L’AGONIA DEL PIANO
di Norberto Fragiacomo
C’era una volta il piano: discutibile come tutte le cose umane, magari sbagliato o troppo generico.
Dall’economia all’urbanistica garantiva, però, la presenza di un sicuro punto di riferimento all’interprete – cioè, in ultima analisi, al cittadino comune. Garantiva pure tutele, e non è poco.
Ricordo il libro di un economista, Fanfani, studiato all’università: si intitolava “La fatica del piano”. Faticoso, ecco: perché è impresa ardua, al limite dell’impossibile, imbrigliare la realtà e il futuro con un prodotto della fallibile mente umana. D’altra parte vale sempre la pena tentare, perché dove non c’è il piano regna il caos, figlio dell’interesse egoistico.
Rivedendo i miei appunti di urbanistica, presi durante dodici ore densissime di lezione, proprio in questo mi sono imbattuto: nel caos. Non per colpa del docente – encomiabile – né della mia scarsa attenzione: semplicemente la materia è un magma indecifrabile, reso bollente da interventi normativi scriteriati e a raffica.
La legge urbanistica risale al ’42: è roba fascista, insomma. Roba chiara, però: qualche decina di articoli scritti bene, senza rimandi incrociati o – peggio ancora – cifrati. Ci presenta il piano regolatore generale (PRG), riguardante l’intero territorio del Comune; prevede la sua successiva attuazione mediante piani particolareggiati d’iniziativa pubblica, riferiti a singole zone. La parola magica è appunto “zone”: il territorio risulta diviso in centro storico (zona A), aree di completamento (B), di espansione (C), industriali (D), agricole (E) e destinate a impianti e infrastrutture (F). Ciascuna zona è impermeabile, ciascuna fa storia a sé: niente industrie a due passi dal duomo! Le scelte spettano agli enti, che oltre a zonizzare localizzano le aree dove dovranno sorgere le opere di urbanizzazione destinate alla collettività: strade, reti, fognature, ospedali, scuole, parcheggi… “Localizzazione”, parola temuta, perché si concreta nell’apposizione di vincoli finalizzati all’esproprio di terreni.