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mercoledì 23 maggio 2012

IL SALTO IN LUNGO DEL GRILLO PARLANTE, di Norberto Fragiacomo


Alla pari di quello europeo (vedi Grecia, più che Germania o Francia, è non è un caso), il panorama politico italiano sta mutando ad una velocità che stordisce, e il solo Bersani, gioendo per vittorie e “non vittorie”, pare non volersene accorgere.

Il tempo non si computa più in mesi, ma in settimane: due sono quelle che separano il primo turno delle elezioni amministrative da un ballottaggio che, a sorpresa, rimescola selvaggiamente le carte.

Colpiscono il crollo dell’affluenza alle urne (dal 65% a poco più del 50, con “punte” del 39 a Genova) e l’exploit del Movimento Cinque Stelle, che in quindici giorni passa da sfidante a forza di governo.

La conquista, a inizio maggio, del primo sindaco in terra leghista ed il buon risultato di Genova non sono stati che l’antipasto del grasso banchetto emiliano: il trionfo di Pizzarotti in una città dell’importanza di Parma – con oltre il 60% di preferenze e contro un centrosinistra non coinvolto nella precedente, catastrofica gestione – rappresenta, per i “grillini”, il classico giro di boa, e suona, per partiti vecchi e nuovi, come una lugubre campana a morto.

Voto di protesta? Certo non di incoraggiamento a PD e PDL (disfatto), per non parlare della Lega (annichilita); ma se di protesta si tratta, non è detto che duri un giorno, perché ad essa si affianca un anelito di speranza facilmente percepibile… quasi una preghiera laica, sussurrata tra le macerie. Pizzarotti e i suoi colleghi sono oggettivamente “nuovi”, non compromessi con i poteri locali né con un esecutivo che ne serve altri, ben più minacciosi: “sparigliano” parlando di ambiente, democrazia diretta (attraverso la rete), competenza e curricula.

Sfruttano le devastazioni prodotte dalla crisi, che ha messo a nudo le vergogne, il servilismo e l’inettitudine dei politici; giovani e “senza storia”, si rivolgono all’elettore da pari a pari – in più, possono contare su un apripista straordinario: Beppe Grillo. Non siamo tra i suoi adoratori: ci infastidiscono il suo giocare su due tavoli (mai visto uno che si fa pagare per tenere un comizio, e quando viene attaccato per certe esternazioni sopra le righe guaisce: “ma io sono un comico, mica un politico!”), la distanza infinita tra dichiarazioni pubbliche e comportamenti privati, il qualunquismo urlato che spesso sovrasta proposte accettabili. Nel bene e nel male, Grillo è un arcitaliano, furbo, talentuoso e ondivago.

Però c’è riuscito: ha creato un mix vincente, in cui la c.d. gente si riconosce. Non è impresa da poco: il favore delle circostanze agevola il cammino, non costruisce la strada.

Ora per i 5 stelle arriva la prova del nove: specie nei momenti drammatici, la critica distruttiva affascina, ma riedificare una società con pochissime risorse è impresa al limite dell’impossibile.

Reggere un comune è oggi, infatti, più difficile che mai (v. patto di stabilità e tagli a ripetizione), ma specialmente sembra mancare, al movimento di Grillo, una chiara consapevolezza di ciò che gli succede intorno: schernire i politicanti corrotti è legittimo, ma ritenere che siano loro gli unici responsabili dell’odierno sfacelo è sintomo di ubriachezza da propaganda (propria e soprattutto altrui). Berlusconi è invotabile da sempre, e la politica italiana è piena di Lusi e Belsito – ma non sono state le loro cattive azioni, le loro omissioni a dar vita alla tempesta perfetta. I Nettuno della finanza stanno all’omino di Arcore come il Satana dantesco al gattone Behemot.

Matureranno in fretta, i “grillini”, o le aspettative verranno per l’ennesima volta tradite? Staremo a vedere – e non solamente a Parma -, ma è lecito dubitare del fatto che il Movimento 5 Stelle (ed il suo scialbo gemello, i Piraten tedeschi) abbia in tasca la ricetta per sfuggire ad una crisi di cui incolpa il maggiordomo sbagliato, e che somiglia ogni giorno di più a un noir; in ogni caso, i grillini hanno ancora ampi margini di crescita, perché sono visti (non del tutto a torto, sia chiaro) dalla popolazione come l’unica alternativa ad un sistema incancrenito e senza bussola, dove destra, sinistra e centro sono nomi appiccicati su un nulla impotente, disonesto e costoso. Che poi nel mucchio finiscano anche partiti e dirigenti seri fa parte del gioco, ed anzi, l’ambiguità è pienamente voluta: Grillo sa benissimo che i suoi concorrenti potenziali sono proprio i piccoli movimenti (di sinistra, aggiungiamo per amor di chiarezza) che dallo smottamento politico potrebbero trarre profitto.

In effetti, i soggetti “progressisti” – tra le quali non va annoverato, per forza di cose, il PD montiano - stanno perdendo la loro ultima occasione, e il risultato elettorale lo dimostra.

Se SeL, FdS e (magari) un PSI degno della sua storia avessero unito le risorse, mettendo sul piatto i problemi veri e proponendo una bozza di soluzione, forse – dico forse – sarebbero stati in grado di riempire il vuoto postberlusconiano, e di scrivere perlomeno la premessa di un futuro meno fosco.

Così non è stato: si continua a navigare a vista, anche se la manifestazione romana del 12 maggio – organizzata dalla FdS, e che ha visto la partecipazione di esponenti non settari di SeL, quali Alfonso Gianni e la Santarelli – può essere indicata, non senza ottimismo, come un punticino di (ri)partenza.



 

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