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lunedì 6 febbraio 2012

Un insufficiente sforzo sulle politiche per l'Ict, di Riccardo Achilli



Su Repubblica di stamani vengono presentate, in tono enfatico, le linee-guida (o perlomeno l’interpretazione di tali linee-guida che ne dà il giornale) del piano “Italia digitale” del Governo Monti, mirato, in teoria, a cancellare il digital divide, ad allineare progressivamente la velocità di connessione della nostra rete alla media europea, ed a potenziare i servizi on line della pubblica amministrazione, oltre che a sviluppare il concetto di “comunità digitale”, sia sul versante sociale che su quello produttivo.
Naturalmente, a scanso di equivoci, su tale piano strategico per il futuro civile del Paese, il Governo non mette nemmeno un centesimo di risorse aggiuntive. Si tratta solo di mettere a fattor comune le risorse dei fondi strutturali europei già assegnate all’Italia per il ciclo 2007-2013, ed ampiamente sottoutilizzate, tanto da condurre al serio rischio di perdita di tali risorse nel giro di pochi mesi, se non se ne accelerano le procedure di impegno e di spesa (in base alle note regole di disimpegno dei fondi europei se lo Stato membro assegnatario non rispetta il cosiddetto “n+2”).
Si tratta di una sfida strategica per il futuro, resa cogente, per gli Stati membri, dall’agenda Europa 2020, che include proprio lo sviluppo della società dell’informazione fra i pilastri dell’Europa futura. In particolare, il piano del Governo intende sviluppare una rete di servizi informatici per le comunità basata sulla piattaforma delle cosiddette “smart cities”. Si tratta di una sfida molto seria, che si dovrebbe in teoria affrontare con competenza, sobrietà e concretezza. Cioè l’esatto opposto di un approccio politico e demagogico, che, sui temi dell’innovazione tecnologica e della civiltà dell’avvenire tende spesso a degenerare in una sorta di poetica visionaria sconclusionata, buona per un romanzaccio di fantascienza, più che per un approccio tecnico. Lo stesso futuro di un sistema pubblico ed inclusivo di Welfare dipende dall’utilizzo sempre più diffuso della tecnologia dell’informazione. In società sempre più complesse e diversificate, in contesti competitivi sempre più aspri (resi ovviamente ancor più aspri dalla grave crisi economica) in cui le risorse per le politiche sociali devono essere spese con sempre maggiore efficienza, in un quadro previsionale in cui ci dovremo confrontare, nei prossimi cinquant’anni, con una crescita impetuosa del bisogno di assistenza sociale, socio-educativa, lavorativa e socio-sanitaria almeno in tre aree tipicamente aggredibili efficacemente solo con interventi di rete ed integrati (ampliamento dell’area della povertà economica e del disagio sociale connesso alla povertà economica, invecchiamento della popolazione, crescita del bisogno di integrazione di comunità immigrate sempre più numerose) solo l’Ict consente di rispondere alle esigenze di efficienza, diversificazione e integrazione di rete del futuro Welfare pubblico.
In Finlandia, ad esempio, la visione delle “smart cities”, ovvero dell’utilizzo dell’Ict per gestire il sistema del welfare e delle politiche ambientali e del lavoro, è già realtà. Grazie alla totale digitalizzazione della P.A. ed alla disponibilità di amplissimi ed interoperabili data-base, l'importo dell’infrazione stradale viene modulato sulla base del reddito percepito, la carta magnetica per la gestione dei versamenti fiscali o il progetto Macro Pilot, in fase avanzata di ricerca, permetterà ad anziani ed invalidi di poter accedere ai servizi e alle reti sociali allo stesso modo degli adulti che godono di buona salute; la cartella socio-sanitaria individuale è già realtà, consentendo quindi di implementare politiche di assistenza sociale o interventi sanitari “personalizzati” sulla base delle specifiche esigenze dello specifico individuo, e consentendo anche di poter effettuare una valutazione dell’efficacia “ex post” di tali interventi sulle condizioni soggettive del beneficiario, al fine di ricavare lezioni utili per perfezionare l’efficienza ed efficacia gli interventi stessi nel futuro. Si stanno sperimentando tecnologie di domotica per monitorare la salute del paziente 24 ore al giorno direttamente da casa sua, al fine di garantire la copertura sanitaria a persone che vivono sole, e che non si possono permettere di assumere infermieri o colf. Aggiungo io, sulla base di esperimenti condotti in alcune realtà italiane, ma mai messi a sistema, l’Ict può consentire di costruire “banche delle ore”, nelle quali comunità di quartiere o di paese possono scambiarsi reciprocamente, a titolo gratuito, prestazioni assistenziali elementari (in pratica, l’individuo che si rende disponibile a prestare un servizio assistenziale elementare ad un vicino, ad esempio fare la spesa o un servizio domestico ad un disabile, accumula un credito, in termini di ore, che può spendere chiedendo una prestazione ad un altro vicino). Tale modello di welfare digitale, peraltro, crea posti di lavoro qualificati nel settore dell’Ict, proprio in una fase in cui c’è fame di posti di lavoro. Inutile poi richiamare le potenzialità che il modello delle “smart cities” ha per costruire un sistema dei trasporti pubblici intelligente, in cui i mezzi circolanti vengono diretti in tempo reale solo dove vi sia effettiva domanda di trasporto, o per la gestione dei flussi di traffico urbano, o infine per il monitoraggio continuo dello stato dell’ambiente e delle emissioni di qualunque tipo.
Di fronte all’estrema serietà della sfida delle “smart cities” per tenere in piedi il welfare pubblico e creare nuovi posti di lavoro, quali sono le politiche concrete per l’implementazione delle “smart cities” proposte? Basta scorrere il decreto “semplificazione” appena approvato dal Governo, ed ecco la risposta. In sostanza, si costituisce una cabina di regia che, entro sessanta giorni dall’emanazione del provvedimento (cioè entro un anno, come minimo) porti ad approvazione il programma delle attività necessarie per rispondere agli ambiziosi obiettivi citati nel decreto stesso, fra cui la “realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al servizio delle comunità intelligenti (smart communities), finalizzate a soddisfare la crescente domanda di servizi digitali in settori quali la mobilità, il risparmio energetico, il sistema educativo, la sicurezza, la sanità, i servizi sociali e la cultura”, ed il “potenziamento delle applicazioni di e-government per il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese, per favorire la partecipazione attiva degli stessi alla vita pubblica e per realizzare un’amministrazione aperta e trasparente”.
In pratica, e sperando di essere smentiti, è difficile pensare che nel giro di sessanta giorni si implementi un programma esecutivo (e non una mera raccolta di buoni intenti programmatici, con vaga indicazione degli interventi e delle risorse, come spesso avviene nella letteratura italiana della programmazione) per rispondere ad obiettivi così ambiziosi. Anche perché la persistente condizione di digital divide e di gap nell’infrastruttura di base per la trasmissione dei dati informatici (il cosiddetto backbone) rende irrealizzabile l’idea di veicolare servizi sociali on line senza prima aver risolto il problema strutturale. Finché il 2% della popolazione italiana è completamente tagliato fuori dall’accesso ad Internet, finché il 40% delle famiglie, pur vivendo in zone connesse ad Internet, non si connette, per difficoltà economiche (comprare un PC ed un servizio di collegamento ad Internet costa) o per mancata conoscenza dell’utilizzo di un PC, finché il 38% della popolazione, pur se connessa, non utilizza la banda larga di seconda generazione (20 mbps) che è lo standard tecnologico minimo per potere fruire di servizi pubblici on line di una certa complessità, parlare di “smart cities” e di welfare on line è pura utopia. Il rischio concreto è quello di accumulazione di un ulteriore ritardo gravissimo nell’implementare la società dell’informazione, con il risultato prevedibile che i problemi sociali cui tale sistema dovrebbe rispondere in futuro arriveranno a maturità prima di avere le soluzioni tecnologiche per affrontarli. Con esiti disastrosi per tutta la società.
Per il momento, quello che passa il convento del Governo Monti è la riproposizione, per 12 mesi e per i Comuni con più di 250.000 abitanti, della social card di Tremonti, che peraltro ha avuto esiti disastrosi, in termini di copertura della platea dei beneficiari potenziali e di impatto sulle situazioni di povertà, nonché la previsione di accentrare presso l’INPS la banca-dati di tutti i beneficiari di prestazioni socio-assistenziali, e di costituire una banca-dati centrale tutti i dati pubblici prodotti dai vari rami della P.A. Davvero molto poco. Senza contare l’interpretazione che il comunicato-stampa ufficiale del Consiglio dei Ministri dà delle “smart cities”: leggendo, infatti, si scopre che queste sono considerate niente più che “smart communities”, ovvero spazi virtuali in cui i cittadini possono scambiare opinioni, discutere dei problemi e stimolare soluzioni condivise. Cioè niente più che riproposizioni su scala locale di Facebook! Altro che Finlandia, altro che Europa.

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