ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

sabato 18 febbraio 2012

I mercanti saranno cacciati dal tempio? di Riccardo Achilli




E' notizia di questi giorni che il Governo-Monti si sta apprestando ad una modifica normativa sull'ICI finalizzata a incrementare le casistiche in cui la Chiesa dovrà pagare tale imposta. Naturalmente, poiché si vanno a toccare gli interessi di un potentato estremamente influente, già si levano, sugli organi di stampa, cori di approvazione sul senso dell'equilibrio e della ragionevolezza dei nostri cardinali, che accettano, in tempi duri per tutti, di stringere un po' la cinghia anche loro, e dall'altro, il consueto schieramento trasversale di parlamentari filo-vaticani, pronto ad innalzare una barricata per contenere le ambizioni del redigendo decreto entro limiti il meno impattanti possibili per le casse ecclesiastiche. In particolare, il ritornello è che occorre porre attenzione a non colpire in nessun modo, oltre che gli immobili destinati ad attività di culto (quindi non soltanto parrocchie o chiese, ma anche seminari, scuole per religiosi et similia) anche quelli destinati ad attività assistenziali e sociali, quand'anche tali attività ricevano contributi con denaro pubblico, da parte dello Stato o degli enti territoriali.
Questo articolo non è pervaso da alcun rigurgito anticlericale aprioristico, né da acredine, ma serve solo per cercare di stabilire la questione nei termini che sono oggettivi. In primo luogo, l'eventuale approvazione, da parte delle gerarchie ecclesiastiche, del decreto che Monti dovrebbe emanare né facilitata dal semplice fatto che vi è una procedura d'infrazione, da parte della Ue, in avanzato stato di attuazione, che dovrebbe essere finalizzata entro quest'estate, e che comporterebbe, in caso di accertamento di una violazione della normativa europea, l'obbligo, per la Chiesa, di pagare gli arretrati dell'ICI non pagato dal 2005 in poi, da quando cioè il Governo Berlusconi modificò la normativa sull'ICI alla Chiesa, rendendola più generosa. Pertanto, l'approvazione di una nuova normativa più restrittiva sull'ICI, che convinca la Commissione europea a sospendere la procedura d'infrazione, si risolverebbe in un affare per le casse della Chiesa, che si risparmierebbe l'onere di pagare gli arretrati per il 2005-2011. naturalmente, non è detto che, anche in presenza di una normativa più restrittiva, la Commissione decida di cancellare la procedura d'infrazione, ma le parole di ieri del Commissario Almunia lasciano intendere che vi sia un pre-accordo proprio per cancellare il pregresso (dice infatti il Commissario che “l'emendamento proposto ci sembra un progresso sensibile e sulla base di questo esame speriamo di chiudere la procedura”). Quindi, supportando l'emendamento-Monti, la Chiesa non farebbe altro che una (legittimo) analisi costi/benefici, secondo la quale è economicamente meglio per lei supportare tale emendamento, piuttosto che rigettarlo, finendo per pagare la multa comminata dalla Ue, che potrebbe anche superare i 2 miliardi di euro.
La Chiesa non dovrebbe comunque pagare, anche con l'emendamento-Monti, alcuna forma di imposta sugli immobili destinati ad attività assistenziale e sociale, poiché viene stabilito che l'imposizione graverà soltanto sugli immobili destinati ad attività commerciali, o miste (in questo caso scorporando la parte dell'immobile destinata ad attività religiosa). Ora, questa disposizione, francamente, sembra prestarsi alla più facile delle elusioni fiscali: basterà far proliferare il numero delle cappelle in ogni edificio commerciale, albergo, libreria, negozio di articoli religiosi, bar-ristorante, ecc. per risparmiare, del tutto legalmente, decine di milioni di euro. Monti è un professore di economia. Dovrebbe avere quindi ben chiaro il concetto di efficienza fiscale, che ovviamente implica l'emanazione di una normativa che minimizzi le fattispecie di elusione fiscale. Sarebbe molto più efficiente una normativa che limiti lo scorporo alle situazioni già in essere, proibendolo per il futuro (per cui in futuro un albergo continuerebbe a pagare l'ICI per il 100% del suo valore catastale, anche se vi si realizzasse ex-novo una struttura destinata ad attività religiosa). Tra l'altro, lo scorporo potrebbe generare l'effetto di abbassare il gettito, generando casi di parziale esclusione in immobili ad uso misto nei quali, oggi, la Chiesa paga l'ICI/IMU per intero. Naturalmente non nutro alcuna speranza che la mia proposta venga presa in considerazione.
Peraltro, il confine definitorio di ciò che è considerabile come “attività profit” e “no profit” è piuttosto labile, per cui a seconda di come l'emendamento definirà le attività no profit ancora esenti dall'ICI, la scuola cattolica paritaria, convenzionata con lo Stato (e che quindi riceve contributi pubblici, e che in teoria può anche generare utili) oggi esente potrà continuare ad essere esente anche in futuro, a condizione che reinvesta l'utile in attività didattiche (reinvestimento che rende la scuola più attrattiva, quindi le consente di occupare spazi di mercato più ampi, ampliando l'utile, e così via); la casa di accoglienza per determinati soggetti (ad es. parenti di malati) le cui rette sono stabilite ad un valore inferiore al prezzo di mercato, potrebbe continuare a essere esente anche in futuro. Così come esenti potrebbero continuare ad essere anche le attività cinematografiche parrocchiali, per le quali il pubblico paga un biglietto, a condizione però che “la relativa programmazione cinematografica e multimediale risponda a finalità precipue di formazione sociale, culturale e religiosa, secondo le indicazioni dell'autorità ecclesiale o religiosa competente in campo nazionale” (circolare 2/2009 Ministero Finanze). A rigor di logica, andrebbe esentato soltanto l'immobile adibito ad una attività totalmente “fuori mercato”, che cioè per sua natura non può generare un utile (ad es. una mensa gratuita per poveri) e che non produce alcun costo o tariffa, nemmeno se agevolato ed inferiore al valore medio di mercato, a carico dell'utente. Questa è la definizione più rigorosa del concetto di no-profit, l'unica che elimina quella zona grigia fra attività puramente caritatevole ed attività a cavallo con il mercato, zona grigia nella quale si generano casistiche di esenzione ingiustificabili. Non a caso, è proprio sul confine definitorio del concetto in questione che si è alzato il muro difensivo dello schieramento dei parlamentari cattolici, che va dal Pdl (Lupi, Napoli, Toccafondi) al Pd (Sposetti, De Micheli) passando per Udc e gruppo misto. Dalla definizione più o meno rigida di tale confine dipende in larga misura il gettito previsto e gli spazi di erosione fiscale. Non sono personalmente ottimista circa il fatto che verrà scelto un confine molto più rigoroso di quello attualmente vigente, basato sulla già citata circolare 2/2009, esplicativa dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. 504/1992. in pratica, a mio avviso l'emendamento-Monti si limiterà a prevedere lo scorporo per attività miste, e forse a ridefinire in modo più preciso alcune categorie di attività esentabili oggi ancora vaghe. Ma senza enormi differenze rispetto all'impianto attuale e quindi senza eliminare del tutto la zona grigia entro la quale è possibile far passare esenzioni di vario genere.
Oltre che il concetto di efficienza fiscale, un economista come Monti dovrebbe conoscere il significato di analisi costi/benefici. Va precisato in tal senso che il compito di fare le politiche sociali a favore dei cittadini in difficoltà è un preciso dovere dello Stato, poiché l'articolo 3 della nostra Costituzione specifica che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In questo senso, se lo Stato demanda ad organizzazioni del terzo settore, anche di tipo religioso, l'assolvimento di attività di tipo socio-assistenziale e no-profit, in realtà sta decidendo autonomamente di “terziarizzare” una funzione che gli appartiene, per specifico dovere costituzionale. Quando uno Stato decide di affidare a terzi una funzione propria, lo dovrebbe fare in base ad una analisi costi/benefici, che conduca ad una differenza positiva fra benefici e costi, non soltanto economici, ma anche sociali, dell'opzione relativa alla “terziarizzazione”. Fra i costi, occorrerà quindi anche considerare il mancato gettito ICI derivante dall'ovvia considerazione che, se si affida un'attività socio-assistenziale ad un organismo del terzo settore, religioso o laico che sia, questo organismo avrà bisogno di una unità immobiliare all'interno della quale svolgere tale funzione (la stima dell'erosione fiscale relativa a tali immobili è comunque trascurabile per il bilancio dello Stato, essendo nettamente inferiore ai 100 Meuro, in base alle stime effettuate dalla Relazione Finale del Gruppo di Lavoro sull'Erosione Fiscale del MEF, consegnata a Novembre 2011). Costo che, per quanto trascurabile, si andrà a cumulare con le altre esenzioni fiscali destinate ad attività no-profit, ivi compresa la quota dell'8 per mille destinata alla Chiesa (che oscilla nell'intorno del 36-37%, ed è di gran lunga la quota più alta fra le sette organizzazioni, Stato compreso, che concorrono alla ripartizione di tale posta finanziaria). Senza considerare il fatto che le attività di assistenza erogate dalla Chiesa, come dagli altri enti no-profit, godono anche di contributi pubblici diretti. Ad esempio, il 17,5% delle mense della Caritas gode di contributo pubblico per pasto erogato. Non credo che una simile analisi costi/benefici, suddivisa per area di assistenza sociale, sia stata mai fatta, e se quindi la terziarizzazione al terzo settore, ivi compreso al terzo settore cattolico, di tali attività, risponda ad un criterio di efficienza nell'utilizzo della spesa pubblica, oppure se corrisponda ad uno stato di fatto che si è andato consolidando nel tempo
Tale stato di fatto, peraltro, è ovviamente anche funzionale a scopi propagandistici, e quindi di proselitismo. A prescindere dalla pubblicità che la Chiesa si fa per le sue attività assistenziali e caritatevoli, e che aumenta di intensità in corrispondenza dei periodi di scelta della destinazione dell'8 per mille (evidentemente anche la Chiesa può disporre di esperti di marketing) basti pensare che la Chiesa, nelle previsioni del bilancio dello Stato 2012-2014, riceverà circa 290 Meuro per le sole scuole cattoliche, cui vanno aggiunte le risorse per il pagamento degli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche, che sono a carico dello Stato, e che nel 2008 ha raggiunto la stratosferica somma di 800 milioni di euro. Queste sono di fatto risorse finanziarie che lo Stato assegna alla Chiesa per diffondere l'insegnamento cattolico, e quindi per reclutare nuovi fedeli. A spese anche dei contribuenti che non sono cattolici.
In conclusione, prendendo per buona la stima dell'ANCI, il provvedimento che Monti si appresta a varare sull'ICI agli immobili ecclesiastici ad uso commerciale genererà un gettito di 500-600 milioni di euro nel migliore dei casi (e probabilmente, tenuto conto delle possibilità di elusione connesse al meccanismo dello scorporo, già analizzato, e delle residue possibilità di avvalersi di zone grigie non perfettamente discriminate dalla normativa, tale stima appare anche piuttosto ottimistica), tutto sommato ben poca cosa a fronte della cospicua mole di risorse pubbliche che dallo Stato affluiscono alla Chiesa cattolica. C'è però un dato sostanziale, che potrebbe far aumentare notevolmente il gettito dell'ICI proveniente dalle casse ecclesiastiche, che molto probabilmente, proprio perché sostanziale, non sarà in alcun modo toccato. Oggi nessuno conosce con esattezza l'entità del patrimonio immobiliare che fa capo alla Chiesa. Si parla di circa 100.000 unità immobiliari ufficiali, ma c'è un indotto di immobili fantasma enorme. Si stima che migliaia di unità immobiliari di proprietà ecclesiastica non siano mai state accatastate, per un gettito che potrebbe in teoria anche superare il miliardo di euro, qualora si conducesse un serio lavoro di accatastamento di tali proprietà (cfr. La Repubblica del 14.02.2012). Altro che i 2-300 milioni di euro che con l'emendamento-Monti realisticamente si realizzeranno. Si farà quest'operazione di emersione di immobili-fantasma? Permettetemi di dubitarne molto. Alla fine, l'intera operazione “pagamento dell'ICI da parte della Chiesa” sarà poco più che una operazione di mera immagine, buona per mettere a posto la coscienza dei funzionari della Commissione europea, e per far fare buona figura ai soggetti coinvolti, di fronte ad un'opinione pubblica stremata.

Nessun commento:

Posta un commento