Il cosiddetto
Mattarellum, tanto vituperato e criticato ai suoi tempi non era
invece, nel suo complesso, una legge elettorale poi così malvagia.
Non solo perché si confronta con l’orrido Porcellum, ma perché
teneva insieme l’esigenza di scelta personale del rappresentante
politico da parte di ogni cittadino (con la quota maggioritaria) e
quella di formare coalizioni prima del voto (rese necessarie
dall'esigenza di vincere nei collegi uninominali) recuperando, per
altro verso, capacità di influenza politica a favore dei piccoli
partiti con la quota proporzionale, rafforzata dal meccanismo dello
scorporo dei voti presi nella parte uninominale.
Aveva alcuni difetti
strutturali, il principale dei quali era la possibilità di eludere
lo scorporo, e penalizzare i piccoli partiti nel proporzionale,
tramite le liste-civetta. Ma era un problema di facile soluzione
normativa e tecnica: sarebbe bastato prevedere lo scorporo non a
livello di singola lista di partito, ma a livello di coalizione,
spalmando la riduzione in forma inversamente proporzionale al numero
di voti di ogni lista della coalizione stessa; oppure, molto più
semplicemente, sarebbe bastato abolire la soglia di sbarramento del
4% (le liste-civetta, per non influenzare il voto, dovevano
ovviamente essere liste sotto il 4%), anche perché la soglia di
sbarramento era una vera e propria ipocrisia, in una legge elettorale
che consentiva mille rivoli affinché anche micro-formazioni
politiche di scala locale potessero avere una influenza sui programmi
dei singoli candidati e delle coalizioni.
La grande questione
sollevata, in quegli anni, dai detrattori del Mattarellum, ovvero che
tale sistema elettorale finisse per favorire il potere di veto dei
piccoli partiti dentro le coalizioni, è a mio avviso una
non-questione. Nelle tre tornate politiche in cui fu applicato, il
Mattarellum restituì per due volte maggioranze politiche composite,
litigiose, frazionate, ma comunque in grado di gestire l’intera
legislatura fino alla fine, ed anche in grado di fare cose che oggi
sembrano incredibili, come ad esempio la riforma completa di un
intero titolo della Costituzione (il Titolo V, riformato dal Governo
D’Alema) o, per l’appunto, una nuova legge elettorale
completamente diversa. Oggi che un Parlamento possa realizzare
riforme di questo tipo sembra quasi essere un racconto di
fantascienza. E un’influenza indebita dei micro-partiti, per
esempio di micro-formazioni localistiche, avrebbe facilmente potuto
essere ridotta:
- applicando, nella quota maggioritaria, sistemi a doppio turno, anziché a turno unico;
- rafforzando i vincoli di coalizione tramite l’obbligo di presentazione del programma di coalizione, cui i singoli candidati della parte maggioritaria debbono aderire;
- prevedendo l’obbligo di elezioni anticipate, qualora si verificassero fuoriuscite di partiti o singoli esponenti dalla coalizione di governo, di entità tale da farle perdere la maggioranza parlamentare. Evitando il teatrino antidemocratico del nostro Paese, in cui si sfascia una coalizione ed un Presidente della Repubblica, su suo insindacabile e personalissimo giudizio, fabbrica in vitro una nuova coalizione trasversale, invalidando la volontà degli elettori uscita dalle urne. In questo caso, il piccolo partito che, scartellizzando, portasse il Paese ad elezioni anticipate, vedrebbe ricadere su di sé una responsabilità molto pesante, con la connessa necessità di spiegare la sua scelta agli elettori. E probabilmente, ci penserebbe due volte prima di farlo.
Il difetto ineliminabile
era la complessità, la farraginosità di questa legge, che finì per
essere battezzata “Minotauro”. Questo è un problema serio, di
trasparenza democratica. Non si può pensare di affidare la
rappresentazione parlamentare del voto dei cittadini ad un meccanismo
che è comprensibile solo ad un esperto di matematica. Il cittadino
deve essere messo in condizione di risalire facilmente dal suo voto
agli esiti finali del processo elettorale. Ma in fondo questo difetto
di trasparenza era “compensato” dalla possibilità di eleggere
direttamente il 75% dei parlamentari.
Personalmente, sostengo
da sempre una legge elettorale analoga a quella dell’Uruguay di
qualche anno fa, ovvero un sistema elettorale proporzionale, senza
soglie di sbarramento né premi di maggioranza (elementi
concettualmente antagonisti rispetto al principio proporzionale)
caratterizzato dal doppio voto simultaneo: uno per la coalizione, che
ha l’obbligo di presentare il programma, ed uno per il singolo
partito all’interno della coalizione. Un simile sistema consente di
stabilizzare il quadro politico, perché rende indispensabile aderire
a una coalizione se si vuole avere delle chance di partecipare al
futuro governo, e consente la massima e la più fedele
rappresentatività del voto nel successivo Parlamento. Ovviamente,
espedienti come l’obbligo di tornare ad elezioni anticipate qualora
la coalizione di governo perdesse la maggioranza, andrebbero
previsti, al fine di ridurre la ricattabilità dei partiti più
piccoli, riconducendola a motivi politici reali, spiegabili agli
elettori in fase di ritorno alle urne. Al limite, si potrebbe anche
prevedere la possibilità, per il capo dello Stato, di provare ad
evitare il ritorno alle urne soltanto in situazioni specifiche di
estrema gravità e rilevanza, tassativamente elencate (ad es., se il
Paese è in guerra, o se è in atto un attacco speculativo di
particolare gravità sulla valuta, sul debito pubblico o
sull'economia). Infine, sempre al limite, si potrebbe anche
prevedere un mini-premio di maggioranza, a favore della coalizione
arrivata prima, molto ridotto e tale da non distorcere
significativamente la fotografia del voto (indicativamente, un premio
fisso di 32 senatori e 64 deputati, che scatterebbe solo se una
coalizione arrivasse al 40%, consentendole di arrivare al 50% + 1).
Certamente è improponibile che, come avviene oggi con il Porcellum,
chi ha preso il 30% possa arrivare al 55%. Nel caso in cui nessuna
coalizione dovesse raggiungere da sola la maggioranza assoluta in
Parlamento, il capo dello Stato affiderebbe il compito di tentare un
accordo di governo con gli altri gruppi parlamentari ad un esponente
di sua scelta della coalizione arrivata prima, poi, in caso di
fallimento di tale tentativo, ad un esponente della coalizione
arrivata seconda, poi ad uno della terza, ed infine, in caso di
triplice fallimento, si tornerebbe a votare. Come in Grecia, e senza
patemi d’animo particolari.
Ma tutto ciò
implicherebbe la capacità dell’attuale legislatura di fare una
riforma elettorale completa e coerente, il che è impensabile. La
sentenza di ieri nel processo Mediaset si consente di pensare ad un
orizzonte temporale di sopravvivenza dell'attuale legislatura di
circa 9 mesi-un anno. Il tempo di arrivare alla sentenza della
Cassazione. Dopodiché, quale che sarà l'esito di tale sentenza, gli
effetti politici saranno devastanti: se Berlusconi fosse condannato
definitivamente, il governo Letta cadrebbe per “sudden death” di
uno dei suoi due contraenti fondamentali. Se Berlusconi fosse
assolto, avrebbe tutto l'interesse a far cadere l'esecutivo, ed a
tornare ad elezioni anticipate, mondato dalle sue condanne
giudiziarie, incassando il dividendo elettorale della “responsabilità
istituzionale” di aver sostenuto un Governo di larghe intese (che
nel frattempo avrebbe realizzato una buona parte del programma
politico del PDL, ad iniziare dal superamento dell'IMU sulla prima
casa, lavorando perciò a favore dell'immagine elettorale del centro destra).
Il PD appare, del resto, assolutamente incapace di recuperare
iniziativa politica e guidare la legislatura. Per ciò stesso,
ragionare di riforma elettorale in un contesto simile appare un
esercizio da marziani.
L’unica cosa che è
possibile fare (e che peraltro Grillo appoggerebbe, almeno stando
alle sue dichiarazioni) è una norma abrogativa del Porcellum, che ci
faccia tornare al non pessimo Mattarellum. E magari introdurre al
Mattarellum ripristinato alcune piccole modifiche, come quelle da me
segnalate (abrogazione della soglia di sbarramento del 4%,
introduzione del doppio turno nella parte maggioritaria, introduzione
dell’obbligo di presentare il programma di coalizione prima del
voto). Ciò che assolutamente va evitato è il ritorno al voto con
l’attuale legge elettorale. Non tanto e non solo perché è una legge
elettorale pensata per due poli, e che non funziona bene quando i
poli sono tre. Ma semplicemente perché è incompatibile con un
bicameralismo perfetto, in cui il voto del Senato è fortemente
regionalizzato, senza però che il Senato abbia competenze limitate
soltanto sulle materie concorrenti fra Stato e Regioni, e perché la
giungla di soglie di sbarramento e di premi di maggioranza prevista
da tale legge crea semplicemente il distacco assoluto, in termini di
rappresentanza, fra chi sta in Parlamento ed il Paese reale. Il
problema del Porcellum non è tanto che non fornisce “governabilità”
al sistema (non può essere una legge elettorale a rendere
governabile il sistema, ma il voto dei cittadini; una legge
elettorale di governabilità è semplicemente un concetto
antidemocratico) ma che distorce completamente la rappresentazione
parlamentare del voto, il che poi consente di effettuare operazioni
di fabbricazione di governi e coalizioni diversi da quelli espressi
dal voto popolare.
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