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domenica 4 marzo 2012

LUCIO DOVE VAI





di Lorenzo Mortara

Oggi a Bologna ci saranno i funerali di Gesù Bambino. Purtroppo questa volta, più o meno come l’altra, non risorgerà. È l’unica nota davvero stonata tra le tante che ci ha lasciato.
Ho sentito per la prima volta Lucio Dalla tanti anni fa, quando mi prestò i suoi dischi la mia balia. Solo coi suoi ultimi pezzi ho però scoperto che il motivo profondo che mi lega a lui è che è siciliano proprio come me. In ogni caso, fino a quel momento, i cantautori erano per me un unico disco del Principe che mi aveva fatto conoscere il mio migliore amico e che avevo sentito fino allo strazio per almeno un paio di anni senza capirci granché, se non che d’istinto mi piaceva molto, forse per la sobrietà dei testi, così lontani dalle note dolciastre nelle quali si erano imbattute fino a quel momento le mie orecchie, non per amore ma per sordità ad ogni sforzo di ascolto alternativo a quel che passava il convento, poca roba per altro, non entrandoci io quasi mai.
È dunque ribellandomi con sforzi indicibili alla mia pigrizia che misi sul giradischi gli Lp ormai famosissimi che Dalla aveva intitolato col suo nome. E mentre palleggiavo nelle mani la copertina con gli occhiali sulla berretta coi due occhi beffardi appena sotto che li spiavano, o più probabilmente che guardavano dentro di sé, cominciai a capire che il mondo della canzone era molto più vasto e complesso di quello racchiuso in Miramare. Da lì in poi, fui rapido a saccheggiare un po’ tutto il pantheon dei cantautori italiani, da Conte a De Andrè, passando per Gaber, Guccini e tanti altri.
In pochi mesi persi la verginità, quando, devo dire con rammarico, un altro emiliano insegnò alla mia ingenuità che a canzoni non si fan rivoluzioni. Ci volle ancora un secolo, però, prima che capissi che non si fanno nemmeno a cinema, a pittura, a scultura, a teatro, a poesia, a romanzo e ad arti varie in genere. Le rivoluzioni si fanno solo a marxismo o non si fanno punto. A canzoni, però, si possono rivoluzionare le canzoni, ed è già molto. Ed è questo che ha fatto Lucio Dalla e per questo sarà ricordato a lungo.
Non è vero che il Dalla migliore è quello dei tre dischi con Roversi, come ha lasciato intendere il Pedifesto, che l’ha ricordato in maniera ingenerosa, praticamente senza neanche accennare al Dalla successivo. Pur con sprazzi evidenti di genio e anche alcuni affreschi davvero riusciti, i tre dischi con Roversi restano fatti di canzoni sperimentali, ibride, a metà strada tra canzone e poesia. È una fortuna che Dalla abbia interrotto la collaborazione per intraprendere un percorso suo, autonomo. Se avesse continuato non sarebbe stato né grande poeta né grande cantante. Sono infatti i cantanti mediocri che vogliono essere dei poeti e viceversa. Il complesso di inferiorità dei cantanti verso la poesia indica l’effettiva importanza secondaria della canzone, che resta, a dispetto di chi dice il contrario, un’arte minore. Infatti, a nessun poeta viene mai chiesto se si senta un cantante. Non c’è invece cantautore che non si domandi se le sue canzoni possano essere lette anche come poesie. I più disgraziati rispondono pure di sì dimostrando senz’altro d’essere dei cantanti minori. Un grande artista non sente il bisogno di essere promosso nella serie A degli artisti, sta nel girone dove l’ha messo il suo estro e scolpisce l’arte che gli è propria, fosse pure l’ultima delle arti. Dal 1977 in poi Dalla ha scolpito alla perfezione canzoni che solo il suo scalpello poteva tirare fuori. Sono Quale allegria, Anna e Marco, Futura, Caruso, Henna e tante altre ancora le canzoni davvero memorabili, perché perfette, di Lucio Dalla. Quelle scritte con Norisso-Roversi, potranno essere ricordate perché piene di genio e di grande profondità, ma, almeno per chi ci capisce qualcosa d’arte, resteranno a futura memoria della loro imperfezione, della loro essenza di canzoni incompiute.


Lucio Dalla, ebbe a dire una volta De André, era il solo che era riuscito a cucire insieme adeguatamente musica e testi. In effetti, gli altri cantautori storici erano e sono più parolieri che musicisti. Sia in De André che in De Gregori o Guccini, sono inoltre forti le influenze subite da Dylan, Brassens e Cohen. In Conte la traccia del jazz permea quasi ogni sua canzone. Dalla, da uomo curioso qual era, ha indubbiamente saputo assorbire un po’ di tutta la musica che gli girava attorno. E tuttavia è molto difficile trovare un riferimento per Dalla, perché in effetti un riferimento per Dalla non c’è. Il timbro di Dalla è unico. Non ce n’è un altro simile. Per questo, di tutti i cantautori, è stato l’unico veramente artista. E poco importa che, a differenza di De André che migliorava col tempo, lui come la maggior parte dei cantautori avesse sempre meno da dire. Il segno ormai l’aveva lasciato. E qualche colpo assestato ancora qua e là negli ultimi anni, bastava a giustificare il suo tramonto.
A qualcuno sembra che Dalla non valga niente perché non si è occupato di ciò che gli era più prossimo, cioè l’omosessualità, tenuta nascosta, non dichiarata, senza mai prendere posizione nemmeno sulla sorte dei suoi simili e dei loro diritti negati. Naturalmente codesti criticoni non sanno cosa dicono perché si illudono che uno possa occuparsi d’altro che di sé stesso. In realtà, tutti noi, dalla mattina alla sera, non facciamo altro che occuparci di noi stessi. Se Dalla ha trasformato la sua omosessualità in classiche canzoni d’amore, vuol dire che il suo più intimo sé corrispondeva al suo sdoppiamento. Se per viltà, calcolo o perché non ha trovato sul suo cammino qualcuno o qualcosa in grado di tirargli fuori altro, ha poca importanza. Cara è più prossima a Dalla di quanto sarebbe stato Caro. Non potrebbe essere altrimenti. Quando un omosessuale dichiarato pretende che uno non dichiarato ci parli del suo più intimo sé, credendo che ne esista un altro al di sotto di ciò che uno mostra o non mostra, significa solo che il sé dell’omosessuale dichiarato non è contento se non riesce a infilarsi anche nel sé dell’omosessuale non dichiarato a dettare a un altro le sue norme di comportamento civile.
Dalla non si è occupato dei gay, ma è meno ridicolo di chi si è battuto e si batte a sinistra per i loro diritti appoggiando in pieno il cattolico Monti e la sua finta Ici alla Chiesa che ne costituiscono il consueto rovescio a destra. Il popolo sarà anche bue innalzando alle stelle Lucio Dalla, ma sarà sempre meno asino di tutte le pecore nere che innalzano tutti i pastori del Capitale. Una canzone di Lucio Dalla è innocua, da questo punto di vista, la musica di Monti no!
Come tutti gli intellettuali e gli artisti che hanno ruotato attorno al vecchio PCI, e quindi allo stalinismo, con la caduta del Muro, Dalla si spostò a destra fino a votare come sindaco di Bologna Guazzaloca del PDL. L’amicizia con Craxi - tutto sommato fatti suoi - c’entra poco e niente con questa scelta. Pesa molto di più l’incapacità congenita dell’intellighenzia di sinistra di andare più in là del temibile meno peggio. In mancanza del marxismo, lo stalinismo a sinistra è per sempre anche se ci si sposta al centro o addirittura a destra. Almeno come forma-mentis. Girare sempre a vuoto è il destino politico di tutta questa sinistra che ha sempre cantato, scritto e pensato al di sotto del marxismo, per sordità congenita all’analisi di classe. Tuttavia, votando Guazzaloca, Dalla, con l’intuito dell’artista, dimostrò agli innamorati a sinistra delle etichette anziché dei contenuti, che era ormai completamente incosciente chi si faceva un problema di coscienza per la scelta tra le due fazioni di un unico partito borghese.
Dalla non ha voluto essere un trasgressivo anticonformista, e nemmeno eroe o maître à penser. Non s’è cacciato in mille polemiche e battaglie che, evidentemente, non sentiva sue. Sono i suoi critici a volerlo immaginare così perché non sanno prenderlo semplicemente per quello che è stato: un goliardico artista della canzone. Dei diritti dei gay se ne occupi chi ne è capace. Dalla ha voluto solo essere un grande cantante e c’è riuscito sfornando canzoni irripetibili. Chi è capace se le goda, chi non lo è si trastulli pure col loro retro. In fondo va bene lo stesso, non bisogna pretendere altro da chi non è in grado di farlo. Dei diritti dei gay del resto, come di tutti gli altri diritti, dobbiamo occuparcene noi operai, perché tutti gli altri, gay dichiarati scrittori o scrittori dichiarati gay possono solo parlarne o scriverne, perché conquistarli è un’altra faccenda che tocca come sempre a noi. Domani però. Per oggi ammainiamo un momento la bandiera, perché oggi, anche il nostro cuore rosso, ha la barba tutta nera... 

Lorenzo Mortara
Delegato Fiom
Stazione dei Celti
4-3-2012

1 commento:

  1. Da una intervista di 15 anni fa. E cosa dice Lucio Dalla, che ha sempre votato a sinistra, dei miti sempreverdi della sinistra? Che Guevara, per esempio, restera'? «Conosco bene il Sudamerica e posso garantire che non ci sono tracce della funzione rivoluzionaria del Che Guevara. E' solo una questione iconografica.»
    Beh, almeno su questo, caro Lucio, ti sei sbagliato di grosso..il CHE in Sudamerica e anche altrove è ancora vivo e vegeto e molto di più che come icona del passato.

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