SCUOLA: CHE FARE?
di Lucio Garofalo
Da poche ore sono stati ufficializzati gli esiti della
mobilità interprovinciale nella scuola e mi pare che ci sia chi esulta
per il trasferimento ottenuto nelle vicinanze di casa propria (avendone
tutte le ragioni, ovviamente), attribuendo i meriti al MIUR ed al
ministro Giannini, di fatto già santificata. Ciò è un torto, nel senso
che è un ragionamento errato e deviante: un diritto non può essere
spacciato come un favore elargito arbitrariamente, a discrezione di
qualche "santo", per quanto potente esso sia.
Insomma, se hai raggiunto
finalmente lo scopo della tua vita, la tanto attesa ed agognata
stabilità professionale e persino la vicinanza della sede lavorativa,
questo risultato non è certo ascrivibile al governo in carica, ma è
evidentemente un tuo diritto finalmente riconosciuto e a lungo negato.
Nel contempo, ci sarebbe da obiettare che la presunta "stabilità
lavorativa" è ormai un miraggio proprio a causa della legge 107/2015,
che ha di fatto precarizzato il ruolo docente, inquadrando la categoria
nei famigerati Piani Triennali dell'Offerta Formativa, allo scadere dei
quali il DS potrebbe anche non confermarti, ovvero dichiararti in stato
di esubero o non più funzionale alle esigenze della scuola in cui hai
prestato servizio fino ad allora.
È a quel punto che si prospetterebbe
un'amara destinazione: finire nei famigerati "ambiti territoriali", una
sorta di calderoni da cui i presidi e gli Uffici Scolastici andrebbero
ad attingere il personale di cui hanno bisogno come se fosse un "mercato
delle vacche". A ciò si aggiunga la controversa questione della
"premialità" dei "più meritevoli" tra i docenti, in base a meccanismi o a
criteri fissati dai "comitati di valutazione", che non tengono affatto
in considerazione il valore dell'insegnamento svolto in classe, nella
misura in cui esaltano e privilegiano ben altri valori ed altre
prerogative, per lo più funzionali alla politica promossa dal preside
nella propria scuola. Perché, se non si fosse ancora compreso, è appunto
di questo che si tratta: di politica, concepita soprattutto in termini
clientelari, ovvero di gestione aziendalista, manageriale, affaristica
della scuola, di corruttele, malaffare, favoritismi, assistenzialismi. Altro che efficientismo, meritocrazia ed altre simili baggianate, che
sono fiabe per i bimbi.
Dunque, che fare? È il quesito che mette in
difficoltà o in imbarazzo soprattutto chi è onesto intellettualmente.
Potrei cavarmela rispondendo in modo evasivo, senza sciogliere il nodo
cruciale posto dal fatidico interrogativo, che è un nervo scoperto.
Rispondo sinceramente: non lo so. Se servisse scendere in piazza,
manifestare, lottare, credo che converrebbe farlo. So che la famigerata
"buona scuola" è in vigore, malgrado gli scioperi e le proteste (vane)
del mondo della scuola.
I burattinai hanno verificato che la nostra
"reazione" non sarebbe durata a lungo e che fosse un fuoco di paglia dei
sindacati di categoria. Infatti, le proteste, le polemiche esternate
con gli strumenti a nostra disposizione, soprattutto Internet e i
social, le assemblee auto-convocate, le manifestazioni di piazza
sfidando le forze dell'ordine in assetto antisommossa, tutto ciò non è
servito a nulla. Le nostre lotte e le nostre proteste non sono servite
ad arrestare gli infami propositi del governo e di chi lo sponsorizza.
La legge 107/2015 è ormai una triste realtà con cui occorre fare i
conti: la "chiamata diretta dei presidi" è passata sotto spoglie neanche
tanto mentite: "chiamata per competenze".
Il "merito" è un nome
sostitutivo con cui si premieranno i servi e i leccapiedi.
Per cui
ritengo che convenga restare vigili nei collegi dei docenti, pronti a
reagire, magari creando un fronte unito e compatto nel corpo docente. Se
possibile. Ed è esattamente questo il principale elemento di criticità e
vulnerabilità della categoria docente: l'assenza di coesione interna,
di solidarietà corporativa. Nelle alte sfere del potere lo sanno. Come
lo sanno i presidi, che su tale punto debole insistono. Sanno che ci
possono dividere facilmente, innescando contese miserabili, litigi come
quelli tra i capponi di Renzo (o Renzi) nei Promessi Sposi. Basta
ventilare premi di pochi spiccioli in più.
30 Luglio 2016