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domenica 4 marzo 2012

La lotta contro la TAV Torino-Lione è lotta di classe di tutti i lavoratori, di Riccardo Achilli



Iniziando a sgombrare il campo da qualsiasi possibile equivoco, occorre dire chiaramente che il progetto sulla TAV è, da analisi economiche e trasportistiche accurate fatte da esperti del settore, un’opera totalmente inutile sia dal punto di vista dell’interesse economico nazionale complessivo (anche se soddisfa interessi imprenditoriali particolari, propri di una specifica parte del capitale industriale e finanziario italiano, come meglio si dirà) che dal punto di vista ambientale (è anzi dannosa in questo senso).
Dal punto di vista economico, la realizzazione della TAV Torino-Lione costa all’incirca 15 miliardi di euro, considerando la somma della parte di investimento nella tratta italiana, della quota di 30% di incertezza sull’investimento dichiarata dallo stesso progetto preliminare del 2011, nonché del costo prevedibile per la provvista di capitale. Tale costo, peraltro, come avvenuto regolarmente su tutte le tratte ad alta velocità sin qui costruite, è presumibilmente destinato, per ”fisiologiche” lievitazioni, ad essere moltiplicato almeno per quattro, nei 20 anni di durata del cantiere (stime tratte dalle osservazioni al progetto preliminare pubblicato da Italferr il 28.03.2011 da parte della Comunità Montana della Val di Susa e dall’articolo di Boitani, Manghi e Mercalli “sulla Torino-Lione una pausa di riflessione produttiva”, pubblicato su lavoce.info).
Tale immane investimento serve soltanto a soddisfare gli appetiti imprenditoriali di un segmento della borghesia italiana, ed in particolare, come è ovvio, dell’industria delle costruzioni (uno dei comparti più politicizzati e legati alla casta politica di tutta l’economia) oltre che di alcune aziende specializzate nella produzione di sistemi e segnali ferroviari, e sistemi di telecomunicazione ad uso ferroviario, che produrranno i sistemi di segnalazione e telecomunicazione con cui equipaggiare la linea. Ovviamente, è un ottimo business per il sistema bancario, che fornirà in prestito alle imprese appaltatrici le risorse finanziarie per l’investimento iniziale. Ed è una prospettiva di un certo interesse potenziale per il gruppo Fiat, che può sperare in un effetto-indotto sulle vendite di veicoli per cave e miniere e veicoli speciali per costruzioni, prodotti da IVECO Astra e da New Holland. Naturalmente, la lunghissima e tormentata fase di progettazione dell’opera ha dato lavoro ad una congerie di studi professionali e professionisti.
Fra i promotori del progetto TAV figurano la Fondazione Agnelli, Alenia, Telecom, tre banche di livello nazionale, fra cui il gruppo San Paolo e CRT. Quel che resta da vedere è se l’opera porterà ad un vantaggio complessivo per l’economia italiana nel suo insieme. E qui iniziano i punti dolenti. L’impatto occupazionale previsto, peraltro tutto precario e legato ai tempi delle varie fasi del cantiere, è di 6.000 addetti complessivi a regime, cioè quando i lavori raggiungeranno il punto massimo. A regime, cioè fra qualche anno, i 6.000 addetti possono generare un effetto-reddito, temporaneo e legato all’occupazione di cantiere, di circa 0,008 punti di PIL (stimando una propensione marginale al consumo analoga a quella attuale), più 0,22 punti di PIL all’anno connessi all’effetto-investimento (stima basata sui coefficienti tecnici di produzione desunti dalla matrice input/output dell’economia italiana al 2008, pubblicata dall’Istat). Nell’insieme, quindi, l’investimento, a regime, cioè fra diversi anni, porterà ad un incremento della crescita economica (ovviamente del tutto temporaneo, e che svanirà con il completamento dell’investimento) valutabile attorno a 0,228 punti di PIL aggiuntivo all’anno, per non più di 5-10 anni. Da ciò però occorre scorporare gli effetti negativi derivanti dal danno economico alle attività turistiche ed agricole della Val di Susa, legati all’impatto paesaggistico e al consumo di terreno per le attività di scavo e deposito dei materiali, e quelli sull’economia piemontese, derivanti dalla congestione delle arterie stradali di collegamento fra Torino e la Francia, dovute ad un traffico di camion, legati al cantiere, stimato attorno ai 500 camion al giorno.
Stiamo quindi parlando di un effetto del tutto temporaneo, per pochi anni (non più di 5-10 anni) di pochissimi decimali di PIL, a fronte del quale vi è da calcolare il costo-opportunità, ovvero il PIL che si sarebbe potuto ottenere investendo in modo alternativo quei 15-20 miliardi di risorse pubbliche. Soltanto utilizzandoli nel modo più ingenuo possibile, ovvero distribuendoli a tutti i cittadini come assegno monetario, quei soldi genererebbero un incremento annuo di 0,05 punti di PIL per 15 anni, tramite l’aumento dei consumi, misurato a propensione marginale al consumo vigente.
Riguardo al capitolo relativo ai cosiddetti impatti ambientali favorevoli, cavalcati dai sostenitori del progetto, va detto che l’impatto potenziale più importante, ovvero la riduzione del traffico merci su gomma che passerebbe alla TAV, è del tutto marginale, con effetti assolutamente insignificanti sulle emissioni di gas serra o sul tasso di incidentalità stradale. Ciò deriva da considerazioni tanto semplici da essere accessibili persino ad un bambino. Intanto perché il grosso del traffico merci su gomma è concentrato su tratte nazionali: le tonnellate di merci trasportate su gomma in conto terzi su tratte interne al Paese sono infatti pari al 97,8% del totale delle merci trasportate su gomma in conto terzi (Istat, 2003). Quindi di fatto un tunnel ferroviario pensato per le merci è mirato soltanto ad una piccolissima quota del traffico su gomma, quello cioè di tipo internazionale. Ciò perché esiste una soglia di costo molto ben determinata, e nota agli esperti di economia dei trasporti: in Italia, stante l’assetto orografico, infrastrutturale e la distribuzione degli insediamenti produttivi ed insediativi sul territorio e nei Paesi limitrofi, la convenienza a trasportare merci su ferro è inesistente per tragitti inferiori ai 1.000 chilometri (Russo, 2009). Per tragitti superiori ai 1.000 chilometri, uno studio condotto da STEP, centro studi indipendente, conduce a ritenere che soltanto il 25% delle merci che transitano fra Italia e Francia potrà essere portato dalla gomma al ferro in una modalità economicamente conveniente. Ciò significa che, stante l’attuale volume di merci che transita per l’esistente valico del Fréjus, sarebbe conveniente spostare su ferro soltanto 6 milioni di tonnellate di merci, che è esattamente la quantità attualmente trasportata dall’esistente linea ferroviaria del Fréjus, senza bisogno di nessuna ulteriore opera! Anche volendo considerare una previsione di 30 milioni di tonnellate trasportate al 2030, fatta dagli estensori del progetto della TAV, solo 7,5 milioni di tonnellate, nel 2030, potrebbero essere trasportate su ferro in modo economicamente conveniente. Siamo ancora una volta ampiamente all’interno della capacità dell’attuale linea ferroviaria, che nel 1999 ha superato i 12 milioni di tonnellate trasportate.
La conclusione del ragionamento è la seguente: attualmente, dalla Val di Susa, il mix di merci che transita su gomma e su ferro è perfettamente compatibile con le convenienze economiche relative delle due modalità di trasporto. Prendendo per buone le previsioni al 2030 degli estensori dello studio di fattibilità favorevole alla TAV, al 2030 il mix di modalità trasportistiche sarebbe ancora una volta del tutto coerente con le convenienze economiche relative, oltre che con la capacità dell’attuale linea ferroviaria, e quindi non vi sarebbe la necessità di una nuova opera ferroviaria, sia perché la capacità di quella attuale è del tutto sufficiente, sia perché la distribuzione del volume di merci fra gomma e ferro dipende da un calcolo di convenienza economica che non è modificato in nessun modo da una nuova opera ferroviaria, perché è legato piuttosto al costo di esercizio di ogni specifico vettore, alla tipologia di merci trasportate, ai tempi medi di percorrenza. Quindi non c’è nessun effetto di spostamento di merci dai camion alla ferrovia legato specificamente alla realizzazione della linea TAV Torino-Lione. D’altro canto, però, l’afflusso di circa 500 camion al giorno per le attività di cantiere nei prossimi 15 anni, nonché l’esigenza di depositare nella valle milioni di tonnellate di materiali di scavo, avranno un effetto ambientale netto sicuramente molto negativo.
Quindi, in sostanza, a che serve realizzare una nuova linea ferroviaria, se l’impatto macroeconomico è risibile (cioè l’impatto sull’intera economia italiana, non quello, limitato che andrà a beneficio di qualche impresa di costruzioni, di qualche banca e di qualche fornitore di macchine per l’edilizia) e l’impatto ambientale è negativo? I sostenitori adducono una ulteriore argomentazione: la riduzione del tempo di percorrenza. Questo dato è in parte errato, perché sul versante francese le merci trasportate tramite il nuovo valico TAV non incontrerebbero più linee ad alta velocità, in quanto la Francia ha fatto la scelta strategica di non investire in alta velocità per il trasporto cargo, e quindi il risparmio di tempo sarebbe molto relativo, riguardando soltanto la tratta italiana. Inoltre, il trasporto-merci su ferro, come sa bene chi si occupa di tale tematica, richiede soprattutto sicurezza, stabilità ed un incremento della frequenza dei passaggi, più che l’alta velocità (poiché già ad una velocità di 140 km/h la merce trasportata su ferro viaggia più velocemente di quella trasportata su gomma, non richiedendosi quindi punte fino a 250 km/h per essere più competitivi sotto l’aspetto della velocità). Ora, ciò che garantisce sicurezza, stabilità e maggior frequenza di transito è l’alta capacità, non l’alta velocità. Per cui, per migliorare l’efficienza del traffico ferroviario fra Italia e Francia sarebbe del tutto sufficiente attrezzare la linea attualmente esistente per renderla una linea ad alta capacità, con costi di investimento incomparabilmente inferiori rispetto a quelli previsti dalla TAV Torino-Lione, e con benefici reali sul trasporto ferroviario delle merci, che l’alta velocità non garantisce affatto.
La verità vera è che il progetto serve soltanto a far fare soldi a una ristrettissima cerchia di imprese e di professionisti, a cui la politica regionale e nazionale, come al solito, si prostra deferentemente. E poi il progetto serve all’economia francese e, in misura minore ma comunque significativa, ai sistemi produttivi dell’area del Benelux e del bacino industriale tedesco della Ruhr e della Germania centro occidentale. Infatti, la realizzazione del valico TAV fra Torino e Lione è un pezzo fondamentale dell’attuazione del corridoio trans europeo numero 6, che mira a collegare la Francia centro meridionale con i mercati della Slovenia (e da lì verso tutti i mercati balcanici, tramite il corridoio 10, che si interconnette con il corridoio 18), dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Slovacchia e dell’Ucraina. Tale collegamento è garantito anche alla Germania ed al Benelux, tramite i corridoi 24 e 4, che si interconnettono con il corridoio 6. in pratica, tramite la realizzazione della Torino-Lione, migliaia di PMI italiane del Nord, ed in particolare del Nord Est, perderanno un vantaggio competitivo sui costi di trasporto verso i mercati dell’Europa centro orientale e dei Balcani rispetto ai loro concorrenti francesi e tedeschi, che attualmente è garantito dalla loro vicinanza geografica a tali mercati. Con la realizzazione di una linea ad alta velocità che dal confine francese porterà fino a quello con la Slovenia, attraversando tutta l’Italia del nord, le PMI italiane perderanno gran parte di tale vantaggio competitivo.
Ancora una volta, il Governo Monti agisce in nome di interessi extra-nazionali, adempiendo ai suoi compiti di Governo-fantoccio del capitale nord europeo, ed in specie franco-tedesco, che governa l’Unione Europea, ed a vantaggio di una ristrettissima cricca di interessi imprenditoriali italiani, che però non coincidono con quelli più generali dell’economia italiana, facendo pagare il conto alle popolazioni, ai lavoratori. Da questo punto di vista, lo squilibrio democratico esistente fra un Governo diretto da poteri economici forti, non tutti interni al Paese, e la popolazione della Val di Susa, costretta alla lotta diretta per assenza di ascolto istituzionale (i cambiamenti di tracciato concessi in questi anni non spostano infatti di un millimetro il problema dell’inutilità e dannosità di tale opera) rende ridicolo pensare di risolvere la questione con un referendum rivolto alla popolazione della Val di Susa, come fa, sia pur con tutte le buone intenzioni, Adriano Sofri, dalle colonne di Repubblica. Chi non è disposto ad ascoltare non è certamente disposto a concedere strumenti di democrazia diretta, ed infatti già Chiamparino, sindaco di Torino, si è esplicitamente opposto a tale ipotesi.
Se il movimento di protesta NO TAV dovesse venire soffocato nelle prossime settimane, e personalmente non lo credo, vista la risonanza che ha ottenuto, e ovviamente non me lo auspico, sarà colpa dell’inaudita repressione poliziesca, che si esercita anche nei confronti di un movimento sostenuto dalle istituzioni democratiche locali (Comuni e Comunità Montana) e della disinformazione dei media di regime, che si combina con una semi-indifferenza di larga parte dell'opinione pubblica italiana, angosciata dalle crescenti difficoltà di mettere insieme il pranzo con la cena.
Ma un eventuale fallimento del movimento No TAV chiamerebbe però anche in causa una falla teorica. La falla è quella di isolare i fatti della Val Susa come elemento di protesta a sé stante, senza comprendere il nesso che lega l'investimento sbagliato, nella TAV Torino-Lione e il più generale disegno della borghesia italiana e del capitale finanziario europeo, cui l'attuale Governo è totalmente asservito.
Esattamente come con le politiche economiche di austerità imposte dal Governo-Monti, che sono funzionali soltanto agli interessi dei mercati finanziari globali, ben rappresentati da Sarkozy e Merkel e dalle burocrazie dell’Unione Europea, ed esattamente come nel caso del progetto di riforma del mercato del lavoro, ancora una volta imposto dagli interessi del capitale globale (oltre che della borghesia nazionale) Monti porta a compimento un'opera pubblica che non favorisce nell’insieme la nostra economia, ed anzi ne penalizza fortemente alcuni comparti ed aree, crea danni ambientali considerevoli, danneggia popolazioni, soltanto per favorire un pugno di grandi capitalisti italiani, e gli interessi della borghesia europea (in primis francese e tedesca), legati ad una conquista dei mercati balcanici ed est europei, resa più facile dal completamento del corridoio 6, di cui la linea Torino-Lione è parte essenziale.
In un simile quadro, la sinistra dovrebbe, per essere più efficace nel contrasto alla TAV Torino-Lione, far capire meglio il nesso fra tale lotta e quella più generale contro le gerarchie europee e franco-tedesche, contro l'euro e contro i rappresentanti italiani di interessi in realtà a noi ostili. D’altro canto, il movimento NO TAV dovrebbe, per essere realmente efficace, inquadrare la protesta contro la TAV nel contesto più generale di una necessaria ripresa della lotta di classe, altrimenti anche eventuali, piccole concessioni che dovessero essere strappate in queste settimane di lotta (come ad esempio una moratoria temporanea sui lavori, o un nuovo tavolo di negoziazione) sarebbero del tutto provvisorie, e verrebbero cancellate non appena le condizioni lo consentissero. Quindi la sinistra dovrebbe ricomporre il quadro delle lotte anticapitaliste, evitando di frazionarle in micro-lotte settoriali, per singolo evento, e riportare quindi anche il contrasto alla TAV nel quadro di una più generale lotta di classe contro l'intero quadro politico italiano. Altrimenti porterà la responsabilità di aver contribuito anche al fallimento della lotta NO TAV. D’altro canto il movimento NO TAV deve ampliare i suoi obiettivi di lotta, andando oltre la singola questione dell’investimento pubblico da bloccare sullo specifico territorio in questione, per inquadrarli all’interno della lotta di classe contro l’insieme delle politiche neo-liberiste che l’attuale Governo Monti, su commissione del capitale, sta attuando.

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