foto originale di Stefano Mangione |
di Lorenzo Mortara
Come
era ampiamente prevedibile, la
lotta di classe a colpi di sentenze
si sta pian piano ritorcendo contro la Fiom, la giustizia non essendo altro che un numero imprecisato di aule di tribunale ad ulteriore disposizione dei padroni per la causa del profitto. Il tribunale di Larino,
ha stabilito che a Termoli, per gli operai della Fiom, la Fiat debba
applicare il contratto dei metalmeccanici del 2008. L’azienda
torinese ha preso la palla al balzo per provare una nuova tattica:
decurtare di 250 euro lo stipendio dei tesserati Fiom. L’ha
fatto dicendo di aver «puntualmente eseguito quanto disposto dal
tribunale di Larino. Eseguendo l’ordine del giudice, che stabilisce
che ai lavoratori iscritti alla Fiom debba essere applicato il
contratto collettivo del 2008 e non il contratto per il gruppo Fiat
del 2011, l’azienda ha provveduto a calcolare le retribuzioni del
mese di maggio».
Naturalmente questa non è una giustificazione, ma solo una delle
tante furbizie della Fiat. La Fiat, infatti, non ha affatto applicato
la sentenza del giudice, della quale se ne frega come ogni azienda
che si rispetti. Lo prova, tra le altre cose, il fatto che
l’applicazione del Contratto del 2008 non pregiudica affatto il
versamento delle integrazioni dei vecchi contratti aziendali, con cui
Fiat s’è ripappata, oltre alle 100 euro circa del nuovo contratto
di Fim e Uilm derogato, altre 150 euro firmate anche dalla Fiom.
Molto più semplicemente la Fiat ha applicato la lotta di classe a un
sindacato che invece vuole applicare soltanto la legge perché la
lotta di classe non la fa o la fa male.
In
questi ultimi due anni, l’idea di togliere i favolosi aumenti del
Contratto di Fim e Uilm, è sempre stata l’arma dei delegati
gialli
nelle assemblee. Se sono contrari, quelli della Fiom – dicono i
paladini dei contratti bidoni – perché non rinunciano a mettersi
in tasca gli aumenti che gli abbiamo fatto avere? Apparentemente
sensato, questo discorso, in realtà, non regge alla benché minima
critica. Se applicassimo davvero, come un liberale qualunque, quella categoria demenzial-kantiana chiamata giustizia
e non la lotta di classe, dovremmo chiedere i danni a Fim e Uilm.
Secondo la loro giustizia, infatti, Fim e Uilm ci hanno regalato un
aumento di 100 euro. Secondo la lotta di classe invece, non ci hanno
regalato proprio niente per la semplice ragione che ci hanno svenduto
ai padroni al di sotto del valore contrattato nel 2008.
Cerchiamo
di chiarire nei dettagli l’intera questione.
Innanzitutto
un Contratto
Nazionale
altro non è che la mediazione tra una domanda, quella dei lavoratori
o dei loro rappresentanti, e l’offerta dei loro padroni. Già qui,
Fim e Uilm, prima di chiederci di mollare i loro presunti aumenti,
dovrebbero spiegarci, in quei 100 euro, quale quota rappresenta
l’offerta padronale e quale la domanda operaia. Nel 2008, per due
anni e mezzo di contratto, Federmeccanica offrì, se non erro, 70 euro. A
occhio e croce quindi, Fim e Uilm con l’ultimo contratto triennale
hanno al massimo racimolato 20 euro, perché 80 ce le ha messe la
controparte. Ma la verità è che non hanno racimolato neanche 20
euro perché sono capitolate subito alla prima offerta padronale. Svendere
sotto costo
– citiamo per una volta Di Vittorio senza lodarlo troppo come vorrebbe la burocrazia da cui proviene – è
sempre facile.
E se proprio dobbiamo rinunciare a qualcosa, rinunciamo volentieri a
quel che strappano Fim e Uilm rispetto alla loro domanda, non a
quello che già i padroni sono disposti a darci con la loro offerta.
Fim e Uilm prima di accusare noi della Fiom, dovrebbero conoscere
l’abc della contrattazione.
Fatta
la sottrazione dell’offerta padronale, però, non resta solo la
domanda da calcolare. Per andare fino in fondo e valutare quanto
dobbiamo eventualmente a Fim e Uilm, bisogna ancora contare quel che
Fim e Uilm fanno finta che non esista, cioè quel che volgarmente
viene detto costo
del denaro,
e che altro non è che l’inflazione. Se 100 euro di aumento
salariale portato dalla bontà di Fim e Uilm non recuperano
l’inflazione, in termini di potere di acquisto, cioè di potere del
Lavoro
sul Capitale,
il salario del loro ultimo contratto separato diventa più basso in
proporzione di quello firmato unitariamente nel 2008. Se quindi per
uno strano concetto di giustizia si chiede a noi della Fiom di
restituire gli aumenti, piovuti per altro come abbiamo visto al 90%
dai padroni, è bene che per la stessa ragione Fim e Uilm ci
restituiscano quel ci hanno tolto con l’inflazione. Nel cambio ci
guadagneremmo molto più delle 100 euro che Fim e Uilm credono di
aver portato a casa ma che non hanno portato affatto. E non potrebbe
essere altrimenti, perché in effetti i padroni non offrono mai un
aumento salariale, ma sempre e soltanto una sua decurtazione, anche
se grazie proprio all’inflazione sono in grado di presentarla come
un aumento. Fim e Uilm non se ne sono accorte, perché come tutti gli
operai arretrati che rappresentano, si illudono che la paga possa
aumentare senza far niente, grazie al loro genio di mercanti falliti,
anziché alla forza bruta dei lavoratori in sciopero.
Le
vanterie di Fim e Uilm per un aumento che è in realtà di fatto una
decurtazione
di salario, sono oltremodo dannose, non solo e non tanto per la parte
economica, quanto per le illusioni che seminano nella classe operaia.
La propaganda di Fim e Uilm porta l’operaio a credere che la paga
possa alzarsi senza lotta, cosa che è storicamente impossibile.
Invece di riflettere su come sia stato possibile aumentare la paga
senza un’ora di sciopero, andando contro una legge implacabile
della lotta di classe, il sindacalista di Fim e Uilm chiede il conto,
in nome della Giustizia, a quello della Fiom per l’aumento
immaginario che gli ha fatto avere. Totalmente ignorante la storia
del movimento operaio, sganciato dal suo passato, non gli viene il
dubbio che firmando senza un’ora di sciopero, ha firmato la
decurtazione dello stipendio, non il suo aumento.
La
decurtazione effettiva dell’ultimo contratto, ai padroni, è
riuscita proprio imbrigliando la lotta di classe con la complicità
delle loro due formazioni amiche. Se avessero puntato sulla
giustizia,
non ci sarebbero mai riusciti. Infatti, se la giustizia potesse
sostituire la lotta di classe, noi saremmo ben lieti di poterla
applicare. In effetti, cosa resterebbe nelle fabbriche del contratto
di Fim e Uilm se applicassimo la giustizia? Resterebbe un accordo con
non più del 10% dei metalmeccanici. Nei metalmeccanici, infatti, la
Fiom copre tra il 50-60% dei tesserati che però rappresentano meno
della metà dei lavoratori. Senza 100 euro di presunto aumento ma
liberi dalle deroghe e dagli accordi Marchionne e con sempre la loro
rappresentanza, i metalmeccanici avrebbero ancora il 90% della loro
forza contrattuale da spendere. La Fiom, non ci metterebbe molto per
usarla e portare a casa anche solo un 50% in più delle 100 euro
strappate da Fim e Uilm, e senza svendere alcun diritto. Invece, è
applicando a tutti accordi che han fatto solo con Fim e Uilm, cioè
più o meno con sé stessi, che i padroni riescono a svalutare in
partenza la forza contrattuale degli altri lavoratori. Certo, se la
Fiom si mette a lottare fino in fondo, può lo stesso ribaltare la
situazione. Se invece anche lei si perde nelle aule dei tribunali
della giustizia, rischiando tra l’altro di trasformarsi da
sindacato di fabbrica a un covo di avvocati e di azzeccagarbugli,
allora la Fiat, oltre al normale danno che ci fa quando vince la
lotta di classe, avrà buon gioco nel rincarare la dose, aggiungendo
anche la beffa dell’applicazione di una personale interpretazione
della sua stessa ingiustizia, che altro non è che l’ulteriore
tassa che il padrone applica a chi non sa fare come si deve la lotta
di classe.
Stazione dei Celti
Domenica 9 Giugno 2012
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom-Cgil
Stazione dei Celti
Domenica 9 Giugno 2012
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom-Cgil
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