IL CONTADINO E LA CITTADINA
di Sara Palmieri
Stefania
un campo di grano non l’aveva mai visto in vita sua.
Quella
distesa dorata intorno al casone popolare dove abitavano le cugine
brillava al sole di fine maggio e, dopo averli catturati, rilanciava
incantevoli effetti di luce.
Lo
sapevano bene le orde di bambini che di pomeriggio giocavano nel
cortile che separava il palazzo dal campo con una lunga cancellata di
ferro, scavalcabile dai più grandi e attraversabile dai più
piccoli, che vi infilavano la testa roteando poi il corpo con mossa
fulminea.
Lo
sapeva bene il contadino che lo coltivava a mezzadria, un tipo lesto
nonostante l’età, col viso divorato da solchi simili a un campo
arato e una camicia a quadri che si opponeva alla cinta dei calzoni.
Lo
zio Giuseppe – come lo chiamavano tutti - brandiva la zappa a mò
di spada quando i bambini superavano il limite per giocare a
nascondino tra le spighe o per lottare tra loro e poi cadere a peso
morto, abbattendo interi fasci di grano.
Il suo
carattere - notoriamente iroso - si esprimeva in crescendo e gridando
in un arcaico dialetto, bestemmiava dietro a quei monelli senza tema.
Anche le
cugine di Stefania, solo in apparenza tranquille, facevano parte
della banda di teppisti che sfidava il contadino e si era
appassionata a quelle rincorse da cui comunque usciva sempre
vittoriosa.
Lo zio
Giuseppe, quei bambini, se li sognava anche di notte e allora
cominciava a scalciare come un mulo, urlando e magari sferrando un
pugno alla moglie, convinto di averlo assestato ad uno di loro.
Peraltro
il contadino doveva dar conto al padrone se il raccolto di quell’anno
fosse stato inferiore all’anno prima e i bambini – secondo lui –
ne erano direttamente responsabili.
Spesso si
appostava dietro al canneto e aspettava di beccarne uno per dare così
una lezione a tutti.
Quella
domenica nel cortile c’erano solo Stefania e le cugine, che
decisero comunque un’incursione nel grano, anche per mostrare alla
bimba di città quanto fosse ameno abitare in campagna.
Attraversarono
le sbarre di ferro della cancellata indicando a Stefania come
infilare la testa e roteare il corpo.
Lei, con
il suo abitino lindo, camicina bianca, gilet di panno e gonna blu a
pieghe, poggiò la borsetta di pelle e, se pure con la difficoltà
dovuta alla postura legnosa a cui la mamma l’aveva educata, riuscì
a passare tra le aste.
Poi
risistemò l’abito, rimise la borsetta a tracolla, tirò su le
calzette candide, ripulì le scarpe di vernice nera dopo aver
umettato il ditino con la lingua, riordinò i riccioli biondi sulla
fronte e fu pronta ad entrare – sia pure con fare impacciato - tra
quelle spighe più alte di lei.
Il
silenzio della giornata non piaceva al vecchio, tirava un venticello
lieve che ondulava le spighe e lasciava intravedere i punti rossi dei
papaveri.
Spiava
con occhi torvi e il viso serrato e rubizzo, dal solito canneto, la
distesa di grano, determinato a difenderla da quei monelli; la mano
nodosa, ad artiglio, stringeva una roncola e aveva con sé il cane,
un bastardino altrettanto ringhioso.
D’improvviso
sentì le risatine delle bimbe e vide le amate spighe aprirsi qua e
là.
Le cugine
avanzavano saltellando, mentre Stefania arrancava dietro, timida ma
felice di trovarsi circonfusa dalla macchia di giallo.
Quando
furono vicine, il vecchio balzò come un satiro dal canneto e,
accompagnato dai latrati del cane, si lanciò in una corsa forsennata
e minacciosa agitando la roncola.
Le due
cugine, esperte in ritirate, guadagnarono in un baleno la cancellata
e furono al sicuro nel cortile di casa.
Stefania
rimase inerte tra le spighe e fu un attimo per il contadino
afferrarla per la collottola.
“Ti
ho preso – urlò
incredulo – ora ti do una
lezione coi fiocchi e poi ti porto dalle guardie”.
Dagli
occhi di Stefania scoppiarono goccioloni di lacrime.
“Signor
contadino – disse tra i
singhiozzi – io non
sapevo, io non volevo… sa non sono di qua…io vengo dalla città!”
“Ah
sì – rispose lui ancora
irato – e non sai che
questo è un campo di grano che sfama anche i cittadini come te? E
che se tu lo calpesti con i tuoi amichetti ci saranno meno spighe e
quindi meno pagnotte?”
“No,
mi scusi – continuò
Stefania – con
le candele di muco dal naso, la manina a frugare il fazzoletto nella
borsetta e i riccioli biondi incollati alla fronte madida.
Tuttavia
ingaggiò una trattativa.
“Signor
contadino – disse
balbettando - se mi lascia
libera, dirò alle mie cugine che lei è buono, che vuole produrre
più pane per farlo mangiare a tutti, anche a loro, che lei ci tiene
agli esseri umani!”
Davanti
a quella bimba, visibilmente dispiaciuta, l’ira del vecchio svanì
come la bolla di vapore al cospetto dell’aria fredda.
“Va
– le disse con tono comunque grave per nascondere l’attimo di
debolezza – e non tornare mai più!”