di Riccardo Achilli
La socialdemocrazia è il sistema
che garantisce la migliore combinazione fra efficienza allocativa e equità
distributiva. Vediamo perché.
Ipotizziamo che la società sia
costituita soltanto da due individui: un produttore ed un non produttore. Il
produttore ha un albero di pere, e lo
coltiva. Il non produttore, invece, siccome l’albero di pere è collocato
proprio al confine fra il suo terreno e quello del vicino, non lavora, ma mangia
le pere che cadono dall’albero sul suo terreno. Il non produttore potrebbe
essere un rentier che vive dei frutti del lavoro del primo, ma potrebbe anche
essere un poveretto, un disoccupato sul cui terreno le pere non possono
crescere.
Supponiamo di trovarci in una
situazione, del tutto teorica, in cui sia possibile calcolare le utilità
marginali che ognuno dei due individui ricava dal mangiare le pere, e che
quindi, per sommatoria, sia possibile ricavare la funzione di utilità sociale,
con la consueta ipotesi di utilità marginale decrescente al crescere del numero
di pere ingurgitate. Supponiamo, per semplicità, di trovarci in una situazione
in cui non ci sono costi di transazione e i costi di produzione non dipendono
dalla distribuzione dei diritti di proprietà fra i due individui,
l’informazione è perfetta e simmetrica, ed i due individui sono razionali,
quindi massimizzano la loro funzione di utilità (successivamente, alcune di
queste ipotesi teoriche saranno rimosse). Supponiamo, ancora una volta soltanto
per mera semplicità, che entrambi abbiano la stessa funzione di utilità
marginale rispetto alle pere, e che questa funzione, monetizzata in euro, sia
la seguente:
Numero
di pere
|
Produttore
|
Non
produttore
|
Totale
utilità marginale
|
1
|
35
|
35
|
70
|
2
|
30
|
30
|
60
|
3
|
25
|
25
|
50
|
4
|
20
|
20
|
40
|
5
|
15
|
15
|
30
|
6
|
10
|
10
|
20
|
7
|
5
|
5
|
10
|
8
|
0
|
0
|
0
|
Naturalmente il produttore ed il
non produttore sono in conflitto di interessi. La produzione di pere genera una
esternalità (cioè un valore economico esterno alla produzione stessa) a favore
del non produttore, che ne gode. Il produttore intende limitare l’accesso del
non produttore alle sue pere, però entrambi non spingono il loro conflitto al
punto di non ritorno, cioè di condannare uno dei due alla morte per fame
(altrimenti la soluzione di questo dilemma sociale sarebbe semplicissima: il
produttore metterebbe un recinto a protezione del suo pero, e l’utilità
marginale del non produttore cadrebbe a zero, contemporaneamente al suo
decesso).
Quello che intendo dimostrare è
che una differenza fondamentale fra liberismo, social-liberismo e
socialdemocrazia consiste nel trattare l’esternalità. I liberisti tendono a
internalizzarla nel processo produttivo; i social-liberali nel compensare
monetariamente la parte danneggiata dall’esternalità, i socialisti ed i
socialdemocratici a cambiare il paradigma produttivo.
Il modello liberista: Coase o la
negoziazione puramente fra privati sul mercato
In una società dominata dal credo
neoliberista, la soluzione di questo dilemma sarebbe rinvenibile nel cosiddetto
“teorema di Coase”. Il produttore potrebbe infatti negoziare con il non
produttore un accordo: ti lascio la possibilità di accedere alle mie pere, però
mi devi pagare un contributo pari al costo marginale che sopporto per pagare la
pera (per ipotesi costante). In questo modo, il produttore “internalizza”
l’esternalità, o quantomeno una sua parte, recuperandola sotto forma di
tariffa. Se il costo è di 25 euro, allora si configura una soluzione come
quella del grafico che segue (sulle ascisse il numero di pere, sulle ordinate i
valori monetari).
La soluzione sociale liberista
Le funzioni di utilità del
produttore e del non produttore sono identiche (curva rossa) quella sociale è
verde, ed in corrispondenza con l’incrocio fra utilità marginale sociale e
contributo di Coase, abbiamo il punto di equilibrio: si producono 6 pere;
l’utilità sociale totale di 6 pere è pari a 270 euro. Gli assetti sociali sono,
dal punto di vista distributivo, squilibrati. Per ogni pera mangiata, il non
produttore ha dovuto pagare 25 euro. Fuori di metafora, sarebbe come
costringere gli utenti di un sistema privatizzato di welfare a pagare per
l’accesso al servizio (sostituendo la pera con un servizio sanitario, sarebbe
come far pagare una polizza in un sistema sanitario privato, al fine di
ripagare chi offre il servizio sanitario per i costi sostenuti).
In questo modello lo Stato non
esiste. I privati raggiungono da soli una soluzione socialmente ottimale, senza
intervento pubblico.
Il modello social-liberale
moderato: sorge uno Stato "compensatore"
Se la società fosse dominata da
un’idea social-liberale moderata, l‘idea sarebbe quella di compensare
monetariamente l’esternalità, anziché internalizzarla. Tipicamente, l’idea
sarebbe quella di prelevare una tassa pigouviana a chi beneficia
dell’esternalità. Una tassa pigouviana è un’imposta, di entità collegata all’esternalità,
cui viene sottoposto il fruitore dell’esternalità. In questo caso, facciamo
l’ipotesi che la tassa pigouviana sia di entità esattamente uguale
all’esternalità: quindi, l’ammontare della tassa pigouviana sarebbe pari all’utilità
marginale del non produttore. Si tratta di una soluzione estrema, nel senso che
la tassa pigouviana può anche assorbire solo una parte dell’esternalità, e non
il totale. Ma scegliamo la soluzione estrema per maggiore semplicità. Avremmo
la seguente situazione.
La soluzione social-liberale di ocmpensazione nel caso di una imposta pigouviana
L’area segnata da righe verticali
nere rappresenta l’importo della tassa. In questo caso, la soluzione prevede la
produzione socialmente ottimale di 3 pere (in luogo delle 6 del sistema di
Coase precedente) con una utilità sociale totale pari a 90 euro, ma con un
prelievo fiscale di 90 euro, che può essere redistribuito fra produttore e non
produttore in forme e modalità varie.
In questo caso, sorge quindi uno
Stato che si intromette dentro la relazione privatistica fra i due individui,
prelevando una imposta e dovendo successivamente decidere come redistribuirla
fra i due.
Tale soluzione è meno efficiente
di quella di Coase. Si producono solo 3 pere anziché 6. Questo perché l’imposta
ha ridotto l’utilità sociale totale, assorbendo quella del non produttore, e
quindi ha ridotto l’incentivo sociale a produrre una maggiore quantità di pere
(perché non c’è più utilità, o per meglio dire l’utilità è indebolita, e più
rapidamente superata dal costo marginale di produzione).
Qualcuno potrebbe chiedersi: e
allora perché si sceglie la tassa pigouviana? Per un motivo molto semplice: che
due ipotesi di base del modello di Coase sopra esposto sono irrealistiche,
rendendo inutilizzabile tale modello. Come abbiamo detto, la soluzione di Coase
dipende dal fatto che il costo di produzione è indipendente dalla distribuzione
dei diritti di proprietà, e che non vi sono costi di transazione. Nessuna di
queste due ipotesi è vera nel mondo reale. Una diversa distribuzione dei
diritti di proprietà (in cui il non produttore diventa proprietario dell’albero
di pere in luogo del produttore) può modificare il costo marginale di
produzione, nel caso in cui il nuovo proprietario abbia una capacità lavorativa
diversa. Inoltre, nel momento in cui si impone un contributo di 25 euro al non
proprietario, emergono costi aggiuntivi di transazione, perché il non proprietario
cercherà di negoziare un contributo più basso, e tutto ciò renderà più
difficile, laborioso e socialmente costoso il processo di internalizzazione
dell’esternalità.
In altri termini: nel modello di
Coase, la produzione sociale arriva fino a 6 pere, perché non ci sono costi di
transazione e costose diatribe, anche legali, sulla distribuzione dei diritti
di proprietà (nel mondo di Coase, non avrebbe senso litigare: il passaggio
della proprietà del pero da un individuo all’altro, non comportando modifiche
al costo di produzione delle frutta, non modificherebbe il risultato sociale
complessivo). Evidentemente, la considerazione del costo di transazione e degli
effetti di diverse distribuzioni dei diritti di proprietà abbassa il livello di
efficienza del “modello ideale” di Coase, rendendo quindi impossibile
raggiungere un livello produttivo pari a 6 pere.
Occorre quindi che sorga uno
Stato, che si sostituisca alla mera relazione privatistica, intervenendo quindi
sui meccanismi di mercato, per correggere le distorsioni, o per meglio dire per
superare l’impossibilità, di un meccanismo puramente mercatistico e
privatistico come quello coasiano. Facendosi carico dell’esternalità, non più
per assorbirla nel processo produttivo, ma per prelevarla e poi redistribuirla,
in tutto o in parte.
D’altra parte, se è vero che
l’introduzione di una tassa dà allo Stato la possibilità di intervenire sui
meccanismi distributivi, non è detto che tale intervento sia equitativo. Lo
Stato potrebbe decidere di devolvere al produttore l’imposta pigouviana
prelevata al non produttore, massimizzando quindi la diseguaglianza sociale. Ad
esempio potrebbe sostenere una politica economica “dal lato dell’offerta”, per
cui occorre sostenere al massimo il produttore, nell’ipotesi che esso, con il
sostegno ricevuto, faccia traslare nuovamente verso l’alto la funzione di
utilità sociale, arrivando quindi ad incrementare la produzione fino a 4 o 5
pere, rispetto alle 3 pere di partenza. Questa posizione sarebbe tipica della
sinistra blairiana. E, come si vedrà meglio nelle conclusioni, tale posizione
non necessariamente ha successo, perché dipende da molti fattori, ed anche
quando ha successo, non necessariamente si migliora l’equità distributiva solo
ampliando la dimensione della torta da distribuire.
Il modello social democratico: lo
Stato “forte” cambia il paradigma produttivo e distributivo
Una società dominata da un’idea
socialdemocratica radicale, invece, non si preoccuperebbe di internalizzare o
compensare le esternalità, ma di cambiare il paradigma di partenza. Supponiamo
che lo Stato decida di nazionalizzare il pero, sottraendolo al precedente
produttore, e decidendo di stabilire obiettivi produttivi legati a finalità di
tipo sociale. Ad esempio, potrebbe decidere di spingere la produzione del pero
fino a massimizzare il benessere sociale totale. Il costo marginale aumenterà
da 25 a 30, perché occorre ripartire l’indennità di esproprio e (giusto per
ipotesi) una minore efficienza produttiva dello Stato rispetto al produttore
privato espropriato.
Avremmo dunque la seguente
soluzione: poiché c’è ancora utilità marginale fino alla settima pera, lo Stato
produrrà 7 pere, superando, in efficienza, persino il modello di Coase.
Tuttavia, poiché dopo la quinta pera il costo marginale supera l’utilità
sociale, l’azienda nazionalizzata del pero subirà una perdita, rappresentata
dall’area tratteggiata con righe nere.
La soluzione socialdemocratica con massimizzazione dell’utilità sociale
Tale perdita sarà pari a 30 euro.
Essa sarà compensata dalla maggiore produzione, cioè dalle 2 pere in più
prodotte ogni anno, che generano una utilità sociale di 30 euro, esattamente
uguale alla perdita. La politica di deficit spending ha accresciuto il valore
complessivo della produzione fino al punto di riassorbire il deficit.
La superiorità in termini
distributivi di questo modello è evidente: il livello produttivo è così elevato
che si possono dare 4 pere ad un individuo e 3 pere all’altro, con funzioni di
utilità individuali pari a 110 euro e 90 euro, quindi piuttosto livellate (con
una differenza di 20). Nel caso di Coase, si potevano distribuire 6 pere, cioè
3 a testa, ma uno dei due individui avrebbe dovuto pagare 25, quindi il “gap” distributivo
fra i due individui sarebbe stato di 5 euro superiore alla situazione attuale.
La soluzione socialdemocratica di piena occupazione e perfetta equità
distributiva
Conclusioni
L’attualità del pensiero
socialdemocratico dipende dal modo in cui le esternalità vengono trattate. Nel
mondo liberista puro, dove esistono soltanto meccanismi di scambio fra privati,
le esternalità vengono riassorbite nel ciclo produttivo, senza bisogno di
intervento dello Stato, generando una soluzione socialmente efficiente.
Tuttavia, tale possibilità
dipende da assunzioni irrealistiche: assenza di costi di transazione,
invarianza sociale della distribuzione dei diritti di proprietà individuali, e,
aggiungo adesso, ipotesi di perfetta razionalità degli operatori (anche questa
ipotesi è assurda, poiché gli operatori potrebbero, irrazionalmente, stabilire
contributi coasiani superiori o inferiori al costo marginale di produzione, per
meri effetti psicologici di valutazione, oppure per rendite di posizione, ad
esempio il proprietario del pero potrebbe farsi pagare un contributo superiore
al costo marginale di produzione, semplicemente perché il pero è suo e se lo
gestisce lui). La rimozione di tali ipotesi conduce ad una non ottimalità (se
non addirittura ad una impossibilità) del mero scambio fra privati di utilità e
costi.
A questo punto, deve sorgere lo
Stato, il cui compito è intromettersi nella negoziazione coasiana fra privati,
per regolarla in modo da evitare le inefficienze dello scambio privatistico,
e/o da renderlo anche solo semplicemente possibile.
Lo Stato può intervenire con un
approccio soft o hard. Il caso soft, dominato da una ideologia social-liberale,
consiste nell’idea di compensare monetariamente l’esternalità, visto che essa
non può essere riassorbita nel ciclo produttivo, tramite, ad esempio, una tassa
pigouviana. Questo meccanismo lascia quindi correre i meccanismi di mercato
capitalistici, e si intromette soltanto per compensare le esternalità che essi
generano. Produce ovviamente un livello di efficienza produttiva inferiore al
modello “utopistico” di Coase, perché più realisticamente incorpora le
inefficienze derivanti da costi di transazione, asimmetrie informative, irrazionalità
degli operatori, redistribuzione dei diritti di proprietà. Ma non
necessariamente migliora l’equità distributiva. Infatti, detto parametro
dipende in modo cruciale dall’impiego del gettito dell’imposta pigouviana. Se,
sulla base di idee puramente “supply side”, tale gettito viene attribuito in
massima parte ai produttori, esso accrescerà le diseguaglianze distributive, in
nome dell’ipotesi, non dimostrabile nel modello, che ciò condurrà ad una
maggiore produzione (cioè ad un avvicinamento al modello teorico di Coase) che
“allarghi la torta” della ricchezza redistribuibile alla società. Ma tale
evento si verificherà se e solo se l’aumento di risorse superi i maggiori costi
da inefficienza legati ad un incremento produttivo. E, anche in questo caso, la
“maggiore torta” non accrescerebbe necessariamente l’eguaglianza distributiva,
se le regole di distribuzione della torta non cambiano.
Nel caso di intervento hard, lo
Stato non si limita ad intervenire nei meccanismi di mercato solo per
compensare le esternalità ma, al contrario, modifica il paradigma produttivo,
assumendo un ruolo di regolazione ed intervento diretto in economia, sia al
fine di spingere la produzione fino a massimizzare l’utilità sociale totale,
contando sulla maggiore produzione effettuata per coprire le perdite, sia al
fine di conseguire la piena occupazione e la massima equità distributiva. In
ognuno dei due casi, si ottengono benefici che l’intervento soft non può
ottenere, o non ottiene automaticamente. In questo, risiede la superiorità
della socialdemocrazia.
quindi è tutto e solo una questione aritmetica, distributiva. siamo messi male, molto male
RispondiEliminaparlate tanto di diritti e democrazia e poi censurate un commento di blanda critica
RispondiEliminaForse perché sarebbe meglio firmarli?
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