di Carlo Felici
E’ ancora
opportuno capire se oggi esistano delle reali dicotomie politiche o
ideologiche? E in particolare se quella rappresentata dalla contrapposizione
destra-sinistra sia ancora valida oppure consista soltanto in una meschina
millantatura?
Vediamo di
partire da due grandi esempi storici.
Il primo, Mazzini:
"Ho udito parlare intorno a me di diritta, di sinistra, di centro,
denominazioni usurpate alla retorica delle vecchie raggiratrici monarchie
costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie costituzionali
rispondono alla divisione dei tre poteri, e tentano di rappresentarli; ma che
qui sotto un Governo repubblicano, ch'è fondato sull'unità del potere, non
significano cosa alcuna" Giuseppe Mazzini. 10 Marzo 1849 alla Repubblica
Romana.
Il governo
repubblicano romano del 1849 fu, a tutti gli effetti, un governo rivoluzionario,
sia perché rovesciò radicalmente un assetto istituzionale preesistente, sia perché
ebbe una larga partecipazione popolare, sia perché tentò di cambiare il tessuto
economico e sociale dell’epoca, dando un esempio che potesse essere da guida
per il resto d’Italia. Purtroppo ebbe breve vita, in quanto fu soppresso manu
militari da una repubblica francese che avrebbe dovuto essere sorella amorevole
e invece fu fratricida e caina, sperimentando quel bonapartismo che fu, mutatis
mutandis, il prologo di tutti i fascismi.
Mazzini
immaginava una Repubblica nel senso originario ed etimologico del termine, e
cioè come “bene comune”, intendendo con ciò un superamento della
contrapposizione delle classi sociali, in nome di un interesse collettivo che fosse
basato sulla libertà e sulla giustizia sociale, e che non dovesse avere come
arbitro né un papa e nemmeno un re, ma solo il popolo nella sua totalità,
integrità e libertà.
Il secondo
esempio potremmo trarlo da un altro grande personaggio: Ernesto Che Guevara il
quale, non solo non menzionò mai questa contrapposizione tra destra e sinistra,
ma volle sempre impegnarsi per costruire un modello di umanità nuova, una sorta
di “archetipo umano”, come risulta evidente da questa citazione:
“Si se nos
dijera que somos casi unos románticos, que somos unos idealistas inveterados,
que estamos pensando en cosas imposibles y que no se puede lograr de la masa de
un pueblo el que sea casi un arquetipo humano, nosotros le tenemos que
contestar una y mil veces que sí, que sí se puede. Y tiene que ser así, y debe
ser así, y será así compañeros.”
(E se ci
diranno che siamo quasi dei romantici che siamo degli idealisti inveterati, che
stiamo pensando a cose impossibili e che non si può ricavare dalla massa di un
popolo, il fatto che sia quasi un archetipo umano, noi gli replicheremo una e
mille volte che sì, che sì, si può. Che deve esser così, che necessariamente
sarà così, e sarà così compagni)
Anche in
questo caso vediamo che il discorso del Che, allora rivolto ai giovani rivoluzionari
cubani, è allo stesso tempo pedagogico e politico, e basato sull’esempio da
dare in prima persona. La costruzione del “hombre nuevo” è infatti, il prodotto
degli “incentivi morali”, della promozione sociale, basata non sul privilegio
politico o sul merito economico, ma sull’esempio che si sa e si deve dare al
popolo, innanzitutto sul piano morale. E il Che, che andava a lavorare gratis
come operaio e contadino tutte le domeniche, poteva ben dire di sapere adeguatamente applicare a se stesso quel che si aspettava dal suo popolo.