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domenica 28 ottobre 2012

LETTERA AL GIORNALE?


di Lorenzo Mortara

RSU Fiom-Cgil


LETTERA AL GIORNALE?
-Vita di delegato IV-



Pur di sfuggire alla lotta, tra le proposte più strampalate che si possono sentire in assemblea, c’è sempre quella avanzata dall’ingenuità fatta a forma di operaio di scrivere una lettera ai giornali. Il lavoratore s’arrabbia se il delegato, irritato, gli risponde a bruciapelo che non serve a niente. Ma per quanto possa arrabbiarsi un operaio, il compito principale di un delegato, in questi tempi strani e reazionari seppur ancora per poco, è quello di distruggere tutte le illusioni – e sono ancora molte, chi legge non immagina nemmeno quante – che gli operai si fanno lungo il tortuoso cammino della presa di coscienza.
In sé e per sé, per scrivere una lettera al giornale non serve un delegato, può farlo benissimo da solo il lavoratore che crede nei suoi sogni di carta. Il fatto che pretenda che a farlo per lui sia il delegato facchino, non è che l’ennesima variante del suo eterno immobilismo. Lui non vuole fare niente per migliorare la situazione, ha delegato la rappresentanza sindacale per risolvere i suoi mali, e di conseguenza si sente autorizzato a pretendere tutto senza mai dare nulla. In sintesi, vuole solo diritti ma non sente alcun dovere. Eppure solo i bambini hanno soltanto diritti e nessun dovere, perché non sono autosufficienti. E il primo dovere di un delegato adulto e maturo è quello di non trattare da bambini quei lavoratori infantili che non sanno crescere e vogliono a quarant’anni suonati o giù di lì essere ancora imboccati come i bambini che non sono più. Finché questi lavoratori arretrati non capiranno che senza mettersi in gioco è giusto che non ottengano nulla, dovremo attendere pazienti la loro maturazione. Nell’attesa, da buon kamikaze che non vuole attendere passivamente, per togliere dalla loro testa simili illusioni, una lettera al giornale locale, il delegato volenteroso può anche farla, più per una questione pedagogica che altro. Però, a sua volta, non si illuda troppo. Infatti, scritta la lettera e non ottenuto come è ovvio nulla, il delegato difficilmente otterrà che il lavoratore apra finalmente gli occhi. Nove volte su dieci, otterrà semplicemente di vedersi proporre da quella santa ingenuità un’altra delle sue inesauribili illusioni. Il delegato non si scoraggi, si armi di pazienza e vedrà che, insistendo, prima o poi anche i più cocciuti capiranno i limiti di uno scontro a colpi d’inchiostro stampato.
Si possono anche scrivere lettere ai giornali, a patto che simili espedienti siano presi per quello sono: fattori ausiliari alla lotta che non possono in nessun caso sostituirsi alla lotta stessa. Andare dietro al lavoratore arretrato che chiede una lettera sul giornale solo perché non vuole scioperare, significa avallare le sue illusioni anziché provare a levargliele per inchiodarlo alla dura realtà. È come accettare di anteporre una possibile vittoria a una sicura sconfitta con una lotta fatta soltanto a parole.
Di norma, lettere ai giornali si scrivono in risposta a un attacco dei padroni avvenuto sempre sulla stampa. Sono lettere difensive, giusto per dimostrare che si sa rispondere colpo su colpo anche con le parole. Andare all’attacco sui giornali senza che sulla stampa sia apparso niente dalla controparte padronale, significa non avere la più pallida idea di come si va all’attacco dei padroni: non giocando con le parole, ma colpendoli nelle tasche. Nel primo caso si farà uno scherzo di lotta, che giustamente farà solo ridere i padroni, nel secondo li si farà piangere quando capiranno che, almeno noi, non si scherza più. Perciò, quando non si sa come attaccare, e si crede di attaccare con una lettera ai giornali, fosse anche la più pepata, si otterrà solo di venire infilzati dalla facile risposta dei padroni. Facile si badi, non perché i padroni abbiano chissà quali argomenti con cui confutare le accuse dei lavoratori. Anzi, di argomenti di norma i padroni non ne hanno nessuno. Perché già gli difetta da sempre la logica formale, figuriamoci la dialettica che ne è il suo completamento scientifico. I padroni hanno facilmente ragione di una lettera sul giornale perché hanno l’unico argomento decisivo in materia di letteratura sindacale: la forza. Ed è per questo che i lavoratori si devono adeguare, accettando di confrontarsi coi padroni non con la forza delle idee, ma con la forza bruta della loro esistenza materiale. Per dirla con Marx, non è con le armi delle critica che piegheremo i padroni, ma con la critica delle armi. Traduzione per i lavoratori più facilmente impressionabili: non con le parole otterremo quel che ci occorre, ma con l’azione. Le armi della critica servono a dare coscienza alle azioni, di più non possono fare. Scrivere invece una lettera ai giornali senza muovere altro che i polpastrelli sulla tastiera, non farà altro che riempire due colonne di azioni incoscienti.
Chi vuole risolvere i nostri problemi con le lettere ai giornali, dimentica inoltre la cosa più importante della stampa nazionale e locale: chi la finanzia. La stampa tutta, dalla Repubblica di De Benedetti al Fatto di Travaglio, fino all’ultimo giornale di provincia, è finanziata coi soldi privati dei padroni succhiati ai lavoratori. Quella che la carta stampata chiama opinione pubblica, altro non è che l’opinione privata di Sua Maestà il Capitale. I giornali non sono lì per pubblicizzare i nostri problemi, ma per reclamizzare al massimo le notizie commerciali dei padroni. Qualunque notizia che dia troppo fastidio ai padroni del vapore sarà cestinata. E se ogni tanto qualcuna passa, passa proprio per veicolare una volta di più l’illusione che con un bell’articolo si possa risolvere un problema che si può risolvere solo con la forza. Per questo, la parte più cosciente del movimento operaio si è sempre battuta per avere una sua stampa indipendente. Oggi, purtroppo, regredito come è regredito il movimento operaio, con giornali sedicenti comunisti che al posto di Marx hanno come punto di riferimento Lord Keynes, non ce l’abbiamo e dobbiamo arrangiarci come possiamo con piccole riviste di nicchia o con blog come questo. Ma la stampa indipendente il movimento operaio non l’ha mai voluta semplicemente per denunciare le malefatte dei padroni, ma anche e soprattutto per elevare la coscienza dei lavoratori, per infondergli il coraggio di lottare contro i loro soprusi. È qui, in fondo, che sta il nocciolo dell’illusione del lavoratore che vuole scrivere una lettera sul giornale. Infatti, senza che ne sia cosciente, quando il lavoratore arretrato chiede al delegato di scrivere una lettera sul giornale del padrone, lo fa perché in fondo spera con un articolo evangelico, melenso e pieno di buone di intenzioni di sensibilizzarlo. Ma i padroni sono insensibili ai problemi dei lavoratori perché sono sensibili unicamente al profitto. E il compito principale della stampa operaia, sia pure elettronica, è sensibilizzare i lavoratori non i padroni. Se si scrive una lettera sui giornali operai, se solo ci fossero, non è per comunicare con i lettori borghesi della stampa padronale, ma per comunicare con i proletari più coscienti delle altre fabbriche che la stampa padronale non la degnano di uno sguardo o la degnano solo con disprezzo. Perché, per comunicare con gli operai delle altre fabbriche non serve la stampa padronale, servono volantini da distribuire ai loro cancelli per incitarli a unirsi nella lotta. E questo deve fare un delegato che entri in lotta con la sua fabbrica. Scrivere volantini per le fabbriche vicine. Sui giornali locali, come su quelli nazionali, lasci scrivere i padroni che in fondo la stampa borghese se la meritano. I lavoratori no, non sono ancora pronti, e non la saranno mai, per i necrologi...


Stazione dei Celti
27 Ottobre 2012

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