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lunedì 5 agosto 2013

Tanto rumore per poco, di Riccardo Achilli


Riccardo Achilli

Rispetto alla sceneggiata politico/giudiziaria messa in campo da Berlusconi e dai suoi, con tanto di manifestazione a Roma, ho la sensazione, ovviamente non suffragata da dati, che nei prossimi mesi finirà più o meno così: Napolitano non concederà alcuna grazia, anche perché tecnicamente impossibile, ma soprattutto perché l'unica linea di compromesso disponibile, come dichiarato subito dopo l'emanazione della sentenza di Cassazione, è una riforma della giustizia, che necessariamente sarà concordata fra PD e PDL. All'interno di quella riforma, potrebbe essere, ad esempio, consentito al PDL di inserire una norma abrogativa della previsione del d. lgs. "anticorruzione" approvato dal Governo Monti il 6.12.2012, in cui si abrogherebbe il vincolo di incandidabilità per sei anni di chi è stato condannato in via definitiva per pene non superiori ai 4 anni. Ed al contempo, sempre a titolo di ipotesi, tramite una separazione delle funzioni accompagnata dalla riconduzione della magistratura requirente sotto il controllo politico del Ministro, si potrebbe anche ottenere quel "riallineamento" dei Pm da sempre chiesto a gran voce dal PDL. Il grido d'allarme lanciato da una esponente di Magistratura Democratica, proprio ieri, lascia intendere che in alcuni settori della magistratura c'è inquietudine.  
In questo modo, Berlusconi si farebbe il suo anno di condanna, che terminerà ad ottobre 2014, quando cioè saremo nel pieno del semestre italiano di presidenza della Ue, e quindi si potrà tornare alle urne solo a fine semestre, cioè ad inizio 2015. In barba a quei giornali stranieri che già celebrano la fine del Caimano, egli potrebbe tornare, come uno zombie, a far politica, e non è detto che non ottenga anche un buon risultato elettorale (anche se, secondo me, se tornerà, sarà molto indebolito). L'Italia è un Paese imprevedibile. Berlusconi lo sa, e fa caciara, chiedendo una impossibile grazia, solo per assicurarsi che il percorso vada in questa direzione. In fondo, la stessa assenza dei ministri del Pdl dal sit-in di protesta indetto contro la condanna di Berlusconi, la dice lunga sulle intenzioni del Pdl: tirare la corda, senza però spezzarla, in cambio di concessioni che consentano al capo di rientrare in pista, magari fra un anno. 

Questo scenario poteva essere evitato soltanto tramite un sentiero strettissimo, perlopiù impraticabile, che iniziasse da una reale apertura di disponibilità da parte del M5S a fare un brevissimo governo di emergenza nazionale con PD e SEL, intercettando anche i diffusi mal di pancia che si annidano fra molti dirigenti e parlamentari dello stesso PD. Ma naturalmente, dentro il M5S, si è consumato il consueto psicodramma, che sta rendendo a dir poco inutile il pur eccellente risultato elettorale di tale partito: mentre da parte parlamentare, il capogruppo alla Camera ha dichiarato un'apertura nel senso di un governo di emergenza nazionale (dichiarazione peraltro reiterata, già dopo l'incontro fra Grillo e Napolitano, il capogruppo grillino aveva fatto dichiarazioni in tal senso) il vero dominus di quel movimento, ovvero Casaleggio, ha messo il veto, in nome di quella pars destruens che, evidentemente, viene ritenuta da chi sostiene questo personaggio improbabile, come l'unico modo per spianarsi la strada verso una revisione degli assetti democratici del Paese. 

Revisione rispetto alla quale l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e l'approccio movimentista ed orizzontale del M5S si combinano alla perfezione, nel disegnare, nella mente di Casaleggio (che ritengo interpreti molto male la reale potenzialità rivoluzionaria del Movimento che lui stesso ha creato,  l'unico di fatto che dà voce alle classi emergenti della società, ovvero il proletariato del general intellect e una parte della piccola borghesia in proletarizzazione quanto a modi di produzione) un sistema politico in cui la partecipazione dal basso sarà governata ed organizzata tramite la Rete, e quindi sarà fondamentalmente fittizia (non si fa politica vera in Rete) mentre una élite, dotata delle capacità finanziarie, tecniche ed organizzative per gestire ed orientare l'attività della Rete, governerà indisturbata, e in modo del tutto autoreferenziale. Ritengo che tale approccio, che emerge anche dalla sostanziale assenza di un vero dibattito interno in un M5S dove alla fine a decidere sono solo due persone, finirà per annacquare le potenzialità rivoluzionarie che attorno a tale movimento si sono condensate. 

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