A SINISTRA, MA CONTROMANO
Appunti sparsi su un testo, quello di
Fabrizio Marchi, da leggere per capire e imparare qualcosa di utile
di
Norberto
Fragiacomo
Confesso che mi sono accostato a CONTROMANO – Critica dell’ideologia
politicamente corretta con estrema curiosità e un tantino di diffidenza: la
prima frutto della sincera stima che provo per l’autore, Fabrizio Marchi (uomo di vasta cultura oltre che
piacevolissimo commensale), la seconda derivante dal fatto che sovente le
raccolte di articoli o riflessioni mancano di unitarietà, sballottano il
lettore a destra e a manca negandogli il legittimo piacere di raggiungere
infine la meta.
Orbene, il testo ha fugato sin dalle pagine iniziali i miei
timori, convincendomi e appassionandomi sempre più: nessuna frammentarietà, al
contrario una lucida visione d’assieme che abbraccia ambiti apparentemente distanti
ed estranei l’uno all’altro, svelando analogie spesso inquietanti, e riesce a
tracciare grazie all’acutezza dell’osservatore un identikit realistico della società
capitalista contemporanea. Un saggio vero e coerente, insomma, ma anche
indigesto per chi seguita ad abbeverarsi alle fonti dell’informazione sistemica
e, per credulità, superficialità o codardia intellettuale, persevera nel
ritenere quest’obbrobrio quotidiano “il migliore dei mondi possibili”. Mi
correggo: questa categoria di telespettatori giammai si confronterà con l’opera
che ho davanti agli occhi e, se per puro caso vi s’imbattesse, la getterebbe
lontano inorridita – meglio le favole che ci raccontano.
Su molte di quelle favole Marchi si sofferma, e lo fa
affidandosi – oltre che a dati pubblici ma “invisibili” per una platea
distratta – a un modo di ragionare rigoroso e serrato che non sente mai il
bisogno di sbalordire il lettore con paroloni ed effetti speciali: “si
accontenta” di prospettargli un’interpretazione controcorrente del reale. Per
essere chiari: a parte la laurea in filosofia, l’unica cosa che l’autore e il
Fusaro che innerva di avverbi impronunciabili (“heideggerianamente”) la
sua prosa hanno in comune è il debito – riconosciuto da Fabrizio, che pur non
rinuncia alla critica – nei confronti di quel geniale outsider che fu Costanzo Preve. Uno scomunicato, per l’appunto: e
tale si sente (e definisce) pure Marchi. Ma si sa: l’accostamento al discusso
Diego Fusaro - che comunque propone temi di assoluto rilievo - piuttosto che al
purtroppo misconosciuto Preve serve a certa “sinistra” per squalificare i
pensatori scomodi, bollandoli di “rossobrunismo” quando, anziché compiacersi di
recitare stanche litanie di finta critica al sistema, provano ad indagare nel
profondo: Fabrizio Marchi lo fa da annorum e, pertanto, va relegato ai
margini. Non è forse del tutto condivisibile la sua ripetuta affermazione
secondo cui oggidì esistono due tabù solamente, Israele e il femminismo: tabù è
anche un’analisi critica del sistema nel suo complesso, che non si limiti a
singoli aspetti – sia pur importanti – o non presenti un tasso di genericità
tale da renderla innocua e digeribile. Non sparate sulla sovrastruttura, insomma, perché proprio la sua
tenuta garantisce la sopravvivenza di un sistema che, pur ammettendo volentieri
le proprie brutture, sa presentarsi come progressista e privo di alternative
che non siano peggiori del “male”.