Dopo l'intervista ad Antonello Badessi, esponente di SEL, riprendiamo l'approfondimento sulla drammatica situazione siriana ascoltando la voce di Roberto Sarti dirigente di FalceMartello, la storica tendenza marxista presente all'interno del Partito di Rifondazione Comunista
La sua chiave di lettura risulta interessante perché legata al recupero dell'internazionalismo classico, laddove nel dibattito a sinistra sulle "primavere arabe" e sul Medio oriente non è mancata sin qui una certa dose di improvvisazione.
La sua chiave di lettura risulta interessante perché legata al recupero dell'internazionalismo classico, laddove nel dibattito a sinistra sulle "primavere arabe" e sul Medio oriente non è mancata sin qui una certa dose di improvvisazione.
1) FalceMartello, rispetto alla Siria, ha parlato
d'una rivoluzione la cui direzione è col tempo passata a forze reazionarie.
Quali ne sono state secondo te, però, le iniziali origini sociali?
Una pentola a pressione
pronta ad esplodere, come è avvenuto nel marzo del 2011 sull'esempio delle
rivoluzioni tunisina ed egiziana.
2) Per quali motivi, questa sollevazione popolare è ora guidata da soggetti politici lontani dagli interessi sociali dei proletari e delle altre classi subalterne?
In primo luogo, per la
drammatica debolezza delle forze di sinistra e comuniste nel paese. Debolezza
sia organizzativa che politica, avendo queste forze o appoggiato Assad, più o
meno criticamente, o essendo passate nel campo dell'imperialismo abbracciando
l'idea di una «svolta democratica» a immagine e somiglianza dei sistemi
esistenti in occidente. È mancata dunque una visione di classe.
La direzione del
movimento è stata quindi conquistata da elementi islamisti o pro imperialisti,
che hanno incentrato lo scontro con Assad principalmente sul terreno militare.
Allo stesso tempo Assad conservava discrete basi di appoggio tra la popolazione
siriana, particolarmente tra le minoranze etniche e religiose. Un appoggio che
è aumentato viste le posizioni da «guerra santa» delle milizie legate ai
sauditi e al Qatar.
Lo scontro, diventato
dunque di tipo prettamente di tipo militare, ha favorito tra le file
dell'opposizione chi poteva mettere sul campo più armi, più uomini e, in
definitiva, più soldi. La guerra civile, a questo punto era inevitabile: una
guerra in cui nessuna delle parti è da appoggiare.
3) A settembre siamo
stati a un passo da un'aggressione militare imperialista. Poi, questa ipotesi è
venuta meno: perché gli "States" vi hanno rinunciato?
Per comprendere la
ritirata degli Stati uniti, bisogna fare qualche passo indietro. La “guerra al
terrore” inaugurata da Bush è stata un fallimento per l'imperialismo americano.
Dall'Afghanistan all'Iraq, passando per l'intervento in Libia, lo strapotere
militare degli Usa non è servito a rafforzare la presa di Washington nella
zona, tutt'altro: Washington si è indebolita. In Iraq il paese è diviso e non
pacificato. L'intervento in Afghanistan ha provocato una seria crisi col
Pakistan, alleato storico dell'imperialismo. ora sull'orlo della
disintegrazione. La Libia si sta «somalizzando» rapidamente.
Le rivoluzione arabe
hanno poi cambiato i rapporti di forza e le alleanze, indebolendo ancor di più
gli Usa: si pensi alla situazione in Egitto, dove il governo aveva bloccato il
transito del canale di Suez alle navi militari della Nato. Sarebbero queste le
“primavere arabe” pilotate dall’Occidente?
Gli Stati uniti hanno
pagato tutti questi insuccessi quando hanno provato ad affondare il colpo
contro Damasco: uno dopo l'altro gli alleati di un tempo si sono defilati, a
cominciare dalla Gran Bretagna. La classe dominante americana era divisa e in
maggioranza contraria all'intervento. Urss e Cina non erano più disposte a
lasciare mano libera a Obama ancora una volta, dopo l'affronto libico, oltre al
fatto che la Siria si trova in una posizione geografica molto più importante
dal punto di vista strategico. Inoltre l'intervento aereo avrebbe probabilmente
amplificato , e non risolto, le contraddizioni interne all'opposizione di
Assad.
In primo luogo è bene
sapere che non c'è un ricettario che vada bene in ogni situazione. La bussola è
comunque il mantenimento di una posizione d'indipendenza di classe,
indispensabile sia per i rivoluzionari in Europa sia per coloro che operassero
in Siria. Ci siamo opposti all'intervento imperialista, e saremmo stati contro
anche se ci fosse stata la foglia di fico dell'Onu, che non è uno strumento
della «democrazia dei popoli» ma del dominio imperialista.
Tuttavia, il sostegno ad
Assad come nuovo campione dell'antimperialismo è fuorviante. Non c’è, oggi, uno
schieramento progressista che si confronta con uno reazionario. Se Assad
uscisse vincente dal conflitto siriano, sarebbero il capitalismo russo o cinese
ad imporsi. Non crediamo che lo sfruttamento imposto in fabbrica o in un
supermercato sia diverso se il padrone parli cinese, russo o con l'accento
yankee.
5) Nell'ipotesi in cui
la guerra civile che insanguina la Siria dovesse continuare a lungo, col
concorso delle potenze esterne, quale dovrebbe essere la linea di condotta
degli internazionalisti?
Non sosteniamo alcuno
degli schieramenti che si confrontano. A nostro giudizio, la guerra civile in
corso vede la reazione che avanza da ambedue le parti. In Siria la rivoluzione
ha subito una sconfitta ed è necessaria una riorganizzazione delle forze
rivoluzionarie. Il compito degli internazionalisti che stanno fuori dalla Siria
è armare politicamente quei nuclei di attivisti che vogliano, oggi o nel
futuro, cercare un'alternativa alla barbarie in atto.
6) In alcuni scritti di
FalceMartello, il destino della Siria viene legato a quello di altri paesi
arabi (Egitto, Tunisia) in cui si sono dati processi rivoluzionari. Ci puoi
spiegare, in termini concreti, questo legame?
Il legame esiste perché
crediamo che la rivoluzione araba sia stato un fattore determinante nei
processi degli ultimi anni. Ha cambiato totalmente gli scenari, rovesciato dittature
decennali e sancito l'entrata delle masse sulla scena della storia. Queste
masse, come dimostrato con la caduta di Morsi in Egitto e con la recente crisi
del governo di Ennahda in Tunisia, cercheranno più e più volte la strada per
completare la rivoluzione.
Ognuno di questi
avvenimenti ha un grande impatto in tutto il mondo arabo, unito da lingua,
religione e tradizione comuni. Una vittoria della rivoluzione socialista in
Egitto, in Tunisia o in un altro paese cambierebbe totalmente la situazione in
Siria. Viviamo in un mondo in cui gli avvenimenti sono interconnessi e dove le
esperienze si condividono alla velocità della luce.
Quello che manca è una
direzione rivoluzionaria all'altezza del compito che la storia ci pone di
fronte: quello della rivoluzione socialista!
a cura di Stefano Macera e Stefano Santarelli
la vignetta è del Maestro Enzo Apicella
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