ARCHIVIO TEMATICO (in allestimento. Pronto l'indice dei redattori)

domenica 27 settembre 2015

IL DANNO TANATO(IL)LOGICO: QUANTO COSTA UNA VITA? di Norberto Fragiacomo





IL DANNO TANATO(IL)LOGICO: QUANTO COSTA UNA VITA?
di
Norberto Fragiacomo




Oggi parliamo di diritto, cioè di sovrastruttura, e nello specifico di responsabilità extracontrattuale.

Anticipo la duplice obiezione: perché mai questa scelta? Non è un tema da Bandiera Rossa e, anche ammettendo che lo sia, non è di stretta attualità! Mi permetto di dissentire: la querelle sul c.d. “danno tanatologico”, cui dedicherò queste righe, è non meno attuale della brutale privatizzazione della sanità nascosta dietro le sanzioni ai medici “compiacenti”, e lo è assai di più delle patetiche pantomime sul Senato elettivo, utili solo a certificare il gretto opportunismo dei mestieranti che i media si ostinano, sfidando il ridicolo, a definire “Sinistra Dem”.

Il danno tanatologico, infatti, è un’istantanea dell’Italia nell’età del Capitalismo putrescente.

Andiamo per gradi. Il codice civile, approvato al tramonto del fascismo, contiene una norma di capitale importanza: l’articolo 2043 obbliga chi abbia colpevolmente causato un danno ad altri a risarcire il medesimo. In concreto: se con l’auto investo un passante ignaro – ad esempio - risponderò col mio patrimonio delle conseguenze dell’evento.

L’articolo 2043 è norma primaria, nel senso che fonda direttamente la responsabilità del danneggiante. Il problema è che la disposizione sembra riferirsi al solo danno arrecato al patrimonio e alle capacità di guadagno dell’individuo: pertanto se ad essere travolto è un riccone l’investitore ci rimetterà la camicia, se un poveretto pagherà pochi spiccioli.

sabato 26 settembre 2015

DONALD LAM: IL VOLTO SEGRETO DI PERRY MASON di Stefano Santarelli





DONALD LAM: 
IL VOLTO SEGRETO DI PERRY MASON
di Stefano Santarelli



Erle Stanley Gardner il geniale inventore di Perry Mason e padre quindi del Legal Thriller che vede oggi in Scott Turow e John Grisham i suoi migliori eredi, usando lo pseudonimo di A.A.Fair, ha creato con il duo Donald Lam e Bertha Cool una delle coppie più divertenti della letteratura poliziesca in grado di reggere il confronto con il leggendario Nero Wolfe e il suo “galoppino” Archie Goodwin.

Il vero protagonista di queste storie è Donald Lam, un detective privato in netta antitesi rispetto ai suoi colleghi: di statura inferiore alla media (1,65), non portato alla violenza fisica nonostante che abbia preso lezioni (senza successo) di pugilato e di Ju jitsu rifiutandosi oltretutto di portare la pistola. La sua forza come sottolinea la sua principale e poi in seguito socia, Bertha Cool, “non si trova nei suoi muscoli, ma nel suo cervello”. E Lam è la dimostrazione che per essere un buon investigatore la prestanza fisica non è assolutamente necessaria.

venerdì 25 settembre 2015

PER UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE DELLA SINISTRA di Lucio Garofalo





PER UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE DELLA SINISTRA 
di Lucio Garofalo


Non vi sono più modelli di riferimento, né di partito o dinamiche di lotta, per il moderno proletariato. E non vi sono modelli di riferimento sul modo in cui riorganizzare la vita umana sul nostro pianeta, modelli di economia, di istituzioni, di funzionamento democratico e via discorrendo. 

Delle vecchie teorie rimangono cose fondamentali come l’egualitarismo, il riconoscimento dell’umanità come un unicum inscindibile, i diritti ed i doveri della persona umana, il rigetto di ogni forma di dominio, la fiducia nelle possibilità che la scienza e la tecnica offrono agli uomini, la salvaguardia della vita e dell’ambiente, presupposti fondanti di una teoria di rigenerazione della società umana, il controllo dello sviluppo della sovrappopolazione, ma tutto il resto, il modo di realizzare la divisione del lavoro a livello internazionale, la distribuzione equilibrata dei beni di consumo, la tecnica amministrativa e di utilizzo delle risorse, è tutto da studiare e sperimentare. 

Sono questi i compiti di una nuova classe dirigente. 

Per quanto immane, il compito che si presenta al proletariato odierno non è impossibile, né disperato, e le potenzialità di sviluppo e di emancipazione, già presenti nella scienza soffocata dal capitalismo, la possibilità di conoscere ed intervenire in ogni aspetto o luogo del pianeta in tempi reali, lo sviluppo di una cultura diffusa e generalizzata sono elementi che concorrono a creare le possibilità e le capacità di assolvere i compiti storici. Il moderno proletariato si candiderebbe a classe dirigente di sé stesso, poiché rappresenta la stragrande maggioranza degli abitanti del nostro pianeta. 

L’idoneità richiesta non è comunque un carattere spontaneo: essa va costruita in quanto il suo formarsi esige una logica, un coordinamento dei movimenti e delle lotte: in breve, una nuova Internazionale. 
Ed anche qui, cosa s'intende per nuovo internazionalismo? Credo che serva un manifesto come quello del Bloco de Esquerda portoghese, pur con tutti i limiti e le insufficienze che contiene. Esso propone il superamento dei partiti nazionali, la formazione di una nuova tendenza marxista rivoluzionaria, un campo di sfida al capitalismo che associ in modo sinergico l’odierno proletariato mondiale. 

Quanti continuano a rimaneggiare gli slogan dei vecchi testi per confezionare le loro ricette sono una zavorra velenosa. Costoro non hanno più nulla da offrire ai proletari del nostro tempo, se non una pessima, grottesca caricatura del comunismo.



martedì 15 settembre 2015

PERCHE' LASCIO LA CGIL di Giorgio Cremaschi




PERCHE' LASCIO LA CGIL
di Giorgio Cremaschi


La ragioni per le quali ho restituito dopo 44 anni la tessera della Cgil sono semplici e brutali. Oramai mi sento totalmente estraneo a ciò che realmente è questa organizzazione e non sono in grado minimamente di fare sì che essa cambi.
La mia è quindi la presa d'atto di una sconfitta personale: ci ho provato per tanto tempo e credo con rigore e coerenza personale, non ci sono riuscito. Anzi la Cgil è sempre più distante da come avrei voluto che fosse. Non parlo tanto dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, ma della pratica reale, della vita quotidiana che per ogni organizzazione, in particolare per un sindacato, è l'essenza. Non è questo il sindacato che vorrei e di cui credo ci sia bisogno, e soprattutto non vedo in esso la volontà di diventarlo.
Naturalmente mi si può giustamente rispondere: chi ti credi di essere? Certo la mia è la storia di un militante come ce ne sono stati tanti, che ha speso tanto nell'organizzazione ma che non può pretendere di essere al centro del mondo. Giusto, tuttavia credo che la mia fuoriuscita possa almeno essere registrata come un pezzetto della più vasta e diffusa crisi sindacale di cui tanto si parla, e che come tale possa essere collocata e spiegata.

UN APPELLO CONTRO IL MEMORANDUM E PER IL POPOLO GRECO di Nando Simeone





UN APPELLO CONTRO IL MEMORANDUM E PER IL POPOLO GRECO 
di Nando Simeone



L'iniziativa di sostegno ad Unità Popolare anima il dibattito anche nella Sinistra italiana in alternativa alla proposta di Costituente promossa da Vendola. Sel, infatti, punta nelle prossime elezioni amministrative ad alleanze con il PD, mentre il PRC e l’Altra Europa appoggiano ancora Tsipras, dimostrando di non aver fatto una sincera autocritica dell’esperienza di governo nel Prodi bis. 



In Europa le classi dominanti, con i loro partiti conservatori e socialdemocratici, non hanno mai accettato la formazione di un governo che aveva come programma la fine delle politiche di austerità e dei memorandum. Syriza rappresentava una chiara alternativa alle politiche condotte dalla Nea Democratia di Samaras, così come dal Pasok. Il suo programma elettorale esprimeva chiaramente la volontà di sfidare i diktat della Troika. Questa esperienza politica ha rappresentato la possibilità agli occhi delle lavoratrici e dei lavoratori, in Grecia come in tutta l’Europa, che un partito fondato su un programma antiausterità possa affermarsi con forza, imporsi alle forze reazionarie e far valere un orientamento di rottura con le esigenze dei capitalisti europei.

 La violenza dell’offensiva condotta dai dirigenti dell’Unione Europea è stata all’altezza della posta in gioco: provare, malgrado le scelte democratiche del popolo greco, che in Europa non esiste alcuna alternativa ai piani di austerità fissati dalla Troika.

La capitolazione di Tsipras rappresenta una dura sconfitta del popolo greco, della sinistra greca ed europea, un duro colpo per un movimento operaio europeo già fortemente martoriato dalle politiche liberiste. L’accettazione del terzo memorandum da parte della più forte organizzazione della Sinistra Radicale in Europa costituisce una drammatica sconfitta per tutte le classi lavoratrici nel nostro continente, mentre gli effetti sulle classi popolari greche saranno devastanti.

lunedì 14 settembre 2015

JEREMY CORBYN, IL LEADER CHE NON TI ASPETTI di Norberto Fragiacomo





JEREMY CORBYN, IL LEADER CHE NON TI ASPETTI


L’ultimo laburista del ‘900 vince clamorosamente  le primarie di partito: forse non ce la farà a cambiare la Gran Bretagna e l’Europa, ma impersona la voglia di giustizia sociale e di eguaglianza espressa soprattutto (sorpresa!) dai più giovani

di
Norberto Fragiacomo




L’outsider stravince (59,5%) le primarie del vecchio e acciaccato Labour Party inglese, lasciando agli avversari le briciole, e la stampa continentale ne prende atto, con un misto di stupore, costernazione e fastidio (1). I più lungimiranti lanciano grida isteriche: ma cos’è successo di tanto grave?

In questa tarda estate del 2015 Jeremy Corbyn sembra uno appena sceso dall’ottocentesca macchina del tempo di H. G. Wells: è piuttosto anziano (66 anni), demodé, barbuto, integerrimo, fieramente e coerentemente anticapitalista. Ha pure una bella faccia simpatica, e un eloquio senza i fronzoli, le battute standard e gli artifici che gli spin doctor apolidi confezionano un tanto al chilo. Sotto ogni aspetto è l’antitesi del tronfio, ridanciano e reazionario Matteo Renzi, ma soprattutto di quel Tony Blair che, dopo il suo disastroso premierato (per i lavoratori inglesi, mica per lui, che ad ogni conferenza raccatta milioni!), si era illuso di aver traghettato una volta per tutte il Labour sulla sponda “giusta”, quella neoliberista.

venerdì 11 settembre 2015

FRAU MERKEL, I MIGRANTI E AMMIANO MARCELLINO di Norberto Fragiacomo






FRAU MERKEL, I MIGRANTI E AMMIANO MARCELLINO


La mesta odissea dei profughi siriani, trasformata in evento mediatico “live”, è solo un assaggio di future migrazioni di massa che, come nel IV° secolo d.C., potrebbero cambiare la Storia del continente

di
Norberto Fragiacomo



Appena riemerso da una piccola, ma cocente, Teutoburgo personale, mi trovo ributtato nel caos di una cronaca che potrebbe sinistramente preludere ad un’epocale svolta storica.
Ributtato: participio poco elegante e, forse, linguisticamente sbagliato, ma assai in tono con una situazione e una propaganda che giudico ributtanti. Non parlo ovviamente dei profughi siriani, cui vanno la mia compassione e il mio rispetto, ma della carovana di falsità, ipocrisie e disinformazione che accompagna – e quasi sempre precede – la loro marcia affannata.

Gli ungheresi non li vogliono (e li prendono a bastonate), la Merkel sì: perciò Orban è un reazionario cattivo, i tedeschi, invece, un popolo redento. Questo ci raccontano i media e la stampa, Repubblica in particolare: Andrea Tarquini, che ha guizzi da romanziere, produce a spron battuto pezzi di colore sgargiante, in cui dà voce a personaggi meritevoli di simpatia, con i quali è possibile – anzi, doveroso - identificarsi. E’ però fiction, non il giornalismo delle 5 W (sarà mai esistito, quest’ultimo?).

D’improvviso tutti i migranti sono diventati “profughi siriani”: la descrizione dei fatti cede il passo alla sineddoche. Artifizio e raggiro, svelatoci da certi riferimenti sottotraccia a decine, forse centinaia di milioni di esseri umani in arrivo dall’Africa nei prossimi anni. I siriani non provengono dal continente nero, sono in cerca di salvezza anziché di fortuna, ma si prestano bene, per le loro disgrazie, a “riassumere” un fenomeno che dovrebbe inquietarci tutti, quale che sia la nostra fede politica. Qualcuno, tra i tecnici, ha parlato di “invasione”, ma il termine è stato convenientemente espunto dai dibattiti televisivi: ricorda troppo certi eventi del IV-V° secolo d.C. che furono, anche in quel caso, non assalti programmati, ma gigantesche migrazioni di popoli.

mercoledì 9 settembre 2015

LA BUONA SCUOLA di Lucio Garofalo




LA BUONA SCUOLA
di Lucio Garofalo


 Più vedo all'opera i nuovi presidi, più mi rendo conto che le persone si adattano alla perfezione al loro nuovo ruolo. Sembra che la riforma della figura dirigenziale sia stata varata su misura per loro. Dalle scelte dei collaboratori e dei membri degli "staff" si desume come i nuovi DS preferiscano circondarsi di elementi a loro congeniali, che non arrechino disturbo, degli automi zelanti ed efficienti, meglio ancora se teste poco pensanti, meri esecutori di direttive calate dall'alto.

Del resto, ai nuovi presidi la legge chiede di agire come dirigenti d'azienda. Essi devono organizzare e dirigere le scuole come fossero "aziende". Ormai la scuola è vista e descritta come una "azienduola". Altro che "laboratori di saperi" o "fucine di cultura".
In base al modo in cui i nuovi presidi esplicano simili mansioni manageriali (anche se trovo assurdo tutto ciò) alla fine del ciclo triennale verranno valutati. Come, del resto, noi docenti verremo valutati in virtù delle prestazioni di supporto e collaborazione al DS. Non a caso, i presidi tengono a farlo presente e ribadirlo in occasione dei collegi docenti.

Dunque, mi chiedo: ma un insegnante che intende limitarsi ad espletare il proprio dovere in classe, vale a dire interagendo in modo brillante e proficuo con i propri allievi, facendoli diventare autonomi, menti critiche e via discorrendo, non è da considerarsi un professionista valido o "produttivo", per cui forse conviene che cambi mestiere?. Me lo domando ormai da tempo con una insistenza.

lunedì 7 settembre 2015

A PROPOSITO DI FEMMINISMO E FEMMINILIZZAZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA di Lucio Garofalo







A PROPOSITO DI FEMMINISMO E FEMMINILIZZAZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA
di Lucio Garofalo




Probabilmente, occuparsi oggi di "femminismo" è addirittura demodé. Nel senso che, per quanto si sollevi un problema reale ed oggettivo, l’approccio rischia di essere già superato e scorretto in partenza. Numerosi segnali indicano in modo inequivocabile come, malgrado la presenza femminile in vari settori lavorativi della nostra società sia in netto aumento, quando si tratta di ruoli decisionali, l’uguaglianza tra i sessi risulta un traguardo ancora distante. 

È innegabile come in tutti gli ambiti lavorativi e sociali i maschi detengano e mantengano a denti stretti le posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere. La discriminazione è un dato ancora più evidente quando ci si addentra nel campo della politica, soprattutto ai vertici del potere politico. Tranne rarissime eccezioni, i “boss” dei partiti politici in Italia sono in prevalenza elementi maschili. 
Nel contempo, laddove esiste una netta predominanza femminile, ad esempio nella scuola, il rapporto di potere è inevitabilmente rovesciato: sono in crescente aumento i dirigenti scolastici donna. A tale riguardo mi sono formato alcune convinzioni che, all’apparenza, potrebbero essere invise alle più accese "femministe". 

Mi riferisco alla realtà della scuola italiana, specie nei primi ordini di scolarità: scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. In tale contesto la femminilizzazione è un dato dominante in assoluto: nelle scuole materne, laddove gli elementi maschili sono completamente assenti, o nelle scuole elementari, laddove i maestri costituiscono una netta minoranza. 

Sono convinto che uno dei problemi della scuola italiana (non è l’unico, ovvio) sia proprio l’eccessiva femminilizzazione. Altrove, ad esempio in Francia o in altri stati, nei paesi scandinavi, la presenza maschile è più consistente e, in alcuni casi (ad esempio in Norvegia), addirittura massiccia. La ragione si spiega molto facilmente. In tali paesi gli emolumenti assegnati agli insegnanti sono più appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove le retribuzioni alla classe magistrale sono indecenti e miserabili. Lo scarso valore, anche economico, riconosciuto alla professione docente in Italia, deriva in parte proprio dall'eccessiva femminilizzazione della scuola. 

Infatti, le donne che insegnano sono nella quasi totalità madri e mogli impegnate ad attendere alle faccende domestiche ed accudire la prole, relegate in ruoli marginali rispetto ai coniugi, che invece svolgono funzioni più remunerative in termini economici. Per cui le insegnanti che sono anche mogli e madri non hanno tempo o voglia di dedicarsi ad attività sindacali e tantomeno occuparsi di politica. 

Per le stesse ragioni, quando si tratta di scioperare e rivendicare i propri diritti sindacali ed ottenere miglioramenti nella propria condizione lavorativa, le insegnanti (in gran parte mogli e madri) tendono a sottrarsi e disimpegnarsi, per cui il potere contrattuale e sindacale della categoria si è ridotto drasticamente. 
Non a caso le adesioni agli scioperi nel comparto scuola sono più basse che altrove, in fabbrica o in settori dove la presenza maschile è più elevata, come le industrie metalmeccaniche. 

Naturalmente, il mio non è affatto un atto d’accusa nei confronti della presenza femminile nella scuola e nella società italiana. Il mio intento è di ridestare le coscienze assopite, o distratte, delle donne, siano esse insegnanti, madri, mogli o single, poiché l'emancipazione dell'umanità passa anche attraverso l’affrancamento effettivo delle donne dalla condizione di marginalità o subalternità a cui ancora sono in gran parte costrette nella società, in alcuni ambiti professionali, ma ancor più sul terreno politico-decisionale.


venerdì 4 settembre 2015

UNA SANITA' PRIVATA? di Lucio Garofalo




UNA SANITA' PRIVATA?
di Lucio Garofalo


Capita, per necessità, di recarsi al pronto soccorso e, per caso, di ascoltare una conversazione tra persone "comuni e normali" (nel senso che non appartengono a ceti o a fasce sociali privilegiate) che commentano in termini negativi il funzionamento della struttura sanitaria e traggono facili illazioni sulla "mala sanità" o sul presunto "fallimento" della sanità pubblica e via discorrendo. 
Il corollario finale, fin troppo banale ed ovvio, quanto allucinante, sarebbe, niente di meno, la privatizzazione del settore, come accade in America. Senza sapere che negli USA lo smantellamento della sanità pubblica (come pure della scuola pubblica) ha prodotto, da decenni ormai, guasti persino peggiori rispetto ai disguidi ed alle disfunzioni nostrane, costi sociali ed umani drammatici e spaventosi, come l'estromissione delle masse popolari più disagiate e meno abbienti da ogni tipo di cura ed assistenza medica, che negli USA sono a pagamento. 

Non a caso, dopo lunghi decenni, persino Obama ha tentato di rimettere in discussione tale sistema sanitario neoliberista che, qui da noi, si vorrebbe emulare e trapiantare con oltre trent'anni di ritardo. 
Quale sarebbe la mia proposta alternativa? 
Mantenere, anzi rafforzare il servizio gratuito della sanità pubblica, elevandone la qualità, rendendo migliori e più efficienti le prestazioni dei presidi sanitari. 

Come? 
Intensificando gli investimenti statali. Non c'è altro modo. Lo stesso discorso vale per il comparto dell'istruzione, laddove i fondi alle scuole pubbliche vengono ridotti per dirottarli agli istituti privati. E poi ci si lagna che manca persino la carta igienica nei bagni degli alunni. O ci si lamenta di qualche lentezza, inefficienza o ritardo presso un pronto soccorso. 
Servirebbe decurtare, anzi abolire ogni finanziamento statale alle scuole private, anziché tagliare i fondi destinati alle strutture pubbliche. Oltretutto, ciò sarebbe in perfetta linea con la nostra Costituzione.


giovedì 3 settembre 2015

IL CONTADINO E LA CITTADINA di Sara Palmieri





IL CONTADINO E LA CITTADINA

di Sara Palmieri





Stefania un campo di grano non l’aveva mai visto in vita sua.
Quella distesa dorata intorno al casone popolare dove abitavano le cugine brillava al sole di fine maggio e, dopo averli catturati, rilanciava incantevoli effetti di luce.
Lo sapevano bene le orde di bambini che di pomeriggio giocavano nel cortile che separava il palazzo dal campo con una lunga cancellata di ferro, scavalcabile dai più grandi e attraversabile dai più piccoli, che vi infilavano la testa roteando poi il corpo con mossa fulminea.
Lo sapeva bene il contadino che lo coltivava a mezzadria, un tipo lesto nonostante l’età, col viso divorato da solchi simili a un campo arato e una camicia a quadri che si opponeva alla cinta dei calzoni.
Lo zio Giuseppe – come lo chiamavano tutti - brandiva la zappa a mò di spada quando i bambini superavano il limite per giocare a nascondino tra le spighe o per lottare tra loro e poi cadere a peso morto, abbattendo interi fasci di grano.
Il suo carattere - notoriamente iroso - si esprimeva in crescendo e gridando in un arcaico dialetto, bestemmiava dietro a quei monelli senza tema.
Anche le cugine di Stefania, solo in apparenza tranquille, facevano parte della banda di teppisti che sfidava il contadino e si era appassionata a quelle rincorse da cui comunque usciva sempre vittoriosa.
Lo zio Giuseppe, quei bambini, se li sognava anche di notte e allora cominciava a scalciare come un mulo, urlando e magari sferrando un pugno alla moglie, convinto di averlo assestato ad uno di loro.
Peraltro il contadino doveva dar conto al padrone se il raccolto di quell’anno fosse stato inferiore all’anno prima e i bambini – secondo lui – ne erano direttamente responsabili.
Spesso si appostava dietro al canneto e aspettava di beccarne uno per dare così una lezione a tutti.
Quella domenica nel cortile c’erano solo Stefania e le cugine, che decisero comunque un’incursione nel grano, anche per mostrare alla bimba di città quanto fosse ameno abitare in campagna.
Attraversarono le sbarre di ferro della cancellata indicando a Stefania come infilare la testa e roteare il corpo.
Lei, con il suo abitino lindo, camicina bianca, gilet di panno e gonna blu a pieghe, poggiò la borsetta di pelle e, se pure con la difficoltà dovuta alla postura legnosa a cui la mamma l’aveva educata, riuscì a passare tra le aste.
Poi risistemò l’abito, rimise la borsetta a tracolla, tirò su le calzette candide, ripulì le scarpe di vernice nera dopo aver umettato il ditino con la lingua, riordinò i riccioli biondi sulla fronte e fu pronta ad entrare – sia pure con fare impacciato - tra quelle spighe più alte di lei.
Il silenzio della giornata non piaceva al vecchio, tirava un venticello lieve che ondulava le spighe e lasciava intravedere i punti rossi dei papaveri.
Spiava con occhi torvi e il viso serrato e rubizzo, dal solito canneto, la distesa di grano, determinato a difenderla da quei monelli; la mano nodosa, ad artiglio, stringeva una roncola e aveva con sé il cane, un bastardino altrettanto ringhioso.
D’improvviso sentì le risatine delle bimbe e vide le amate spighe aprirsi qua e là.
Le cugine avanzavano saltellando, mentre Stefania arrancava dietro, timida ma felice di trovarsi circonfusa dalla macchia di giallo.
Quando furono vicine, il vecchio balzò come un satiro dal canneto e, accompagnato dai latrati del cane, si lanciò in una corsa forsennata e minacciosa agitando la roncola.
Le due cugine, esperte in ritirate, guadagnarono in un baleno la cancellata e furono al sicuro nel cortile di casa.
Stefania rimase inerte tra le spighe e fu un attimo per il contadino afferrarla per la collottola.
Ti ho preso – urlò incredulo – ora ti do una lezione coi fiocchi e poi ti porto dalle guardie”.
Dagli occhi di Stefania scoppiarono goccioloni di lacrime.
Signor contadino – disse tra i singhiozzi – io non sapevo, io non volevo… sa non sono di qua…io vengo dalla città!”
Ah sì – rispose lui ancora irato – e non sai che questo è un campo di grano che sfama anche i cittadini come te? E che se tu lo calpesti con i tuoi amichetti ci saranno meno spighe e quindi meno pagnotte?”
No, mi scusi – continuò Stefaniacon le candele di muco dal naso, la manina a frugare il fazzoletto nella borsetta e i riccioli biondi incollati alla fronte madida.
Tuttavia ingaggiò una trattativa.
Signor contadino – disse balbettando - se mi lascia libera, dirò alle mie cugine che lei è buono, che vuole produrre più pane per farlo mangiare a tutti, anche a loro, che lei ci tiene agli esseri umani!”
Davanti a quella bimba, visibilmente dispiaciuta, l’ira del vecchio svanì come la bolla di vapore al cospetto dell’aria fredda.
Va – le disse con tono comunque grave per nascondere l’attimo di debolezza – e non tornare mai più!”