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lunedì 15 ottobre 2012

IL CONCETTO DI POTERE PER I CINESI di Riccardo Achilli




IL CONCETTO DI POTERE PER I CINESI
di Riccardo Achilli

Dalla fondazione della Cina attuale, cioè dal regno di Qin Shi (221 a.c. - 206 a.c.) fino al ventesimo secolo, le monete in uso erano circolari, con un foro quadrato nel mezzo. Nella simbologia del Tao, il cerchio è il Cielo, il quadrato la Terra. Se accettiamo l'idea ovvia che una moneta è un simbolo del potere politico ed economico, il fatto che il Potere sia stato, per quasi tutta la storia cinese, associato ad una immagine di Assoluto, di Universo nel suo insieme, dovrebbe farci riflettere profondamente sul significato che i cinesi danno al potere, evitando quindi di assegnargli un epiteto di assolutismo, sulla base dei nostri criteri occidentali-illuministici.
A differenza di noi occidentali, abituati sin dai tempi greco-romani ad associare il potere politico agli individui che lo detengono (infatti nelle monete romane di epoca imperiale figurava sempre l'effigie del volto dell'imperatore allora in carica) per il cinese il potere è un concetto meno personale, più astratto, coincidente con un'idea di assoluto. Se anche vi è un imperatore personale, o un Grande Leader, come Mao, egli infatti altro non è che il fu-mu (padre e madre) in uno Stato concepito come una grande famiglia, in cui i sudditi sono i figli che devono rispetto. Non esiste il monarchismo individualizzato tipico della cultura occidentale, che porta Luigi XIV ad affermare "l'Etat, c'est moi". Molto più semplicemente, se la famiglia anagrafica è il microcosmo in cui l'individuo vive la sua vita, la famiglia statuale è il suo macrocosmo, ed ingloba tutto quanto. Per cui, esattamente come nella sua famiglia anagrafica, il cittadino dovrà venerare l'autorità dei genitori e degli avi, nella famiglia statuale egli dovrà obbedire agli ordini superiori dei suoi leader.
Da questo punto di vista, i concetti di rappresentatività e di controllo popolare sull'operato del Governo, cari alla democrazia liberale occidentale, sono semplicemente privi di senso per un cinese. Che senso ha controllare o pretendere rappresentatività dai propri genitori? Esattamente come in una famiglia, ogni individuo vive esclusivamente in funzione del ruolo che occupa, ed il rispetto assoluto per le gerarchie e per i ruoli diviene la base stessa che dà significato all'esistenza individuale. Rieccheggia in pieno l'insegnamento di Confucio: come afferma uno studioso di Confucio come Piero Corradini: "l'uomo potrà realizzare se stesso e i suoi valori soltanto nella società ed il fine ultimo della vita umana viene considerato in funzione dell'attività che ogni singolo svolge nella sua posizione sociale che, pur se suscettibile di miglioramento, è sempre, al momento, fissa e ben determinata." 
Poiché il confucianesimo non elabora una dottrina metafisica, la società sarà l'immagine dell'intero cosmo, ed il ruolo disciplinato ed ordinato dell'individuo nella società è fondamentale proprio perché corrisponde al suo ruolo nell'intero universo, e quindi al suo stesso significato essenziale. Da questo punto di vista il significato di "autoritarismo", nell'accezione di noi occidentali, è insensato. E' forse autoritario un padre? Forse, ma comunque e sempre per il nostro bene.
A differenza di ciò che si potrebbe pensare superficialmente, il confucianesimo non contempla un meccanismo sociale rigido ed ingessato. Al contrario, per il suo studio, i suoi meriti intellettuali, la sua devozione ed abnegazione assoluta alle gerarchie ed agli interessi superiori dello Stato, l'individuo può migliorare, evolvere, divenire una sorta di "santo laico", il "junren". Da ciò, deriva che nella mentalità cinese la meritocrazia ha un ruolo molto più forte che da noi. Il funzionario, la vera spina dorsale di una società che, per mantenere la  sua unità nonostante un territorio sterminato e distanze geografiche siderali, nonostante centinaia di etnie e religioni diverse, nonostante le pressioni disgregatrici esterne, si è sempre affidata al ruolo accentratore, autoritario (e quindi unificante) della burocrazia, viene selezionato, anche dai ceti contadini ed operai più poveri, con esami severi. E questo sia in epoca imperiale che in epoca moderna.  l'ambizione assume quindi un connotato diverso da quello occidentale: non è la legittima volontà di dispiegare appieno tutte le potenzialità dell'individuo, come la intendiamo noi, è bensì la capacità dell'individuo di agire per il bene dell'intera collettività: per Confucio l'uomo deve fare e "fare per niente". La pace e la prosperità del popolo e del Paese si realizza soltanto se ciascuno compie disinteressatamente il proprio dovere.

La stessa forma di ragionare dei cinesi è plasmata dal metodo confuciano: a differenza dell'occidentale, che parte dal generale (la teoria) per arrivare al particolare (l'applicazione pratica) il cinese parte da un'immagine concreta per indurne una teoria generale. Ciò peraltro mi ricorda alcuni episodi molto divertenti: durante il mio master, uno dei miei compagni era cinese. Quando i tipici docenti italiani esponevano le classiche lezioni cattedratiche di teoria generale, egli era solito interromperli chiedendo "e allora? In pratica?" Facendoli imbestialire non poco.
Ciò però significa anche che il cinese, proprio per l'abitudine a non ragionare in termini di schemi teorici generali, tende a non utilizzare lo schema dialettico hegeliano: non arriva ad una sintesi come negazione della negazione di una tesi. Al contrario, in ottemperanza al principio confuciano dell'armonia, cercherà sempre il "giusto mezzo" fra tesi ed antitesi, spesso arrivando ad una posizione che fa astrazione della tesi e dell'antitesi iniziali. Lo stesso maoismo teorico è impregnato di questa cultura (inconscia, ovviamente, perché ufficialmente il maoismo rigettava il confucianesimo, in quanto dottrina socialmente tradizionalista e conservatrice). Tutta l'elaborazione maoista sulle contraddizioni, per cui si differenziano le contraddizioni fra popolo ed avversari di classe e le contraddizioni interne al popolo, queste ultime gestibili anche in termini tattici (si veda l'iniziale alleanza fra Mao ed il Kuomintang in funzione anti-giapponese) esprime la ricerca di un punto mediano che in qualche modo smussi la dialettica estrema fra tesi ed antitesi. Molto più consapevolmente, la dirigenza comunista post-maoista ha  esplicitamente  fatto riemergere il confucianesimo dall'inconscio collettivo cinese, cui era stato confinato da Mao, per farne la base dell'istruzione scolastica, sin dalle elementari.
Questa visione del potere, imperniata sul collettivismo che prevale rispetto all'individualismo, sul familismo, sulla costante ricerca del punto mediano di armonia sociale, comporta ovviamente due aspetti, che noi occidentali, con la nostra mentalità, tendiamo a vedere in modo denigratorio, se non addirittura ad utilizzare come sintomi di un presunto "tracollo" imminente del sistema cinese: il paternalismo e la corruzione. Il sistema di potere cinese è paternalista. Lo è sempre stato, proprio perché è concepito come una famiglia. Non esistono però soltanto gli aspetti negativi (scarsa libertà individuale, sacrifici individuali imposti dallo Stato, come ad esempio quelli legati all'adesione a programmi obbligatori, quali quello sul controllo delle nascite o altro, compressione degli spazi per la contestazione e la critica, ecc.) Ha anche effetti positivi, che costruiscono legami di comunità molto più solidi che da noi. In epoca maoista, i cinesi erano organizzati per piccole comunità: la danwei (unità di lavoro) nelle fabbriche, la comunità rurale nelle campagne: queste unità comunitarie di base erano certo il luogo del controllo politico/ideologico del partito, ma anche il luogo della solidarietà, del mutuo soccorso, dei servizi sociali di base (poiché ogni danwei o comune rurale aveva la scuola, l'ospedale, l'asilo, negozi, servizi, ecc.). 

Ancora oggi, in nome di questo paternalismo che noi occidentali esecriamo, ogni cittadino può andare alla locale sezione del partito comunista per esporre problemi di vita quotidiana e chiedere aiuto. Ogni funzionario di base del partito è tenuto ad assicurarsi che i cittadini "siano felici". Fa parte dei suoi obblighi. Ora, nel paradiso occidentale, faccio fatica a vedere il cittadino che si reca alla locale sezione del PD o del PDL per lamentarsi di una bolletta che non riesce a pagare, oppure un attivista di base di tali partiti che fa il giro del quartiere per chiedere ai cittadini se sono felici o se hanno qualche angustia che possa essere risolta dal partito. 
Ancora oggi, le imprese occidentali che investono in Cina sono stupite di sentirsi rivolgere, dai loro lavoratori cinesi, richieste per avere un asilo-nido, una abitazione, il trasporto da casa all'azienda, o la scuola per i figli. Per l'individualismo occidentale, è invece normale regolare il rapporto fra lavoratore e datore di lavoro esclusivamente sulla base di un salario monetario, che poi il lavoratore, nella sua libertà, può spendere per mandare a scuola i figli oppure per ubriacarsi all'osteria. Ciò fa sì che il senso di comunità, di solidarietà e di legame interpersonale, in Occidente, si sia perso, segnando di fatto un arretramento culturale rispetto al tanto vituperato paternalismo cinese. Con enormi danni, ovviamente, per i più deboli, per gli oppressi, e anche per la stessa sinistra politica, la cui malattia degenerativa dipende proprio dall'individualismo crescente, che si è imposto dopo il declino della cultura del '68 (ed anzi, tale cultura conteneva inconsapevolmente i germi di questo individualismo, nella sua ricerca di libertà intesa come auto-realizzazione del Sè: con l'invecchiamento e l'integrazione nel sistema della generazione del '68, tale germe è diventato la pianta velenosa del rampantismo degli anni Ottanta).
Venendo al tema della corruzione, anche questo è distorto, se visto con occhi occidentali. Intanto, per ciò che si è detto, il fattore unificante fondamentale della Cina, che le ha permesso di rimanere unita nonostante le enormi spinte centrifughe e centripete che avrebbero facilmente potuto disintegrarla, è stata la burocrazia. La Cina è da sempre uno Stato burocratico, dai madarini imperiali ai funzionari di partito odierni. La burocrazia ha infatti unificato lo Stato, conferendogli autorità, stabilità, legalità. Però la burocrazia è una classe che non si riproduce generando valore aggiuntivo, poiché è esterna al ciclo di produzione. La sua forma di riproduzione (in un sistema fondamentalmente meritocratico come quello cinese, in cui si accede al funzionariato tramite esami) è, quindi, esattamente basata sulla corruzione, come forma, da un lato, di sfruttamento delle classi produttive, e dall'altro di affermazione del suo potere nella società. Potere necessario a tenere insieme un Paese immenso e profondamente diversificato come la Cina. 
La corruzione è infatti esistita da sempre, era endemica nella Cina imperiale come in quella attuale, e diversi episodi sanguinosi e radicali della storia cinese, quelli cioè in cui l'armonia sociale confuciana si è momentaneamente spezzata, possono essere interpretati anche (benché non solamente) come necessarie fasi di lavacro sociale, nel momento in cui la corruzione raggiungeva livelli oramai eccessivi e socialmente distruttivi. Ad esempio, la fase di instabilità e violenza che va dalla rivolta del Loto Bianco del 1774 alle rivolte degli Hui e dei Miao del 1873, una fase in cui le vittime delle violenze furono il doppio rispetto ai morti della prima guerra mondiale, fu legata anche all'eccessivo livello di corruzione della burocrazia. La stessa Rivoluzione Culturale di Mao, con i suoi strascichi di violenza, fu anche un modo per sovvertire le posizioni di potere acquisite da una burocrazia corrotta. La strage quotidiana e silenziosa perpetrata dai vertici comunisti attuali, mediante la condanna a morte di centinaia di funzionari e dirigenti di partito accusati di corruzione, è la guerra che si sta combattendo oggi. In sintesi, per quanto sia odioso, occorre riconoscere pragmaticamente che la corruzione, in quanto forma di riproduzione sociale della mezza classe dei burocrati, è un male necessario ed inevitabile in un Paese che per sua natura può essere tenuto insieme proprio dalla burocrazia dello Stato. E che la storia cinese ha elaborato sanguinosi anticorpi per ricondurre la corruzione entro limiti fisiologici, quando diviene eccessiva e pericolosa per la stessa tenuta dello Stato.

Queste brevi note possono quindi servire, mi auguro, per contestualizzare le caratteristiche di un sistema politico/sociale che non è né migliore né peggiore del nostro, e per far vedere in diversa luce le tante sciocchezze dette sulla Cina, con le lenti di ingrandimento della nostra cultura occidentale. Ci lamentiamo dell'autocrazia cinese? Però nelle nostre società occidentali, per fasce crescenti della popolazione, sta venendo meno la libertà sostanziale, quella cioè che ci libera dalle esigenze elementari della sopravvivenza dignitosa, perché la nostra libertà è basata sull'individualismo, seme del liberismo, mentre i cinesi ragionano in termini di comunità. Ci lamentiamo del paternalismo del sistema politico cinese? Però, anche nelle fasi economiche prospere, le nostre società sono caratterizzate dalla solitudine e dall'emarginazione e comunque siamo schiacciati, come direbbe Marcuse, in una unidimensionalità produttore/consumatore che non abbiamo scelto e che ci è stata imposta. E poi è anche difficile accusare gli altri di paternalismo da parte di una civiltà che ha prodotto Mussolini e Berlusconi. Ci lamentiamo della corruzione del sistema burocratico cinese? Pur senza avere l'esigenza di tenere unito, con la burocrazia, un Paese sterminato di un miliardo e mezzo di abitanti, anche noi abbiamo una diffusione della corruzione non certo invidiabile.



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