Pubblichiamo in un'unica parte questo articolo che l'autore aveva all'origine diviso in due parti, la prima delle quali risale al 5 Dicembre 2011 e la seconda al 23.
di Gioacchino De Candia
PRIMA PARTE
Una delle cose più
aberranti che la “civiltà occidentale” ha saputo produrre,
soprattutto negli ultimi tempi, è il florilegio di notiziole,
falsità, amenità, quisquilie e pinzellacchere che, in una parola,
vanno sotto il nome di “gossip” e che inficiano sistematicamente
tutti i mezzi di informazione di massa: dalla carta stampata alle TV
per finire al web.
All’interno di tutte
queste voci “fuori controllo” è davvero difficile, anche per chi
sa distinguere l’informazione buona da quella cattiva, riuscire a
barcamenarsi in questi mare magnum di insulsaggini. Molti ci
sguazzano, molti ci speculano, tantissimi s’incavolano (dovrei
usare un’espressione più colorita, ma sono un signore e quindi
evito).
Inevitabilmente, anche il
recentissimo decreto Monti (ribattezzato frettolosamente
salva-Italia) finisce per cadere nella rete del gossip
mass-mediatico, fornendo ulteriore elemento di distorsione alla
manovra dell’attuale Governo tecnico italico, che il buon prof.
Monti dimostra comunque di saper ben condurre, con il tipico piglio
di capitano di lungo corso, che ne ha viste di cotte e di crude e che
riesce agevolmente ed anche abilmente a sfiorare e scansare scogli,
morene ed iceberg di turno (nonostante sia alla guida della nave
Italia, tutt’altro che inaffondabile).
Infatti, sul web già da
un paio di giorni sono recuperabili sedicenti bozze del decreto, che
Monti stesso ha illustrato a grandi linee or ora coronato dallo
stuolo di Ministri tecnici di cui si circonda, che non solo sono in
palese contrasto tra loro, ma che vengono anche sbugiardate proprio
oggi dal sito di libero, che pubblica un nuovo testo con altri
ritagli e relative frattaglie.
Rifacendomi, quindi, a
quanto declamato col suo stile impeccabile dal buon Super Mario nella
II di avvento, devo purtroppo rimarcare il titolo del presente
articolo: il decreto Monti salva (forse) l’Italia, ma non gli
italiani.
Tante, troppe, sono le
cose della nuova manovra da 24-25 miliardi (anche in questo la stampa
non si trova perfettamente d’accordo) che non convincono, perchè
non solo non rispecchiano criteri di equità, ma fanno anche da base
per un ulteriore inasprimento dell’attuale fase di stagnazione
dell’economia italiana, che potrà tradursi in vera e propria
recessione da qui al 2015 (se non oltre).
In questo contesto mi
soffermo sulle ricadute più immediate per ciò che riguarda, in
primis, l’operatore famiglie: ritorno dell’ICI (con un nuovo
nome) e nodo pensioni.
Riguardo la nuova ICI
(ribattezzata IMU) le famiglie italiane pagheranno nuovamente la
vecchia imposta comunale sugli immobili, ma con un inasprimento delle
rendite catastali e, quindi, pagheranno di più un’imposta che la
stessa Corte Costituzionale (ormai quindici anni fa) dichiarò
chiaramente incostituzionale e perciò illegittima. Soffermandomi
alle sole abitazioni (cat. A) le rendite dovrebbero essere rivalutate
del 60% per tutte queste tipologie di immobili, eccettuata la cat.
A10 (ossia tra le abitazioni definite di lusso e per le quali è
prevista una rivalutazione molto più bassa): un salasso non da poco
per le già striminzite casse delle famiglie italiche. Inoltre,
questa imposta in tale nuova veste dovrebbe essere “sperimentale”
(?) fino al 2014 ed entrare a regime nel 2015; cosa ulteriormente
strana, dato che Monti ed i suoi Ministri hanno già una scadenza
massima, ossia tra la primavera e l’estate del 2013.
Passando all’articolo
“pensioni”, come da copione chi avrà voglia di smettere di
lavorare non potrà farlo prima dei 66 anni (in media) per il
maschietti e prima dei 62 anni (in media) per le femminucce. Tutti
vedranno la loro futura pensione (se la vedranno) calcolata
esclusivamente con il metodo contributivo, ma viene anche spontaneo
da chiedersi chi mai, tra operai ed impiegati, sarà in grado, da qui
ai prossimi 30 anni, di riuscire a raggiungere una pensione che non
sia “da fame” o quasi. Altro aspetto peculiare del nodo gordiano
pensionistico: la possibilità di non procedere a rivalutazione
“inflattiva” pensioni sopra i 936 Euro per i prossimi due anni.
Francamente, si tratta di un doppio insulto: da una parte si
restringe ulteriormente il potere di acquisto di chi si trova di poco
al di spora di tale soglia (con ulteriore restrizione dei consumi e
quindi declino delle attività commerciali) e dall’altro si dà un
ulteriore potere a tutti i “superpensionati”, nonché titolari di
assegni vitalizi a cinque zeri, il cui valore nominale non dovrebbe
subire variazioni, contro un evidente aumento del reale potere di
acquisto.
Cacio sui maccheroni, la
lacrimuccia del Ministro del Welfare, che proprio non ce l’ha fatta
a non sentirsi partecipe dell’enorme dolore che sente di
condividere con l’esercito dei pensionati e relative famiglie, il
cui urlo di disperazione si eleva da ogni parte dello stivale (tipico
di un autentico dramma pirandelliano).
Dulcis in fundo, Mario
Monti, che con un autentico colpo da maestro ha deciso di sospendersi
lo stipendio da Primo Ministro (sforzo enorme, dato che non solo
percepisce il vitalizio da senatore a vita, ma anche altri emolumenti
di varia natura sotto forma di pensioni maturate e non meglio
specificate nel corso della sua ultradecennale carriera di
professionista di “altissimo livello”).
Tutte le misure previste
nel decreto attendono, ora, di passare al vaglio delle due Camere per
l’approvazione e la promulgazione definitiva, per cui è lecito
aspettarsi emendamenti e relativi mugugni da parte delle varie forze
politiche, la cui influenza sul decreto medesimo sarà tutta da
verificare. Prima, però, dovrà passare al vaglio di Porta a Porta.
Concludendo (per ora)
anche la Santa Sede si è espressa sul decreto Monti… e non l’ha
fatto in maniera positiva.
SECONDA PARTE
Nella giornata del 22
dicembre si è consumato il secondo atto della manovra finanziaria
che, sempre secondo le intenzioni del Governo, dovrebbe “salvare”
l’Italia.
Prima dell’approvazione
definitiva del testo da parte del Senato della Repubblica, che
diventerà Legge dopo la firma automatica del Presidente della
Repubblica, come già preannunciato nella parte prima le invettive,
minacce, insulti e dileggi si sono sprecati.
Infatti, nelle ultime due
settimane prima i sindacati, poi le varie forze politiche si sono
lanciate in pericolose e pericolanti “dissertazioni”
sull’argomento, finendo soltanto per aggiungere danno al danno e
beffa alla beffa.
Andiamo per ordine:
all’indomani della presentazione del decreto (alla vigilia di San
Nicola) i sindacati si sono affrettati a subire l’onta della
disfatta sia sul piano sociale, sia politico. La reazione è stata
unanime: “il momento è grave”, “dobbiamo fare sacrifici”,
“attendiamoci ulteriore incremento della disoccupazione nei
prossimi anni” (con Angeletti che quasi se la rideva sopra e sotto
i baffi).
Insomma, i sindacati si
adeguavano al decreto ed alla visione tecnicistica della cosa
pubblica di Super Mario.
Per contro, la politica
di palazzo reagiva in maniera contrastante: la Lega si dichiarava
totalmente contraria non solo al decreto, ma all’intera compagine
governativa, che cercava di contrastare in tutti i modi sia
all’interno dei due rami del Parlamento, sia mediaticamente; l’Idv
di Di Pietro dava inizialmente la sua fiducia al Governo, ma tra
mille mugugni e con un “occhio sempre attento” all’evolvere
della situazione; Pd e Pdl si prostavano di fronte al Mario Monti,
ammettendo di fatto il fallimento delle rispettive politiche (con il
buon Enrico che arrivava persino a pregare il neoeletto Presidente
del Consiglio affinchè diventasse il suo fido e zelante scudiero,
con tanto di lettera autografa scritta frettolosamente e puntualmente
ed impietosamente inquadrata dalle telecamere di turno).
Di lì a presso si
consumava il consueto rito davanti alle telecamere del “terzo ramo
del Parlamento”, dove il conduttore quasi vestiva i panni del
“professore”, davanti allo “scolaro” Monti (che rispondeva
speditamente e compiutamente e quasi senza tentennamenti).
Nei giorni seguenti la
bozza del decreto veniva via via digerita e cominciavano i mal di
pancia prima dei sindacati, poi delle varie forze politiche (con
autentiche gastriti croniche da parte di taluni).
Il decreto “salva
Italia” piaceva sempre meno, tanto che si è dovuto persino
scomodare lo “zio di Bonanni” per dare più forza alle invettive
sindacali nei confronti del Governo. Le lacrime del Ministro del
Welfare sono state utilizzate con dileggio nei confronti della
medesima (e solo da persone appartenenti allo stesso genere, è bene
ricordarlo).
La Lega ha rincarato la
dose di critiche e l’Idv ha cominciato a paventare il proprio voto
contrario nel momento dell’approvazione del decreto; lo stesso
Berlusconi ha fatto sentire la sua voce, ma senza particolare
convinzione, mentre il Pd ribadiva la sua fiducia incondizionata e
quasi religiosa a Monti ed ai suoi Ministri.
La replica del Presidente
del Consiglio non tardava ad arrivare: “Se non foste in questa
situazione non avreste avuto bisogno di chiamare Noi”, “queste
azioni dovevano essere fatte prima, perché non le avete fatte?”.
Ancora una volta, la
colpa è degli italiani e dei politici che li rappresentano (come
dargli torto?).
Tuttavia, Monti deve
cedere ad alcune critiche che provengono da più parti e ricalibrare
il decreto, ma senza grossi ripensamenti.
Così, si è arrivati
all’approvazione definitiva del testo che, come consuetudine
costituzionale, ha prima incassato la fiducia della Camera (402 voti
a favore e 75 voti contrari) e poi del Senato (257 voti a favore e 40
contrari). Una larga maggioranza comunque prevista in partenza.
Entriamo ora nel
dettaglio del decreto, seguendo da presso il commento già iniziato
nella parte prima sulle ricadute immediate verso l’operatore
famiglie: ritorno dell’ICI (con un nuovo nome) e nodo pensioni.
Sostanzialmente, il
decreto nella sua veste finale conferma l’IMU (Imposta Municipale
Propria) e quindi si tornerà a pagare la vecchia ICI su tutti gli
immobili di proprietà secondo i termini previsti già nella bozza
primigenia: rivalutazione del 5 per cento ai sensi dell’articolo 3,
comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, secondo i seguenti
moltiplicatori: 160 per i fabbricati classificati nel gruppo
catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con
esclusione della categoria catastale A/10; 140 per i
fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie
catastali C/3, C/4 e C/5; 80 per i fabbricati classificati
nella categoria catastale A/10; 60 per i fabbricati
classificati nel gruppo catastale D; 55 per i fabbricati
classificati nella categoria catastale C/1.
Si aggiungono anche i
terreni agricoli, tassati dopo una rivalutazione del 25% e con un
moltiplicatore pari a 120. Vi è traccia anche di riduzioni
dell’imposizione per i fabbricati rurali, ma si tratta di poca cosa
e davvero circoscritta (l’aliquota è ridotta allo 0,2% per i
fabbricati rurali ad uso esclusivamente strumentale).
Perciò, si conferma la
potente volontà da parte del Governo di continuare a spremere
“sangue dalle rape”, alleviando i rincari per le categorie
catastali più elevate (e quindi i più ricchi); infatti, il
moltiplicatore per la categoria A/10 è esattamente la metà della
restante categoria A.
Passando all’articolo
“pensioni”, il decreto conferma il definitivo abbandono del
sistema “retributivo” e “misto” per tutte le categorie di
lavoratori, a favore del sistema “contributivo” (ovviamente a
partire dal 1° gennaio 2012, ribadendo la necessità di mantenere i
vecchi “privilegi” pensionistici per chi appartiene ai vecchi
sistemi), confermando la soglia di 66 anni per il recepimento della
pensione, con l’incremento di 1 anno a decorrere dal 1° gennaio
2018. Ci si potrà ritirare dal lavoro prima di questa soglia di età,
ma solo a patto di aver maturato contributi per 42 anni ed 1 mese per
i maschietti e 41 e 1 mese per le signore.
Anche in questo caso ci
sono talune eccezioni, ma sono al momento trascurabili, anche perché
la maggior parte del lavoratori italiani sono oggi molto lontani dal
percepimento della pensione (sempre più lontana ed insicura con gli
attuali parametri) senza contare altre leggi e decreti vari che
potranno modificare la materia in futuro.
Unica nota “positiva”,
il tetto dell’indicizzazione delle pensioni, che passa a 1.400 €,
per cui al di sotto di tale soglia i pensionati continueranno a
vedere adeguati i loro assegni rivalutati in base all’indice ISTAT
relativo sia per il 2012, sia per il 2013, mentre chi percepisce
pensioni di importo superiore non usufruirà di questo adeguamento.
Così come per l’IMU,
anche la “riforma” del sistema pensionistico porta con sé
lacrime sudore e sangue, ma solo per i soliti noti.
Questo il quadro delle
ricadute immediate per l’operatore famiglie, che non è certo
solitario nel quadro del sistema economico nazionale.
Alla prossima puntata le
conseguenze per l’operatore imprese. Continuate a seguirci e…
Buon Natale?
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