ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

lunedì 18 novembre 2013

TRAGEDIA SIRIANA: LA PAROLA A ROBERTO SARTI (FalceMartello)





TRAGEDIA SIRIANA: LA PAROLA A ROBERTO SARTI (FalceMartello)



Dopo l'intervista ad  Antonello Badessi, esponente di SEL, riprendiamo l'approfondimento sulla drammatica situazione siriana ascoltando la voce di Roberto Sarti dirigente di FalceMartello, la storica tendenza marxista presente all'interno del Partito di Rifondazione Comunista
La sua chiave di lettura risulta interessante perché legata al recupero dell'internazionalismo classico, laddove nel dibattito a sinistra sulle "primavere arabe" e sul Medio oriente non è mancata sin qui una certa dose di improvvisazione.


1) FalceMartello, rispetto alla Siria, ha parlato d'una rivoluzione la cui direzione è col tempo passata a forze reazionarie. Quali ne sono state secondo te, però, le iniziali origini sociali?

 La descrizione è quella corretta. L'inizio della rivoluzione in Siria ha avuto dinamiche simili a quelle in Egitto e in Tunisia. Anche le cause scatenanti non sono affatto differenti. In Siria negli ultimi dieci-quindici anni vi è stato un aumento delle differenziazioni sociali, dovute a una serie di privatizzazioni e di tagli ai servizi sociali portate avanti dal governo di Assad. Dopo il crollo dello stalinismo, quest'ultimo ha progressivamente adottato una linea di transizione al capitalismo dal punto di vista economico. Alcuni esempi: nel 2007 il 70% dell'economia siriana era in mano a privati. La povertà è aumentata: nel 2005 5,3 milioni di persone (il 30% della popolazione) vivevano al di sotto della soglia di povertà.
Una pentola a pressione pronta ad esplodere, come è avvenuto nel marzo del 2011 sull'esempio delle rivoluzioni tunisina ed egiziana.


2) Per quali motivi, questa sollevazione popolare è ora guidata da soggetti politici lontani dagli interessi sociali dei proletari e delle altre classi subalterne? 

In primo luogo, per la drammatica debolezza delle forze di sinistra e comuniste nel paese. Debolezza sia organizzativa che politica, avendo queste forze o appoggiato Assad, più o meno criticamente, o essendo passate nel campo dell'imperialismo abbracciando l'idea di una «svolta democratica» a immagine e somiglianza dei sistemi esistenti in occidente. È mancata dunque una visione di classe.
La direzione del movimento è stata quindi conquistata da elementi islamisti o pro imperialisti, che hanno incentrato lo scontro con Assad principalmente sul terreno militare. Allo stesso tempo Assad conservava discrete basi di appoggio tra la popolazione siriana, particolarmente tra le minoranze etniche e religiose. Un appoggio che è aumentato viste le posizioni da «guerra santa» delle milizie legate ai sauditi e al Qatar.
Lo scontro, diventato dunque di tipo prettamente di tipo militare, ha favorito tra le file dell'opposizione chi poteva mettere sul campo più armi, più uomini e, in definitiva, più soldi. La guerra civile, a questo punto era inevitabile: una guerra in cui nessuna delle parti è da appoggiare.


3) A settembre siamo stati a un passo da un'aggressione militare imperialista. Poi, questa ipotesi è venuta meno: perché gli "States" vi hanno rinunciato?

Per comprendere la ritirata degli Stati uniti, bisogna fare qualche passo indietro. La “guerra al terrore” inaugurata da Bush è stata un fallimento per l'imperialismo americano. Dall'Afghanistan all'Iraq, passando per l'intervento in Libia, lo strapotere militare degli Usa non è servito a rafforzare la presa di Washington nella zona, tutt'altro: Washington si è indebolita. In Iraq il paese è diviso e non pacificato. L'intervento in Afghanistan ha provocato una seria crisi col Pakistan, alleato storico dell'imperialismo. ora sull'orlo della disintegrazione. La Libia si sta «somalizzando» rapidamente.
Le rivoluzione arabe hanno poi cambiato i rapporti di forza e le alleanze, indebolendo ancor di più gli Usa: si pensi alla situazione in Egitto, dove il governo aveva bloccato il transito del canale di Suez alle navi militari della Nato. Sarebbero queste le “primavere arabe” pilotate dall’Occidente?
Gli Stati uniti hanno pagato tutti questi insuccessi quando hanno provato ad affondare il colpo contro Damasco: uno dopo l'altro gli alleati di un tempo si sono defilati, a cominciare dalla Gran Bretagna. La classe dominante americana era divisa e in maggioranza contraria all'intervento. Urss e Cina non erano più disposte a lasciare mano libera a Obama ancora una volta, dopo l'affronto libico, oltre al fatto che la Siria si trova in una posizione geografica molto più importante dal punto di vista strategico. Inoltre l'intervento aereo avrebbe probabilmente amplificato , e non risolto, le contraddizioni interne all'opposizione di Assad.
 Il passo indietro di Obama ha costituito uno smacco per l'imperialismo americano, le cui conseguenze per la sua credibilità si faranno sentire nel futuro.


 4) Nei giorni in cui il pericolo bellico era vicino, non pochi gruppi antimperialisti - in Italia e altrove - hanno fatto coincidere l'opposizione alla guerra con un pieno sostegno ad Assad. Secondo te, qual è la linea da seguire in circostanze del genere?

In primo luogo è bene sapere che non c'è un ricettario che vada bene in ogni situazione. La bussola è comunque il mantenimento di una posizione d'indipendenza di classe, indispensabile sia per i rivoluzionari in Europa sia per coloro che operassero in Siria. Ci siamo opposti all'intervento imperialista, e saremmo stati contro anche se ci fosse stata la foglia di fico dell'Onu, che non è uno strumento della «democrazia dei popoli» ma del dominio imperialista.
Tuttavia, il sostegno ad Assad come nuovo campione dell'antimperialismo è fuorviante. Non c’è, oggi, uno schieramento progressista che si confronta con uno reazionario. Se Assad uscisse vincente dal conflitto siriano, sarebbero il capitalismo russo o cinese ad imporsi. Non crediamo che lo sfruttamento imposto in fabbrica o in un supermercato sia diverso se il padrone parli cinese, russo o con l'accento yankee.


5) Nell'ipotesi in cui la guerra civile che insanguina la Siria dovesse continuare a lungo, col concorso delle potenze esterne, quale dovrebbe essere la linea di condotta degli internazionalisti?

Non sosteniamo alcuno degli schieramenti che si confrontano. A nostro giudizio, la guerra civile in corso vede la reazione che avanza da ambedue le parti. In Siria la rivoluzione ha subito una sconfitta ed è necessaria una riorganizzazione delle forze rivoluzionarie. Il compito degli internazionalisti che stanno fuori dalla Siria è armare politicamente quei nuclei di attivisti che vogliano, oggi o nel futuro, cercare un'alternativa alla barbarie in atto.


6) In alcuni scritti di FalceMartello, il destino della Siria viene legato a quello di altri paesi arabi (Egitto, Tunisia) in cui si sono dati processi rivoluzionari. Ci puoi spiegare, in termini concreti, questo legame?

Il legame esiste perché crediamo che la rivoluzione araba sia stato un fattore determinante nei processi degli ultimi anni. Ha cambiato totalmente gli scenari, rovesciato dittature decennali e sancito l'entrata delle masse sulla scena della storia. Queste masse, come dimostrato con la caduta di Morsi in Egitto e con la recente crisi del governo di Ennahda in Tunisia, cercheranno più e più volte la strada per completare la rivoluzione.
Ognuno di questi avvenimenti ha un grande impatto in tutto il mondo arabo, unito da lingua, religione e tradizione comuni. Una vittoria della rivoluzione socialista in Egitto, in Tunisia o in un altro paese cambierebbe totalmente la situazione in Siria. Viviamo in un mondo in cui gli avvenimenti sono interconnessi e dove le esperienze si condividono alla velocità della luce.

Quello che manca è una direzione rivoluzionaria all'altezza del compito che la storia ci pone di fronte: quello della rivoluzione socialista!


a cura di Stefano Macera e Stefano Santarelli

la vignetta è del Maestro Enzo Apicella




Nessun commento:

Posta un commento