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giovedì 21 febbraio 2013

PENSIERINI ALLA VIGILIA DEL VOTO di Norberto Fragiacomo




PENSIERINI ALLA VIGILIA DEL VOTO
di
Norberto Fragiacomo



Hypotheses non fingo, soleva dire Isaac Newton, e a me sembra saggio imitarlo: fare pronostici a quattro giorni dal voto è abbastanza autolesionistico, e porta pure male. Inutile scervellarsi: lunedì sera sapremo di che morte toccherà morire.
Intanto, mi sia consentita qualche riflessione poco impegnata. Stavolta abbiamo tre aspiranti alla vittoria, o per essere precisi due e mezzo – tuttavia, l’apparente allargamento dell’offerta non riesce a celare il fatto, assai difficile da contestare, che i competitori sono fatti della stessa pasta, sono la medesima cosa
Durante la finta Seconda Repubblica, lo scontro pirotecnico tra “centrodestra” berlusconiano (cioè, di proprietà di Silvio Berlusconi) e “centrosinistra” di derivazione comunista è stato sempre inscenato, mai realmente combattuto: ciascun contendente traeva la propria legittimazione dalla presenza dell’altro. Il cavaliere raccoglieva voti spaventati da un “bolscevismo” resuscitato ad arte, PDS-DS-PD si aggrappavano alla disonestà e alla beceraggine dell’insostituibile avversario: lontanissimi erano gli stili comunicativi, comune – purtroppo – la linea politica. Entro queste coordinate una legge sul conflitto di interessi sarebbe apparsa un UFO, e difatti non si è mai materializzata sui radar italiani.
Un coinvolgente spettacolo di varietà, dunque, allestito da attori che, terminato il preludio elettorale, gettavano alle ortiche il copione (=programma di coalizione) per affidarsi ai suggeritori inviati dalle lobby economiche.
Nell’era della crisi c’è meno spazio per la pubblicità ingannevole: la sceneggiatura è stata redatta direttamente dall’Unione Europea, e dai mercati che l’hanno creata, vent’anni fa, a propria immagine e somiglianza. La sinistra fasulla (PD e ammennicoli) non promette più redistribuzione ed equità: con la provvidenziale scusa della crisi, annuncia di voler fare ciò che dal ’96 ha sempre fatto – immiserirci. "L’ITALIA GIUSTA” hanno svogliatamente stampato sui manifesti, a caratteri medio-grandi: l’aggettivo corretto era “affidabile”, ma, da un punto di vista grafico, due parole di sei lettere stanno meglio insieme.
Berlusconi si riscopre per scherzo antisistema, e scrive lettere con l’inchiostro simpatico: qualsiasi persona con un po’ di sale in zucca sa bene, per consolidata esperienza, che annunci e parole si perderanno nel vento, perché la cometa seguita dal nostro si chiama, da sempre, interesse privato. Lo voteranno in molti, a riprova del fatto che gli italiani sono intellettualmente immaturi, un’accozzaglia di sedicenti furbi che, assieme al prossimo, fregano se stessi; il piccolo Tiberio di Arcore, che furbo lo è per davvero, si garantirà così l’ennesimo posto a tavola, e una forza contrattuale sufficiente per una festosa vecchiaia. Non punta alla vittoria, ma al pareggio: gestire un fiscal compact (chissà come si traduce in greco…) è faticoso e spiacevole, meglio lasciare la guida ad altri e sedersi comodamente sul sedile posteriore di una fiammante Grosse Koalition.
C’è poi il terzo, comodo pure lui: il tecnico succhiasangue, Mario Monti. Non ha alcuna chance di arrivare primo, e ne è conscio: ben che vada, dicono i sondaggisti (in incognito, ma sempre all’erta: nella pantomima Italia, basta affibbiare al candidato il nome di un cavallo, e la legge è “salva”), conquisterà il quarto posto, in condominio con Azzurro Casini. Chi gliel’ha fatto fare, a “salire” in politica? Domanda facile: gli stessi che ce l’hanno imposto come premier. Più che l’aspirante, Monti fa il guastatore: deve impedire che qualcuno vinca e poi, magari (ipotesi per assurdo), si… monti la testa. Guastatore e garante degli impegni presi coi finanzieri: un ruolo serio, da protagonista, che le foto con cagnolino in braccio italianizzano. Chi predilige, il bocconiano, tra Berlusconi e Bersani? Li predilige entrambi: la già citata Grosse Koalition, con lui stesso premier “di raccordo”, è il sogno nel cassetto, l’ipoteca ideale sul futuro. La ciliegina sulla torta sarebbe la rielezione di Napolitano al Quirinale, che Super Mario afferma di auspicare. Crediamo non sia un bluff, né frase di circostanza: King George, già vecchissimo, difficilmente potrà reggere un altro settennato, ma ad essere decisivo sarà il periodo 2013-2014, e il Presidente ha dimostrato di essere l’uomo ideale per assicurare la prosecuzione del percorso “riformista”. Dimenticavamo: lo slogan prescelto da M.M. è “L’Italia che sale [1]”… sottinteso: “in cielo”. Una sobria e credibile minaccia.
C’è qualcuno in grado di scompaginare i piani dei mercanti euroatlantici? Forse Beppe Grillo che, a fari spenti, continua ad avanzare. La scelta, presa all’ultimo istante, di non comparire alla periferia della tivù (su Sky) è, a parer mio, assennata: l’intervista era stata ideata come ciambella di salvataggio, da usare nell’eventualità che i comizi di piazza (a motivo, per esempio, delle condizioni atmosferiche avverse) non rendessero a sufficienza. Eccesso di cautela: da Trieste in giù l’ex comico ha nuotato nella folla. A quel punto, un contraddittorio televisivo sarebbe risultato non soltanto inutile, ma dannoso: anzitutto, avrebbe ridato fiato ai “dissidenti”, prontamente imbeccati dalla stampa; in secondo luogo, avrebbe costretto Grillo a una performance di tipo relativamente nuovo, alla quale, con l’andar del tempo, si è disabituato. Molto più fruttuoso, per lui, comparire sugli schermi di rimbalzo, suscitando critiche spuntate: si sparli, purché si parli!
La questione è un’altra: saranno stati vaccinati, i nostri eroici grillini, contro le lusinghe della dolce vita romana? L’impiegatuccio, l’informatico e la pronipote della cuoca di Lenin si risveglieranno, martedì mattina, in un mondo fantastico, dove ciò che è impossibile – al cittadino comune – diventa a portata di mano: c’è da scommettere che, se il M5S ottenesse un largo successo, politici e impresari di lungo corso si metterebbero subito all’opera per sedurre i buoni selvaggi. Il rischio di un (magari non generalizzato) pervertimento è concreto, ma inevitabile: c’era un solo modo di ridurlo a zero – non presentare le liste. Un paragone storicamente ineludibile è quello con i primi eletti socialisti, a fine ‘800: loro non si lasciarono comprare, ma è anche vero che si ritenevano giustamente investiti di una funzione storica, avevano un credo che andava ben al di là delle invettive. Molto dipenderà dalla bontà, o meno, dei meccanismi di selezione adoperati (le c.d. parlamentarie), e più ancora dal carisma di Beppe Grillo, capace di distruggere una persona con una battutaccia, oltre che di adeguare il messaggio ai bisogni degli ascoltatori: siamo però persuasi che cinismo e doppiezza allignino tra le file grilline meno che altrove, ed in ogni caso è assurdo rifiutare un piatto mai assaggiato solo perché potrebbe non piacerci, quando la principale alternativa è una brodaglia schifosa condita con olio di ricino.
Sinistra, infine: la scelta di chi scrive. Nessuna previsione sul risultato, ma già la sua presenza – tutt’altro che scontata fino a dicembre – è un fatto positivo. Su Ingroia e RC sono piovute critiche da ogni lato: alcune sono condivisibili, altre mi sembrano francamente eccessive. “Cambiare si può”, cui aderii a fine 2012, ruppe per il coinvolgimento nell’operazione dei partiti, malgrado l’esito di un referendum fra gli iscritti: scorsi, in quella decisione, un’abbondante dose di manicheismo settario, raddoppiata dall’accusa, nemmeno troppo velatamente rivolta ai votanti, di essere “infiltrati” del PRC. Beati i professori che, osservando la terra dalle nuvole, non si accorgono che, al netto dei militanti della sinistra partitica, i cortei si riducono a comitive! Senza contare che i soloni progressisti si stanno rivelando, nel complesso, assai ondivaghi: Luciano Gallino, dopo aver descritto in libri ed articoli le malefatte del sistema ed aver fondato, assieme ad altri, Cambiare si può, si è infine risolto a votare SeL, cioè Bersani; Rodotà (una breve presenza in ALBA/CSP, compagnia troppo “di sinistra” per piacergli a lungo) e Zagrebelsky - protagonista, mesi fa, di un ruvido duello con Eugenio Scalfari a proposito del conflitto Quirinale-Procura di Palermo – hanno firmato la versione chic dell’appello bersaniano al “voto utile”; Gad Lerner, stancatosi di flirtare con ospiti “estremisti”, ha ascoltato la propria coscienza di classe, e si è votato al PD. Quasi quasi tocca fare l’elogio di Scalfari: lui, almeno, è un destro in servizio permanente effettivo!
Tornando al brutto anatroccolo rosso-arancio, anch’io avrei preferito messaggi univoci e (più) battaglieri, meno contorsionismi tattici e più strategia, un quarto stato in marcia senza lettere maiuscole e residuati del peggior dipietrismo… ma seguito a ritenere, forse errando, che la definitiva scomparsa della Sinistra dal Parlamento avrebbe ripercussioni anche sull’azione e la tenuta dei movimenti, depotenziandoli. Agli eventuali eletti spetterà un ruolo di osservatori, o piuttosto di sentinelle incaricate di suonare l’allarme ogniqualvolta un provvedimento iniquo si affaccerà in aula (e accadrà assai di frequente): più che battersi in prima persona, forniranno informazioni e coordinate politiche per la lotta di domani, in piazza.
A ‘sto punto potrei tirar fuori il solito argomento dell’eccezionalità dei tempi che, con crescente rassegnazione, maneggio da annorum, ma lo risparmio al lettore, e formulo un auspicio, che alcuni condivideranno, altri no: possa la spregiata ditta Ber.Ber.Mon. (dietro cui si nascondono società anonime) incontrare seri ostacoli parlamentari, messi in atto da agguerrite minoranze capaci, su singoli provvedimenti almeno, di fare causa comune nell’interesse della massa dei cittadini.
Sogno o son desto? Il primo pezzetto di risposta arriverà con gli exit poll di lunedì pomeriggio. 



 



[1] Il motto più “riuscito” è però quello coniato da Forza Nuova: “Ora o mai più!” Mai più, appunto…


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