di Lorenzo Mortara
RSU Fiom-Cgil
LETTERA
AL GIORNALE?
-Vita
di delegato IV-
Pur di sfuggire alla
lotta, tra le proposte più strampalate che si possono sentire in
assemblea, c’è sempre quella avanzata dall’ingenuità fatta a
forma di operaio di scrivere una lettera ai giornali. Il lavoratore
s’arrabbia se il delegato, irritato, gli risponde a bruciapelo che
non serve a niente. Ma per quanto possa arrabbiarsi un operaio, il
compito principale di un delegato, in questi tempi strani e
reazionari seppur ancora per poco, è quello di distruggere tutte le
illusioni – e sono ancora molte, chi legge non immagina nemmeno
quante – che gli operai si fanno lungo il tortuoso cammino della
presa di coscienza.
In sé
e per sé, per scrivere una lettera al giornale non serve un
delegato, può farlo benissimo da solo il lavoratore che crede nei
suoi sogni di carta. Il fatto che pretenda che a farlo per lui sia il
delegato facchino, non è che l’ennesima variante del suo eterno
immobilismo. Lui non vuole fare niente per migliorare la situazione, ha delegato la rappresentanza sindacale per risolvere i suoi mali, e
di conseguenza si sente autorizzato a pretendere tutto senza mai dare
nulla. In sintesi, vuole solo diritti ma non sente alcun dovere.
Eppure solo i bambini hanno soltanto diritti e nessun dovere, perché
non sono autosufficienti. E il primo dovere di un delegato adulto e
maturo è quello di non trattare da bambini quei lavoratori infantili
che non sanno crescere e vogliono a quarant’anni suonati o giù di
lì essere ancora imboccati come i bambini che non sono più. Finché
questi lavoratori arretrati non capiranno che senza mettersi in
gioco è giusto che non ottengano nulla, dovremo attendere
pazienti la loro maturazione. Nell’attesa, da buon kamikaze che non
vuole attendere passivamente, per togliere dalla loro testa simili
illusioni, una lettera al giornale locale, il delegato volenteroso
può anche farla, più per una questione pedagogica che altro. Però,
a sua volta, non si illuda troppo. Infatti, scritta la lettera e non
ottenuto come è ovvio nulla, il delegato difficilmente otterrà che
il lavoratore apra finalmente gli occhi. Nove volte su dieci, otterrà
semplicemente di vedersi proporre da quella santa ingenuità un’altra
delle sue inesauribili illusioni. Il delegato non si scoraggi, si
armi di pazienza e vedrà che, insistendo, prima o poi anche i più
cocciuti capiranno i limiti di uno scontro a colpi d’inchiostro
stampato.
Si
possono anche scrivere lettere ai giornali, a patto che simili
espedienti siano presi per quello sono: fattori ausiliari alla
lotta che non possono in nessun caso sostituirsi alla lotta stessa.
Andare dietro al lavoratore arretrato che chiede una lettera sul
giornale solo perché non vuole scioperare, significa avallare le sue
illusioni anziché provare a levargliele per inchiodarlo alla dura
realtà. È come accettare di anteporre una possibile vittoria a una
sicura sconfitta con una lotta fatta soltanto a parole.
Di
norma, lettere ai giornali si scrivono in risposta a un attacco dei
padroni avvenuto sempre sulla stampa. Sono lettere difensive,
giusto per dimostrare che si sa rispondere colpo su colpo anche con
le parole. Andare all’attacco sui giornali senza che sulla stampa
sia apparso niente dalla controparte padronale, significa non avere
la più pallida idea di come si va all’attacco dei padroni: non
giocando con le parole, ma colpendoli nelle tasche. Nel primo
caso si farà uno scherzo di lotta, che giustamente farà solo
ridere i padroni, nel secondo li si farà piangere quando capiranno
che, almeno noi, non si scherza più. Perciò, quando non si sa come
attaccare, e si crede di attaccare con una lettera ai giornali, fosse
anche la più pepata, si otterrà solo di venire infilzati dalla
facile risposta dei padroni. Facile si badi, non perché i padroni
abbiano chissà quali argomenti con cui confutare le accuse dei
lavoratori. Anzi, di argomenti di norma i padroni non ne hanno
nessuno. Perché già gli difetta da sempre la logica formale,
figuriamoci la dialettica che ne è il suo completamento scientifico.
I padroni hanno facilmente ragione di una lettera sul giornale perché
hanno l’unico argomento decisivo in materia di letteratura
sindacale: la forza. Ed è per questo che i lavoratori si devono
adeguare, accettando di confrontarsi coi padroni non con la forza
delle idee, ma con la forza bruta della loro esistenza materiale. Per
dirla con Marx, non è con le armi delle critica che piegheremo i
padroni, ma con la critica delle armi. Traduzione per i
lavoratori più facilmente impressionabili: non con le parole
otterremo quel che ci occorre, ma con l’azione. Le armi della
critica servono a dare coscienza alle azioni, di più non possono
fare. Scrivere invece una lettera ai giornali senza muovere altro che
i polpastrelli sulla tastiera, non farà altro che riempire due
colonne di azioni incoscienti.
Chi
vuole risolvere i nostri problemi con le lettere ai giornali,
dimentica inoltre la cosa più importante della stampa nazionale e
locale: chi la finanzia. La stampa tutta, dalla Repubblica
di De Benedetti al Fatto di Travaglio, fino all’ultimo
giornale di provincia, è finanziata coi soldi privati dei padroni
succhiati ai lavoratori. Quella che la carta stampata chiama opinione
pubblica, altro non è che l’opinione privata di Sua Maestà
il Capitale. I giornali non sono lì per pubblicizzare i nostri
problemi, ma per reclamizzare al massimo le notizie commerciali dei
padroni. Qualunque notizia che dia troppo fastidio ai padroni del
vapore sarà cestinata. E se ogni tanto qualcuna passa, passa proprio
per veicolare una volta di più l’illusione che con un
bell’articolo si possa risolvere un problema che si può risolvere
solo con la forza. Per questo, la parte più cosciente del movimento
operaio si è sempre battuta per avere una sua stampa indipendente.
Oggi, purtroppo, regredito come è regredito il movimento operaio,
con giornali sedicenti comunisti che al posto di Marx hanno come
punto di riferimento Lord Keynes, non ce l’abbiamo e dobbiamo
arrangiarci come possiamo con piccole riviste di nicchia o con blog
come questo. Ma la stampa indipendente il movimento operaio non l’ha
mai voluta semplicemente per denunciare le malefatte dei padroni, ma
anche e soprattutto per elevare la coscienza dei lavoratori, per
infondergli il coraggio di lottare contro i loro soprusi. È qui, in
fondo, che sta il nocciolo dell’illusione del lavoratore che vuole
scrivere una lettera sul giornale. Infatti, senza che ne sia
cosciente, quando il lavoratore arretrato chiede al delegato di
scrivere una lettera sul giornale del padrone, lo fa perché in fondo
spera con un articolo evangelico, melenso e pieno di buone di
intenzioni di sensibilizzarlo. Ma i padroni sono insensibili
ai problemi dei lavoratori perché sono sensibili unicamente al
profitto. E il compito principale della stampa operaia, sia pure
elettronica, è sensibilizzare i lavoratori non i padroni. Se si
scrive una lettera sui giornali operai, se solo ci fossero,
non è per comunicare con i lettori borghesi della stampa padronale,
ma per comunicare con i proletari più coscienti delle altre
fabbriche che la stampa padronale non la degnano di uno sguardo o la
degnano solo con disprezzo. Perché, per comunicare con gli operai
delle altre fabbriche non serve la stampa padronale, servono
volantini da distribuire ai loro cancelli per incitarli a unirsi
nella lotta. E questo deve fare un delegato che entri in lotta con la
sua fabbrica. Scrivere volantini per le fabbriche vicine. Sui
giornali locali, come su quelli nazionali, lasci scrivere i padroni
che in fondo la stampa borghese se la meritano. I
lavoratori no, non sono ancora pronti, e non la saranno mai, per i
necrologi...
Stazione dei Celti
27 Ottobre 2012
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