di Lorenzo Mortara
Rsu Fiom-Cgil
Rete28Aprile
Questo testo viene pubblicato pressoché in contemporanea al sito nazionale della Rete28Aprile, e al suo blog collaterale dei compagni piemontesi. Qui però il lettore troverà la sua versione più aggiornata e corretta.
Rsu Fiom-Cgil
Questo testo viene pubblicato pressoché in contemporanea al sito nazionale della Rete28Aprile, e al suo blog collaterale dei compagni piemontesi. Qui però il lettore troverà la sua versione più aggiornata e corretta.
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Dopo
la cacciata di Cremaschi agli esecutivi di Cgil-Cisl e Uil, Rinaldini
ha preso le sue difese. Lo ringraziamo vivamente, ma non possiamo
non sottolineare tutta l’ambiguità della sua difesa. Avremmo di
gran lunga preferito che Rinaldini e La Cgil che vogliamo
prendessero le difese non della persona Cremaschi, ma della posizione
della Rete28Aprile che a quegli esecutivi Cremaschi rappresentava.
Così, invece, Rinaldini ritenendo sbagliata la censura di Cremaschi
«pur
non condividendo le posizioni di Giorgio»
finisce in fondo per dare un colpo alla botte e uno al cerchio.
Pretendere di più da Gianni Rinaldini forse non ha senso, visto che
non è nuovo a questi atteggiamenti ambivalenti. Chi non
ricorda, infatti, il suo NO alla controriforma prodiana delle
pensioni del 2007 senza però alcuna campagna contro il Sì di
Epifani? Il non-allineamento di Rinaldini, oggi come allora, è molto
più allineato di quello che appare.
Perché
Rinaldini non condivide le posizioni di Giorgio? Perché siccome la
Camusso non ha ancora presentato testi scritti sulla sua prossima
capitolazione a Cisl e Uil e Confindustria in materia di
rappresentanza, lui ha sentito profumo di rose anziché puzza di
bruciato dalle sue semplici illustrazioni.
Eppure non è la prima volta che la Camusso chiede il mandato a
trattare senza alcuna garanzia. Sappiamo come è finita le altre
volte. Cosa fa credere a Rinaldini che stavolta Camusso abbia in
serbo qualcosa di meglio? Semplicemente la retorica con cui è stato
condito l’ennesimo boccone amaro da far digerire ai lavoratori.
L’ipotesi
considerata positiva da Rinaldini si basa su due criteri per validare
piattaforme e accordi:
- Maggioranza certificata di iscritti e RSU.
- Maggioranza certificata del voto dei lavoratori interessati a quell’intesa (referendum)
L’ipotesi
per noi è negativa perché in primo luogo, anche nel migliore dei
casi, resterà solo un’ipotesi, in quanto almeno il primo criterio
è già previsto a parole nell’accordo del 28 Giugno ma il secondo
no e non si capisce per quale motivo Confindustria dovrebbe cedere
per buona creanza qualcosa che va invece conquistato con la lotta,
non con le discussioni ai tavolini; e in secondo luogo perché anche
venisse accettato il secondo criterio, lo sarebbe all’interno di un
impianto, quello del “28 Giugno” che va bocciato in tutto e per
tutto perché prevede le deroghe oltreché le sanzioni per chi
sciopera. Proprio per questo noi siamo massimamente preoccupati e
contrari, perché il fatto che sia stato posto il «problema
della esigibilità da parte dei soggetti firmatari»
è una spia che indica come la Camusso non stia affatto facendo
marcia indietro come dovrebbe, ma anzi stia accelerando nella stessa
direzione sbagliata che la contraddistingue. Gli unici, infatti, che
dovrebbero chiedere l’esigibilità degli accordi sono gli operai,
visto che il 99,9% degli accordi non sono rispettati dai padroni. Ma
poiché questa richiesta di esigibilità viene dal padronato, non è
la richiesta del rispetto degli accordi democratici (quando mai
infatti gli operai non han rispettato accordi regolari? I rapporti di
forza già sbilanciati in partenza a favore del Capitale
non consentono al Lavoro
una simile sfrontatezza) ma il suo esatto opposto, l’accettazione
senza fiatare non solo degli accordi antidemocratici fatti
separatamente coi sindacati compiacenti, ma anche di tutte le
interpretazioni e i cavilli possibili con cui i padroni riusciranno
nell’impresa di non rispettare lo stesso neanche quelli.
Perciò,
non solo è sorprendente questa richiesta della Cgil maggioritaria,
ma è doppiamente sorprendente la candida ingenuità con cui
Rinaldini sembra non capire cosa ci sia sotto.
In
assenza di testi scritti, bisogna chiederli immediatamente, non dare
credito a ipotesi puramente verbali. Non c’è niente di positivo in
una prassi che consiste nell’affrontare problemi così delicati,
come quello sulla rappresentanza, senza uno straccio di bozza da
presentare ai dirigenti che dovrebbero discuterla. Legittimando
l’ipotesi in attesa di testi scritti, Rinaldini dà la possibilità
alla Camusso di avanzare verso la capitolazione, salvo poi pentirsi
quando la sua ipotesi non sarà confermata. A quel punto Rinaldini
potrà cavarsela dicendo che la Camusso ha cambiato strategia, ma la
verità è che la strategia della Camusso sarà sempre la stessa,
solo le ipotesi di Rinaldini si riveleranno per quello che sono: le
ipotesi di un’analisi sbagliata.
L’analisi
è sbagliata perché è viziata nel metodo. Secondo Rinaldini,
infatti, mancano le regole democratiche perché siamo in «assenza
di una legge, che rimane l’obbiettivo da perseguire».
Messa in questa maniera, però, la questione resta un affare
burocratico che non esce dagli uffici dei vari apparati sindacali,
industriali e politici. E proprio per questo resterà una questione
irrisolta. Perché in effetti non siamo affatto in assenza di una
legge, ma siamo in
assenza di una mobilitazione di massa che strappi una legge.
Non è affatto la stessa cosa, anzi è il suo esatto opposto. Nel
primo caso, infatti, è il Governo che deve farla, nel secondo sono i
lavoratori che devono strapparla ai padroni. Solo così si potrà
avere un vero progresso democratico nelle relazioni tra Capitale e
Lavoro, al contrario se saranno Governo, Confindustria e sindacati a
sedersi al tavolino per fare la legge, la faranno per loro, per
tutelare i loro apparati burocratici contro i lavoratori. Questo,
purtroppo, Rinaldini sembra ignorarlo, dimenticando che dietro una
legge sulla rappresentanza come su una qualunque altra legge in
materia sindacale, ci sta la legge
inossidabile della lotta di classe.
Senza questa a fare da architrave, nessun’altra resterà in piedi.
Stazione dei Celti
Lunedì 6 Maggio 2013
Postilla - Anche Landini ha dato il consenso alla Camusso perché tratti,
purché non tocchi il diritto di sciopero. Al massimo, secondo lui,
sono possibili forme di raffreddamento. Anche in questo caso non
possiamo concordare col segretario della Fiom. Apparentemente di buon
senso, il concetto di Landini ne è invece del tutto privo, fuori
com’è dalla realtà. In sé e per sé il raffreddamento cambia
poco anche se impedisce ai lavoratori di colpire subito in caso di
bisogno. Un raffreddamento di una decina di giorni come alla Lear di
Napoli, lascerebbe verosimilmente gli operai, dieci giorni dopo, con
gli stessi problemi di prima e più o meno le stesse possibilità di
vittoria. Il problema vero è che col raffreddamento di una decina di
giorni, passa un primo arretramento. A questo, nel giro di un paio di
accordi, ne seguirà un secondo e un terzo e così via, fino ad
arrivare allo smantellamento completo di quel diritto di sciopero che
proprio col raffreddamento si voleva evitare. Esattamente come è già
successo per l’orario plurisettimanale o per la precarietà,
introdotta al 15% nel 1997 e moltiplicata all’infinito dal 2003. Il
problema quindi, non è arretrare di poco con un compromesso, ma
capire che se proprio non si può avanzare, l’arretramento anche
solo di un centimetro può
avvenire a patto che non sia fatto con la nostra firma. Non sta a noi
raffreddare lo scontro. Sta ai padroni spegnere il conflitto, se
proprio lo vogliono spegnere, dandoci quello che chiediamo. Speriamo
che Landini prima o poi lo capisca. Altrimenti continueremo a
imbatterci nei suoi tristi zig-zag.
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