di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom Rete28Aprile
Pubblichiamo la terza parte (delle cinque previste) degli Appunti su Sabattini. Qua per comodità del lettore, segnaliamo a mo' di indice le cinque parti con il relativo link di quelle già pubblicate:
5) Conclusioni
INNOVAZIONE
RIVOLUZIONARIA
E
INNOVAZIONE SOCIALDEMOCRATICA
Il
primo Dicembre 2000 a Reggio Emilia, nel corso del Comitato Direttivo
della Fiom, dedicato alla presentazione del suo libro Restaurazione
italiana scritto in
collaborazione con Gabriele Polo per i tipi della Manifestolibri,
Sabattini affronta forse il discorso più denso, complesso articolato
di questi quattro testi riproposti oggi dalla Fiom: il discorso
sull’innovazione tecnologica. L’operaio combattivo che rileggerà
queste note, sarà sicuramente rinfrancato, perché si imbatterà
finalmente in un sindacalista che ci risparmia le insulsaggini
burocratiche sulla Innovazione,
la Ricerca & lo Sviluppo,
vero e proprio mantra,
ripetuto a ciclo continuo,
con cui la burocrazia supplica i padroni italiani di poter fare da
loro consigliera pratica
per migliorare la competizione nazionale, nella gara internazionale
per il profitto.
Chi
governa l’innovazione tecnologica? Il padrone o l’operaio? Questo
è il problema che deve affrontare il sindacato, perché
l’innovazione da sola non risolve un tubo. Ed è proprio questo
problema che il sindacato ha smarrito per strada convinto che lo
sviluppo tecnologico, da solo, fosse una panacea sufficiente per
tutti i mali. È avvenuto l’esatto contrario. Avendo abbandonato il
proposito di governare la tecnologia, l’operaio ha finito per
subirla in tutto e per tutto. Perché il potere contrattuale si
riduce in ultima analisi al potere sulle tecnologie. L’operaio
negli ultimi 30 anni, ha subito la tecnologia perché non esiste
alcun possibile compromesso, tra Capitale
& Lavoro, su come
gestirla. O la gestisce uno o la gestisce l’altro. Il movimento
operaio s’è bevuto tutte le promesse mai mantenute dal padrone di
parziale regolazione del conflitto. Sabattini smonta tutti i miti
legati all’idea di poterlo governare in modo fisiologico, all’idea
della programmazione economica inseguita da molti burocrati sindacali
e mai voluta, innanzitutto, proprio dai padroni, e quindi mai
realizzata, perché non si potrà mai realizzare una programmazione
economica di un’economia fondamentalmente anarchica come quella
capitalistica. Alla fine delle sue scorribande critiche, Sabattini
tira le conclusioni: solo nella parentesi degli anni ’70 il
movimento operaio ha messo in discussione il potere padronale sulla
tecnologia, in tutti gli altri anni, lungo l’intero Novecento, s’è
accontentato di un compromesso socialdemocratico sulla
redistribuzione. Eppure «la costruzione di un movimento sindacale e
di una sinistra all’altezza dei tempi che attraversiamo, [sta] nel
rappresentare integralmente il lavoro, non solo nella fase
redistribuiva, cioè nel salario, ma nella sua condizione, nella sua
qualità, perché se non rappresenta questo e rappresenta solo
l’aspetto redistribuivo non può in nessun modo costruire una
coalizione all’altezza dell’attuale potere capitalistico».
Siamo
tornati al punto di partenza, a quel che dicevamo a proposito di
autonomia, indipendenza e
cinghia di trasmissione.
Qui, come si vede, lo stesso Sabattini ci dice, con le sue parole e
forse senza accorgersene, che il movimento operaio può essere
rappresentato integralmente solo con l’interdipendenza tra il
fattore redistribuivo e il fattore tecnologico. Ma che cosa significa
che il compromesso socialdemocratico avviene a livello ridistribuivo
ma non in quello del dominio tecnologico che resta in mano
all’impresa? Significa
che c’è stato un compromesso economico ma nessun compromesso
politico, perché la
borghesia su questo terreno non ha ammesso compromessi e la
socialdemocrazia ha accettato questo ruolo totalmente subalterno e di
conseguenza complice. In altri termini, il
fattore tecnologico altro non è che il fattore politico.
Se
l’economia politica borghese, da Smith a Ricardo,
ha ridotto l’operaio a una semplice esistenza animale,
come diceva Marx nei Manoscritti
economico-filosofici, la
socialdemocrazia s’è accontentata di un compromesso puramente
economico e s’è battuta, più che altro, non perché da una
semplice esistenza animale, l’operaio passasse a un’esistenza
complessivamente umana, bensì perché passasse a quella poco più
complicata di un animale ben foraggiato. Dunque, mentre l’economia
borghese è politica, quella socialdemocratica è tutto tranne che
politica, è un’economia bestiale. Ecco perché il discorso sul
potere della tecnologia, non la sfiora nemmeno, perché la bestia non
può che subire, nulla capendo della sua condizione. Perché
l’economia socialdemocratica, non essendo politica, è ignorante e
alienata, è un’economia per mostri umani. Mutilata nel suo aspetto
fondamentale, quello politico, l’economia socialdemocratica non ha
la testa per emanciparsi, è un’economia abbruttente, perfetta per
l’operaio incosciente, per l’operaio simile alla bestia. Il
discorso marxiano sulla alienazione non sa nemmeno cosa sia, una
volta che ha incrementato produzione e consumi è pronta per defecare
e ricominciare il ciclo all’infinito. Poiché però i cicli si
interrompono regolarmente, distruggendo i suoi sogni di progresso
graduale e automatico, non avendo strumenti critici per pensare
altro, reagisce al contrario quando l’operaio, perse le illusione
riformiste, prova a scuotere il giogo, riappropriandosi della sua
condizione di uomo. Mentre l’operaio si batte per reimpossesarsi
del suo essere,
la socialdemocrazia gli si erge contro alleata alla tecnologia del
padrone per spingerlo ad accontentarsi di avere
un po’ di più, senza però mai essere
niente.
La separazione tra sindacato e
partito, come la divisione dei compiti, ha precisamente questo scopo:
impedire all’operaio di appropriarsi in toto del suo problema,
affrontandolo in tutti i suoi aspetti. Confinato alla redistribuzione
il sindacato, innalzato il partito al ruolo di gran sacerdote che
pontifica sulla società dell’avvenire, diviso in mille compiti e
comparti, il movimento operaio è così condannato a non raggiungere
alcun obbiettivo, fallendoli uno per uno tutti, dalla
ridistribuzione, alla nuova società dell’avvenite che resta sempre
la vecchia società capitalistica già avvenuta.
Se
questo discorso, direi che tutto sommato è ben presente nella testa
di Sabattini, non così mi sembra per quanto riguarda il movimento
marxista che Claudio
vede invischiato nella stessa palude socialdemocratica. Secondo il
sindacalista tutta la sinistra, anche quella marxista, «ha sempre
accettato la tecnologia come un fatto di positiva innovazione e la
modernizzazione come un fatto che avesse una faccia sola […] che la
tecnologia portava sviluppo e che lo sviluppo era un fatto positivo e
che quindi, da questo punto di vista, occorreva incentivare questo
processo». A riprova di questo, Sabattini, cita Americanismo
e Fordismo di Gramsci e
il famoso discorso di Lenin sull’elettrificazione e il taylorismo
per fare il socialismo. Tuttavia, a Claudio sfugge proprio la
differenza peculiare tra marxismo e socialdemocrazia, e cioè che
mentre l’economia socialdemocratica non è politica, quella
marxista è politica con la P maiuscola. In Marx è ben presente la
questione del potere, della gestione e del controllo della
tecnologia. Per Marx l’innovazione non è un fatto positivo, perché
ha carattere ambivalente a seconda che sia vista con l’occhio del
borghese o con l’occhio del proletario. Il progresso scientifico si
realizza da un lato solo, quello del borghese, mentre dal lato
dell’operaio si materializza come regresso, o assoluto o relativo,
in proporzione al maggior progresso borghese. Senza controllo
operaio, la tecnologia porta sì sviluppo, ma sviluppo capitalistico,
cioè progresso a un polo e regresso all’altro. Marx s’è battuto
strenuamente contro lo sviluppo capitalistico, ha sempre visto nella
tecnologia uno strumento per accelerare il suo abbattimento e la sua
sostituzione con uno sviluppo socialista. Uno strumento, la
tecnologia, che andava usato subito, nella lotta contro la borghesia
perché non la usasse tutta a suo vantaggio. Per la socialdemocrazia,
priva di economia politica, priva cioè di conflitto con l’economia
politica borghese, è del tutto logico che abbia assecondato lo
sviluppo capitalistico, perché non ha potuto far altro che
intervenire ex-post, sperando di riequilibrarlo con una migliore
ridistribuzione. Non avendo il controllo della causa, la
socialdemocrazia può solo sperare, nel migliore dei casi, di agire
sugli effetti della tecnologia. Il discorso di Gramsci e Lenin è
invece del tutto diverso, perché si basa su un’economia, quella
marxiana, che presuppone il controllo politico dell’operaio sul
processo di innovazione tecnologica e prova ad agire prima della
redistribuzione. Il fordismo-taylorismo è cosa del tutto diversa
applicato in una economia pianificata socialista anziché in
un’economia anarchica di tipo capitalistico. Nel primo caso è il
miglior modo per economizzare il lavoro, riducendo al minimo il tempo
che l’operaio deve dedicare alla produzione, liberando tutto il
resto della giornata; nel secondo è il miglior modo per incatenare
tutti, dai pochi iper-sfruttati alla catena di montaggio, ai tanti
inchiodati alla disoccupazione. In questo caso e solo in questo
l’operaio subisce la tecnologia, nell’altro la domina perché la
controlla a suo vantaggio. Infatti, quando Lenin parla del
fordismo-taylorismo, dice di applicarlo «in quel tanto che ha di
scientifico e di progressivo», cioè di applicarlo precisamente nel
senso indicato più sopra. Certo, il taylorismo è sfiancante, e
ancora di più lo è la sua evoluzione, il toyotismo, ma applicati
sotto controllo dei lavoratori saranno la loro liberazione. Con
l’iper-produzione del fordismo-toyotismo saranno infatti
sufficienti poche ore di lavoro per produrre in abbondanza tutto il
necessario. Sotto controllo dei lavoratori sarà possibile dimezzare
a 20 ore l’orario di lavoro, forse addirittura a ridurlo in breve
tempo a 18 ore, 3 giorni da 6 ore. 6 ore al giorno di toyotismo per
tre giorni alla settimana, sono meno pesanti e infinitamente più
leggere delle attuali 40 e più ore in qualsivoglia posto di lavoro.
Non solo, qualora il lavoro risulti ancora molto pesante, col
controllo dei lavoratori, si potrà procedere a una rotazione.
L’operaio si imbatterà così solo una volta ogni tanto nel
terribile toyotismo. Perché fatta la rivoluzione, più sviluppa la
miglior tecnologia, attualmente il toyotismo, più l’operaio ha
tutto sotto il suo controllo. Meno la sviluppa, più sarà schiavo di
sé stesso. Al contrario, in regime capitalistico, più si sviluppa
la tecnologia più aumenta l’alienazione. Il discorso marxiano, da
Marx a Lenin a Gramsci, è in fondo tutto qua, ed è un discorso
rivoluzionario e non va confuso con la mediocrità riformista
socialdemocratica. Sabattini vede un contrasto anche in Marx Lenin e
Gramsci, ma il suo chiodo fisso è la riduzione dell’orario di
lavoro, di conseguenza il suo discorso non fa che approdare, pur in
maniera confusa, a quello marxista.
L’obiezione a questo discorso
potrebbe essere che la Rivoluzione d’Ottobre non è andata in
quella direzione, perché lo stalinismo ha espropriato i lavoratori
del controllo tecnologico costringendoli un’altra volta a subire il
progresso scientifico. L’obiezione è superficiale e in fondo non
regge. Innanzitutto, bisogna vedere il processo dal basso della
struttura economica, non dall’alto della sovrastruttura
burocratica. Con l’esproprio dei capitalisti, l’operaio sovietico
si è appropriato del controllo sociale e politico dei mezzi di
produzione, con la controrivoluzione stalinista ha perso il controllo
politico ma gli è rimasto il controllo sociale. In regime
capitalistico gli sono preclusi tutti e due. Questo ovviamente non
piace ad anarchici, estremisti e altri poeti della lotta di classe
che vogliono buttare a mare tutta l’esperienza sovietica solo
perché è stata orrenda, ma noi marxisti che siamo così sensibili
al più piccolo cambiamento, non possiamo unirci al loro gusto
estetico, perché abbiamo il senso scientifico della storia che loro
non hanno. Il controllo sociale in URSS apparteneva agli operai non
nel senso che la gran massa dei lavoratori aveva individualmente
qualche potere sulla tecnologia, ma nel senso che ce l’aveva come
classe, poiché la burocrazia per quanto fosse staccata dalle masse,
era pur sempre un’escrescenza che apparteneva al proletariato.
Perché a decidere non è il grado di sfruttamento o il numero di
morti nei gulag, ma solo ed esclusivamente il modo di produzione. E
il modo di produzione, per quanto rudimentale e approssimativo, era
quello della classe operaia, la pianificazione, e non cambiò fino al
crollo.
Inoltre, se si esclude il periodo
di guerra dove la militarizzazione forzata del lavoro per uscire il
più rapidamente possibile dalla miseria, in alcuni casi, Kronštadt
su tutti, portò effettivamente il proletariato allo scontro con la
durezza della tecnologia applicata, dall’epoca staliniana fino al
crollo, se c’è qualcosa che l’operaio sovietico ha subito, non è
l’innovazione, ma la sua mancanza. Quel che si è frapposto davanti
a lui come una parete insuperabile non è stato il progresso della
tecnologia, ma l’arretratezza medievale delle campagne e la
disorganizzazione delle fabbriche.
A grandi linee si può dire che
quel poco di progresso tecnologico che lo stalinismo ha portato,
nonostante l’eliminazione in massa delle menti migliori di Russia,
ha giovato all’operaio sovietico, anche se non come avrebbe potuto,
per colpa del parassitismo succhione della burocrazia. È proprio
quando non è stato più in grado di recuperare terreno sul
capitalismo, e anzi cominciando a perderlo che l’impero sovietico è
andato incontro al tracollo. L’esatto contrario di quello che sta
succedendo attualmente nel sistema capitalista, dove la decimazione
in massa del proletariato, macellato tra disoccupazione e precarietà,
avviene sotto lo spettacolo roboante del più grande progresso
tecnologico mai visto fino ad oggi.
Forse Sabattini ha messo i
marxisti nello stesso calderone socialdemocratico perché non ha
visto bene la differenza tra loro e gli stalinisti. Gli stalinisti
indubbiamente hanno sposato la causa dello sviluppo sempre e comunque
positivo. Ed è normale che sia stato così. Come abbiamo visto,
infatti, lo stalinismo muove dal classismo all’interclassismo, più
o meno come la socialdemocrazia, e più o meno come la
socialdemocrazia, diventando interclassista perde l’economia
politica. E la socialdemocrazia non ha economia politica, proprio
perché l’economia politica dell’interclassismo è quella
borghese liberale. Non ce ne può essere un’altra autonoma, un
secolo di tentativi falliti lo dimostra, perché l’unica economia
politica autonoma dalla borghesia, è il marxismo, l’economia
politica della classe proletaria. Ed è per questo che quando
Sabattini conclude dicendo che «il socialismo ha scoperto che si
vuole rappresentare davvero il lavoro o lo si rappresenta in tutta la
sua valenza […] oppure, altrimenti, non c’è nessuna possibilità
reale di costruire un soggetto autonomo in grado di competere con il
capitalismo», noi concludiamo dicendo che il Lavoro ha
scoperto nel 1917 che il socialismo si può fare solo con la
rivoluzione, altrimenti nessuno lo rappresenterà integralmente. Ma
per fare la rivoluzione ci vuole il Partito del Lavoro, e l’unico
Partito del Lavoro che fa la rivoluzione è il Partito marxista
rivoluzionario, l’unico partito veramente di classe perché fuso in
toto col sindacato nella lotta intransigente contro ogni germe di
contaminazione interclassista che la borghesia intrufola ad ogni piè
sospinto, per mezzo della sua ideologia, all’interno del movimento
operaio. Ecco perché non riesce più a emergere un soggetto politico
autonomo all’interno del movimento operaio. Perché non si è del
tutto coscienti dei propri propositi di classe, e di conseguenza non
si riesce più ad essere conseguenti fino in fondo. In breve, non si
riesce più ad arrivare al bolscevismo, poiché in un modo o
nell’altro ci si ferma sempre un po’ prima, si cede sempre in un
punto o nell’altro, all’interclassismo, e anche Sabattini qua e
là lo fa, per esempio nell’indipendenza sindacale. Quando
finiranno le concessioni, tutte le concessioni, si ritroverà la
strada per il bolscevismo, e il movimento operaio tornato
prepotentemente classista, sarà di nuovo autonomo.
Stazione dei Celti
Gennaio 2013
NOTA
Il discorso di Lenin sul fordismo taylorismo si trova in I compiti immediati del potere sovietico, in Scritti economici (Editori Riuniti, 1977).
Stazione dei Celti
Gennaio 2013
NOTA
Il discorso di Lenin sul fordismo taylorismo si trova in I compiti immediati del potere sovietico, in Scritti economici (Editori Riuniti, 1977).
Si ritroverà la strada per il bolscevismo? Contento tu...per me è sempre meglio perderla che trovarla..
RispondiEliminaCarlo Felici