L'articolo E noi faremo come l’Islanda? L’illusione di un default amichevole, pubblicato da Falce e Martello, è interessante ed approfondito, e ritengo andrebbe letto con attenzione. Pertanto, nelle seguenti note, cercherò di fornire indicazioni aggiuntive, e di commento, all’articolo, che valgano a spiegare meglio l’evoluzione di un modello, per molti versi interessante per tutta la sinistra, come quello islandese.
1. A differenza di Grecia ed Italia, l'iperindebitamento islandese è generato prevalentemente dal debito privato (banche, famiglie ed imprese) e non da quello pubblico. Infatti, il rapporto fra debito pubblico e PIL islandese, pur nel momento più acuto della crisi, ovvero nel 2009, è arrivato all'87,5%, un dato ben diverso dal 113% italiano o dal 144% greco (anche se ha superato il 100% in alcuni dei mesi più critici, ma un debito pubblico superiore al 100% del PIL è stato soltanto temporaneo, e non strutturale, come invece succede da noi ed in Grecia). Questo significa che l'economia islandese produce ricchezza sufficiente perlomeno per ripagare il debito pubblico, anche se ovviamente non l'enorme debito privato. Questo elemento non è da poco: ha rassicurato i mercati, nonché le istituzioni finanziare internazionali, circa la possibilità del governo islandese di far fronte alle sue obbligazioni e, nel lungo periodo, di accumulare gruzzoletti atti a compensare, almeno in parte, i creditori esteri delle banche islandesi fallite. Questo elemento ha anche messo al riparo l'Islanda dalla seconda fase della crisi sui mercati finanziari che, dopo la fase dei mutui immobiliari e dei titoli derivati in mano a privati (fase del 2008-2009) è adesso concentrata sui debiti pubblici. Ciò ha consentito all'Islanda di ripudiare il debito delle sue banche nei confronti di creditori esteri senza essere equiparata alla Corea del Nord o ad altri Stati-canaglia, e trattata di conseguenza.
2 - l'Islanda ha la sua valuta nazionale, quindi la sua indipendenza di politica monetaria. Questo le ha consentito di mettere in campo un mix di incrementi della massa monetaria circolante, per sostenere la domanda e la liquidità di banche ed imprese in crisi, di svalutazioni competitive per sostenere le esportazioni ed il turismo, e di calmieramento dei tassi di interesse. La massa monetaria M3, fatto pari a 100 il suo livello nel 2005, passa da 229 nel 2008 a 251,7 nel 2010, e si mantiene alta anche nel 2011, con un livello, ad agosto 2011, di 246,7. La corona svalutata ha consentito di riequilibrare i conti con l'estero. La bilancia delle partite correnti passa da un enorme deficit di 1,44 miliardi di dollari nel 2008 ad uno, molto più sostenibile, di 0,65 miliardi nel primo semestre 2011; la bilancia commerciale passa addirittura da un deficit di 1.373 milioni di dollari nel 2007 ad un surplus di 983 milioni nel 2010. Per quanto riguarda i tassi di interesse, è vero che i tassi islandesi sono alti, ma hanno subito un pattern di riduzioni molto rapido; i tassi a lunga scadenza passano dalll'11,07% del 2008 al 5% del 2010; quelli a breve (più importanti nel determinare le variazioni congiunturali) passano dall'elevatissimo 15,8% del 2008 ad un molto più ragionevole 6,8% nel 2010. Simili livelli dei tassi sono ancora sufficientemente alti per attirare capitali esteri (perché comunque nessuno offre tanto in giro per il mondo) ma la loro drastica riduzione, al contempo, fornisce importanti stimoli per la ripresa degli investimenti endogeni, e quindi della domanda aggregata.
3 - la fiammata inflazionistica è stata domata, nonostante le politiche monetarie molto accomodanti di cui sopra. Infatti, l'indice dei prezzi al consumo, che nel 2008 era arrivato al 12,7%, nel 2010 scende al 5,4%, e nel primo semestre 2011 al 5%. Il contenimento dell'inflazione deriva da severe misure di taglio alla spesa pubblica e di incremento del carico fiscale, suggerite dal FMI e messe diligentemente in atto, oltre che dal precipitare del prezzo degli immobili dovuto allo sgonfiamento della bolla immobiliare (fonte dei dati, Ocse).
4 - In sostanza, la sovranità monetaria islandese ha consentito di fare politiche monetarie espansive, che hanno consentito al Paese di rimettersi rapdiamente sulla strada della crescita, mentre i tagli al bilancio pubblico hanno consentito di tenere sotto controllo l'inflazione che normalmente deriva dalle stesse politiche monetarie espansive. Tutto ciò, anche in un contesto di uscita dall'area-euro, sarebbe molto più difficile da mettere in campo per Grecia ed Italia, perché l'uscita dall'euro provocherebbe, presumibilmente, una grave ed eccessiva svalutazione della restaurata valuta nazionale, ben oltre i livelli utili per far ripartire l'export, con una conseguente fiammata inflazionistica che azzererebbe i tassi di interesse reali, anche se quelli nominali sarebbero in forte crescita per riflettere il rischio-Paese. Ciò comporterebbe una fuga di capitali, mentre la domanda interna sarebbe azzerata dall'iper inflazione, ed il tutto si tradurrebbe in una grave recessione, anche se provvisoria (qualcosa di simile a quello che successe in Argentina nel 2002, quando, il primo gennaio di quell’anno, uscì anch'essa da una situazione di assenza di sovranità monetaria, in quel caso imposta dalla Ley de Convertibilidad, che fissava una parità rigida 1 a 1 fra peso e dollaro, pagando tale decisione con una contrazione del PIL del 10,9%, ed una inflazione mensile che arrivò fino al 10,4% ad aprile, l’interruzione di molti servizi pubblici essenziali, una devastante crescita della disoccupazione e della miseria, da cui ancora oggi il Paese non si è del tutto ripreso). L'Islanda si è risparmiata tale fase di recessione per il semplice motivo....che non aveva bisogno di recuperare la sua sovranità monetaria, come dovrebbero fare Italia e Grecia, perché la sovranità monetaria ce l'aveva già, quindi non ha avuto bisogno di passare per il tramite delle forche caudine di una recessione da adattamento, come invece dovrebbe fare chiunque volesse uscire dall'euro.
5 - Contrariamente a quello che comunemente si pensa, l'Islanda ha avuto comunque bisogno dell'assistenza del FMI, che ha sborsato un prestito da 2,2 miliardi di dollari, anche se, a differenza di molti altri Paesi sottoposti alle “cure” del FMI, non ha subito in modo passivo il consueto programma neo-liberista, e basato sul Washington Consensus, che il FMI somministra alle sue vittime. In cambio, il Paese si è impegnato a rispettare un programma di riequilibrio delle finanze pubbliche, fatto di drastici tagli alla spesa pubblica, e di inasprimenti fiscali, che nel 2012 porterà ad un avanzo primario pari al 6% del PIL, ed a una riduzione del rapporto debito/PIL al di sotto dell'80%. Si tratta di un programma di aggiustamento severo, che prevede, per il 2010/2011, tagli di spesa ed incrementi di imposte pari all'8,7% del PIL, ed un ulteriore 2% per il 2012. Inoltre, le misure di controllo diretto della circolazione di valuta estera non sono state realizzate autonomamente dal Paese, ma hanno fatto parte delle misure "suggerite" dal FMI, quindi questa misura non-liberista è stata, in realtà, uno dei punti del programma del FMI. FMI che peraltro ha anche imposto una revisione sulla legislazione sui prestiti. Nel 2010, infatti, la Corte Suprema, per proteggere i debitori islandesi, ha stabilito che le clausole di indicizzazione al tasso di cambio dei contratti di prestito fossero illegali. Questa previsione avrebbe comportato enormi perdite per le banche islandesi, e quindi le pressioni del FMI hanno portato ad una drastica riformulazione di tale sentenza, che ha rilegalizzato di fatto tali clausole, chiedendo soltanto un ricalcolo degli interessi.
6 - Va però detta una cosa fondamentale, a beneficio del modello islandese. A differenza di qualsiasi Banana-republic (categoria cui probabilmente apparterrebbe di pieno diritto anche l’Italia), l'Islanda ha attivamente negoziato i termini del piano del FMI, non ha accettato tali termini passivamente. In questo modo, le principali misure di spesa relative al welfare (in particolare il reddito minimo garantito e il programma per aiutare i titolari di mutui immobiliari in difficoltà) sono state preservate dai tagli, così come anche l'aumento delle tasse ha risparmiato i redditi più bassi, e non vi sono state rilevanti misure di "flessibilizzazione-precarizzazione" del mercato del lavoro. Di fatto, quindi, a differenza della Grecia, il Paese è uscito dalla “cura” infertagli dalle istituzioni finanziarie internazionali con un profilo di ripresa della crescita, e non di pesante recessione. Infatti, secondo le proiezioni Ocse, per il 2011 il PIL islandese dovrebbe crescere del 2,2%, e del 2,9% nel 2012 (mentre quello greco, invece, dovrebbe contrarsi del 2,9% nel 2011 e crescere soltanto dello 0,6% nel 2012). Questo risultato va visto con grande favore, perché per la prima volta un Paese in default riesce a negoziare i termini del suo salvataggio, senza accettare passivamente tutto ciò che il FMI gli impone. Però tale risultato è stato possibile, come anche dice l'articolo, dal ridottissimo importo dell'esposizione debitoria estera dell'Islanda. Già per un Paese con una esposizione debitoria estera dell'entità di quella greca, tale negoziato sarebbe molto più difficile da far digerire alla borghesia finanziaria globale. E quindi richiederebbe un coraggio ed una combattività molto superiori rispetto a quelli messi in campo dai vichingi islandesi. E non cito nemmeno lo straordinario laboratorio di riscrittura della Costituzione nazionale dal basso, tramite i cittadini stessi, che costituisce forse una delle più belle perle che brillano in questi tempi così cupi e tristi. Saremo all’altezza degli islandesi? Per il momento, non mi resta che dire “Island lifandi”.
Per dirla in breve (e per fare un piccolo raffronto con il bel paese) mai come in questo momento l'Italia avrebbe bisogno di ritrovare la sua vecchia e tanto bistrattata lira!!!
RispondiEliminaSe per ritrovare la giusta strada dovremmo percorrere a ritroso quella vecchia, ...poveri noi.
RispondiEliminaRitroviamo il vecchio e bistrattato baiocco,...
Ma fatemi il piacere,...
Prima di parlare di bel paese restituiamo l'identità culturale totalmente perduta ai prossimi.
Raro, oggi, trovare qualcuno che sappia parlare della coscienza e conoscenza dei propri "genitori" che abbia cioè avuto la fortuna di ereditarla. Di ereditare cultura. Oggi si eredita ben altro. Quando invece non c'era altro, ...l'identità culturale si salvava.
In effetti non credo che il ritorno "sic et simpliciter" alla lira, specie se scelto unilateralmente, sia una scelta necessariamente saggia, o fattibile.
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