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domenica 19 febbraio 2012

La metafisica crematistica e l'antidoto ai suoi mali




di Carlo Felici

Forse in nessuna epoca come la nostra è stato tanto forte il desiderio di profitto, la tendenza ad accumulare ricchezza e a speculare su di essa, quasi come se, alla fine, essa debba risultare per tutti come una sorta di orizzonte metafisico su cui proiettare l'intero senso della vita e della civiltà dei singoli individui.


Tanto forte è questa tendenza, che la maggior parte delle persone oggi ha persino difficoltà ad immaginare o a ritrovarsi in una dimensione in cui la sicurezza e la stabilità del vivere non siano rappresentate dal possesso di ricchezza e di denaro.
Sintomatico è il fatto che le masse sono sempre più propense ad affidarsi politicamente a chi viene ritenuto più credibile proprio perché ha saputo accumulare tanta di quella ricchezza, da farsi rappresentante non solo di quella propria, ma anche dell'altrui, per quanto l'altrui possa risultare comunque sempre più misera nel confronto.
Purtroppo questa sorta di “fuga” ed esaltazione al tempo stesso del profitto, che trova la sua celebrazione liturgica nelle banche, nelle società finanziarie, negli investimenti in borsa, con i suoi riti satanici che coincidono con gli aggiotaggi, con i riciclaggi e le speculazioni finanziarie, trae fondamento soprattutto da un deficit progressivo di memoria storica e culturale, lo stesso che rende piuttosto flebile e vana qualsiasi forma di resistenza e di possibilità di invertire, mediante una seria alternativa, tale processo che, in definitiva, si rivela tanto illusorio quanto distruttivo. Poiché in nome del profitto si sta sacrificando l'essenza stessa della vita nella sua sacralità, integrità e diversità.  La crisi economica che sta investendo la Grecia è sintomatica di tale nefasta tendenza, ma riteniamo altresì che da essa si possa uscire proprio grazie ad una più consapevole riappropriazione dei valori di cui quella antica civiltà è stata, fin dai millenni scorsi, portatrice.


Lo studio dunque della cultura antica, non riproposta come meno antiquariato filologico, oppure come ermeneutica di un tempo sempre attuale e da giustificare ad ogni costo cercando appigli nel passato, ma come patrimonio di valori intramontabili e riproponibili, mutatis mutandis, in ogni tempo ed in ogni luogo, pur essendo maturati in circostanze uniche e non più ripetibili, può, anzi, deve essere il fondamento di una vera resistenza morale, culturale e civile.


Osservando in un breve excursus lo sviluppo della civiltà e del pensiero greco, ci rendiamo conto che lo scontro e la critica serrata contro la crematistica e l'accumuazione di profitto, è una vera e propria costante, sia in senso diacronico che sincronico.
Nell'Iliade Achille si rivolge ad Agamennone apostrofandolo come : “Uomo impudente ed avido di guadagno” (v148). Nell'Odissea prevale su tutto, non il desiderio di avventura e di ricchezza, ma la nostalgia della patria e della gloria perduta.
Nelle Opere e i Giorni di Esiodo si dice esplicitamente che il “guadagno travia la mente degli umani”(v.326)
Solone esorta a “curarsi delle cose oneste” e a non desiderare mai “nulla di troppo”. Talete invitava a “non arricchirsi malamente” e ad “essere moderati”.
Eraclito è molto esplicito nel merito: “La città si mantiene in pace e concordia solo se ci si accontenta di ciò che si ha a disposizione, senza avere bisogno di cose lussuose”.
In tutta l'epoca aurea dello sviluppo del pensiero tragico troviamo massime analoghe, da Eschilo che nelle Eumenidi ci ricorda che: “la ricchezza porta sciagura, perché basta solo per chi ha una mente saggia” a Sofocle che fu citato anche da Marx nel Capitale: “Per l'uomo nulla ha poteri così tristi e larghi come il denaro, che città devasta, uomini strappa dalle case, istruisce le menti pure a concepire il male, le perverte e le muta, del delitto indica il passo e l'esperienza schiude ad ogni empietà” (Antigone).
Socrate e Platone, anche reagendo ad una tendenza verso la crematistica che sembrò affermarsi con la sofistica, ma che pur restò nell'ambito di patrimoni accumulati per fama e gloria di perizia retorica, più che per puro desiderio di profitto, confermano e rafforzano la condanna della ricchezza fine a sé stessa.
Così si esprime Socrate nell'Apologia: “Ottimo uomo, dal momento che sei Ateniese...non ti vergogni di occuparti delle ricchezze, e della fama e dell'onore, e invece non ti occupi e non ti dai pensiero della saggezza, della verità e della tua anima...?” e Platone conferma: “La libertà consiste nell’essere padrone della propria vita e nel fare poco conto delle ricchezze".
Aristotele d'altra parte, come ci ricorda Plutarco, che cita il suo dialogo perduto Sulla Ricchezza, disapprovava fermamente che la ricchezza potesse produrre da sola altra ricchezza e piacere smodato.
Tutta la filosofia cinica, stoica ed epicurea fu infine un continuo esortare l'essere umano alla cura di sé e all'incremento della libertà interiore, soprattutto dal condizionamento dei beni esteriori, una tradizione che sarà fatta propria dal Cristianesimo, rielaborata e rilanciata nella sua storia millenaria.
Potremmo continuare con questa storia della resistenza culturale alla crematistica, ma tanto basta a dimostrare che essa ha fondamenta solide radicate nei millenni e che è stata confermata da secoli di pratica della saggezza.


Tornando dunque al presente, rileviamo e ribadiamo che oggi l'ineluttabilità e la necessità di un ordine mondiale fondato sulla “sopportazione” della povertà, solo affinché non sconfini in pratiche eversive, ed in modo tale che lasci comunque inalterato un assetto tale da consentire in modo tanto illusorio quanto distruttivo lo sviluppo e la crescita illimitata della ricchezza, con pratiche sempre più speculative, si fonda proprio sulla ghettizzazione e la rimozione della cultura, in particolare di quella antica. Tanto da riservarla ad ambiti sempre più ristretti e selettivi, riducendola a studio ed applicazione di un programma, svuotandola del suo contenuto “eversivo” e impedendo la sua discussione, meditazione ed attualizzazione.
Evidentemente la costruzione del consenso, per caste o individui che fondano il loro potere sulla ricchezza personale, sempre più avulsa da norme di controllo o dalla regolazione dei conflitti di interessi, passa per la rimozione di ogni possibile alternativa di senso, culturale, morale e sociale a tale assetto, fino a proporlo come unica salvezza possibile da condizioni ancora più rovinose.


Tutto questo non fa che consentire il travaso della ricchezza dai molti ai pochi, in modo sempre più inevitabile ed imprescindibile, costruendo anche quel consenso di cui le democrazie, almeno formalmente, hanno comunque bisogno, oppure rimuovendolo del tutto e sostituendolo con l'imposizione, da parte dei mercati globali, di governi tecnocratici e plutocratici.


Il “si salvi chi può” infatti si costruisce e viene indotto in particolare dall'illusione che ci si possa salvare meglio degli altri, legandosi prima e tirando poi il carro di chi ha dimostrato più di altri di potersi salvare meglio e di essere per questo più credibile nell'orizzonte della crematistica assunta a metafisica globale, e ritenuta così tanto necessitante da non presentare alcuna alternativa alla sua ineludibile attuazione.  Nel sistema crematistico del neloliberismo globalizzato la "salvezza" coincide con la permanenza di uno Stato che non è più espressione della volontà generale, ma è la diretta emanazione di un potere oligarchico e monopolistico che esprime la sua "volontà di potenza" mediante l'accumulazione di profitto e di capitale.
Nella pratica della resistenza con i mezzi mediatici esistenti, non ci può essere dunque che il suo smascheramento, la sua rappresentazione e caratterizzazione, affinché esso, come un "re nudo", possa almeno suscitare disgusto e, contro di esso, più che pietre e bombe molotov, risulti efficace lanciare un forte stimolo culturale, affinché ciascuno possa trovare, in un patrimonio inestinguibile di valori comuni, almeno l'antidoto  necessario a scongiurare l'assuefazione al suo "drogato diktat", e aggiungo come conseguenza, alla luce degli ultimi eventi della crisi economica globale, a propiziare la nostra vera salvezza.


C.F.

2 commenti:

  1. Credo che la Grecia antica, per quanto giungesse avanti nella divisione del lavoro, non poté andare oltre fino al punto da innescare un'economia di mercato, per la quale non sussistevano le condizioni generali.perciò, la nozione di "valore" che predominò doveva riflettere questi limiti e fu essenzialmente riferita al valore d'uso delle merci piuttosto che al valore di scambio, anche se Aristotele ne scopre la differenza. Senofonte, il più "borghese" di tutti, era interessato più al valore d'uso che al valore di scambio. Dunque limiti storici e non certo di criteri morali o di mantalità.

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  2. E' molto dificile se non impossibile applicare concetti moderni come valore d'uso, valore di scambio o persino lotta di classe all'ambito specifico e sincronico della cultura e della storia della antica grecia. Così come le categorie di "borghese" o proletario o di "economia di mercato". Per quanto illustri filologi del calibro di Citti, possano ottenere in tal senso risultati apprezzabili, continuando ad orientarsi nella categoria sotto certi aspetti intramontabile del materialismo storico, tutto ciò non assume certo un significato pregnante in senso assoluto. Il limite storico è dunque più nostro che degli antichi greci per i quali, ad esempio, non esisteva discriminante alcuna tra sfera morale, religiosa, politica o civile, tanto che che gli stessi loro templi funzionavano in gran parte come certe nostre banche, solo che non avevano come scopo il profitto fine a se stesso. Ecco, questo per noi è un limite straordinariamente grande, tanto da renderci assai piccini al confronto. Il mio, in ogni caso, non era un exursus comparativo, ma più semplicemente un breve "au rebour", per provare ad uscire da un orizzonte che si presenta oramai tanto totalizzante nelle sue pretese teoriche, quanto totalitario nei suoi effetti pratici..globali.

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