di Renato Costanzo Gatti
Pubblichiamo di seguito la risposta data da Renato Costanzo Gatti all'editoriale del direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, del 4 luglio scorso.
Dopo aver
pubblicato due lettere di giovani cervelli emigrati, il direttore
affronta sul suo Memorandum sul Domenicale del 4 agosto, “l’irrisolta
questione italiana, università e città che attraggono sempre meno e
una classe politica delegittimata e litigiosa, in un clima segnato da
un prolungato (nefasto) vuoto di coscienza civile. Quella di un Paese
che si è abituato a tutto, smarrendo il senso dell’indignazione, e
assiste inerme allo stravolgimento delle regole e alla
giustificazione di ogni angheria rassegnandosi all’inevitabile
declino. Bisogna fare in modo (e farlo subito) che i nostri ragazzi
scelgano di vivere e di lavorare in Italia per la semplice ragione
che qui, non altrove, si vive meglio e si lavora con maggior
soddisfazione. Abbiamo bisogno di una classe politica che ci regali
un nuovo Giulio Natta, l’uomo che inventò il propilene isotattico,
le vaschette di plastica Moplen, negli anni del miracolo economico.
Abbiamo (disperato) bisogno di incidere nella architettura
istituzionale dello Stato e di costringere le sue mille burocrazie a
rinunciare al gioco (tutto italiano) di bloccare chi vuole solo
creare lavoro e spegnere sul nascere ogni spirito di intrapresa. Il
Paese ha bisogno di un Governo e di una classe dirigente che sappiano
fare queste cose, non di altro, per ritrovare la fiducia e risalire
la china”.
Signor Napoletano
Roberto
Direttore de Il Sole 24
ore
Vorrei ringraziarla per
il suo articolo sul Sole di domenica, e vorrei integrare il suo
racconto su Giulio Natta con la seguente pagina di Patrizio Bianchi
tratta dal suo libro “La rincorsa frenata” (acquistato da me a
seguito della recensione del suo domenicale.
Si riuscì nel 1983 a
creare una joint- venture paritetica, Hymont, tra Montedison ed
Hercules per lo sviluppo delle tecniche di polimerizzazione del
propilene attraverso un nuovo catalizzatore, sviluppato dal metodo di
Natta, in grado di indirizzare e fissare le caratteristiche del
prodotto finale, in ragione dei bisogni funzionali per i quali era
stato disegnato; si trattava in altre parole di una plastica di massa
che tuttavia poteva essere realizzata per quantitativi singolarmente
specificati in ragione degli usi finali.
Nella creazione della
joint-venture Hercules portava una quota di mercato mondiale pari al
12,12% (primo produttore mondiale) e Montedison una quota del 6,67%
(terzo); Montedison portava però in dote le nuove tecnologie
sviluppate in proprio.
La nuova impresa fondata
su tecnologie italiane assunse da subito la leadership mondiale del
comparto, con quasi un quarto del mercato mondiale, raddoppiando il
fatturato ogni quattro anni. (…)
In questo gioco
l’industria italiana sembrò finalmente svolgere un ruolo di forza,
dal momento che Montedison disponeva dell’innovazione cruciale: ne
aveva finanziato per anni la ricerca, tanto che Natta ebbe il Nobel
per la chimica; di questa ricerca ha sempre finanziato l’avanzamento,
potendo infine giocare attraverso un’alleanza strategica un ruolo
dominante sul mercato mondiale.
Questa vicenda assume qui
però i toni emblematici del disastro annunciato. La fragilità del
contenitore aziendale in cui questa ricerca era posta, la debolezza
prima e l’arroganza poi del management Montedison, la struttura
complessiva del vertice dell’industria italiana hanno fatto sì
che non solo quella occasione andò persa, ma che di tutto questo non
resterà nulla: infatti questa ricerca di punta, dopo le vicende
Ferruzzi, finì alla Shell (Montell) e da questa alla Basf (Basell,
nell’ottobre 2000).
Forse una sua
riflessione sull’industria italiana incapace di realizzare
produttività (non è tutta e soltanto colpa dello Stato) da
vent’anni a questa parte potrebbe costituire anche un esame di
coscienza di Confindustria.
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