignità di non mettersi a 90.

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