GRILLO E RENZI
di Antonio Moscato
Credo necessario analizzare freddamente il consistente arretramento del M5S. Prima di tutto perché il movimento rimane lo stesso una forza significativa: è ancora “il primo movimento e il secondo partito”, ha detto lo stesso Grillo, dimenticando sorprendentemente le sue abituali esorcizzazioni dei partiti come male assoluto. Una forza che in seguito alla verifica del prezzo pagato per le vanterie sulla certezza di vincere (che hanno quasi sempre portato male a tutti quelli che le hanno fatte), potrebbe liberarsi da una tutela risultata soffocante, riportando il “Leader massimo” a un più modesto ruolo di fiancheggiatore ed efficace propagandista. Probabilmente una chiarificazione interna ne ridurrebbe per un certo periodo il peso ben più di quanto sia accaduto in questa tornata elettorale e in diverse scadenze intermedie, dato che un settore dei dissidenti potrebbe essere attratto sciaguratamente dalle lusinghe di Renzi, ma quel che rimarrebbe potrebbe incidere ben più di quanto abbia fatto il movimento nel suo insieme da quando è entrato in parlamento:a patto di analizzare con calma le ragioni dell’arretramento.
Negli ultimi giorni prima del voto praticamente tutta la stampa, in gran parte in malafede e in piccola parte solo per adattamento alla corrente prevalente,ha utilizzato sondaggi che non esistevano né potevano esistere, ma a cui si alludeva continuamente, e ha creato quindi un clima di panico di fronte al possibile trionfo del “pericoloso nazista”, consentendo all’apparato del PD (ereditato dal PC e dalla DC, ridimensionato ma pur sempre esistente) una mobilitazione che ha permesso a Renzi di recuperare una parte del proprio elettorato passato negli anni scorsi all’astensionismo. (Per un’analisi dei flussi elettorali in Italia vedi qui) Nonostante la tardiva diminuzione dei toni, e delle urla, e la scelta del salotto di Vespa per presentare un volto moderato del movimento, ad aiutare l’operazione di Renzi è stata l’insistenza di Grillo sulla sicurezza di arrivare un po’ più avanti dell’altro schieramento, cosa che tra l’altro di per sé non significa niente, se non c’è all’orizzonte una possibile iniziativa per arrivare con altri a una vera maggioranza solida. Questa prospettiva ha pesato contro il M5S, come pesò ai danni del PCI il mitico “scavalcamento” della DC, sognato a lungo dal “popolo comunista” negli anni Settanta.
Ha inciso poi l’unanimità della riprovazione manifestata, spesso con veri e propri falsi, nei confronti del M5S da tutta la stampa, che è arrivata a livelli grotteschi: ad esempio drammatizzando lo “scandalo di Pomezia”, cioè la presunta divisione classista dei bambini nelle mense di un comune amministrato da un sindaco del M5S. Si trattava (come invano aveva tentato di spiegare il sindaco) di una misura discutibile proposta da alcuni genitori contro le merendine dannose dal punto di vista dietetico, con una differenza di contributi che non scavava certo un abisso tra ricchi e poveri (40 centesimi in meno per la dieta senza merendine!). La misura era stata votata all’unanimità da tutte le forze presenti in consiglio, e la riprova che non fosse un’aberrazione grillina, conferma della sua presunta “natura fascista”, è venuta dal voto, che a Pomezia ha dato un 35% al M5S, ben più della media nazionale e regionale…
Quasi nessuno a sinistra ha invece minimamente accennato alla possibilità che l’arretramento del M5S possa essere dovuto alla perdita di parte dei voti strappati nel 2012 alla Lega, quando questa era più in crisi. Oggi probabilmente sono stati perduti sia per la minore radicalità del M5S sulla proposta del “Basta Euro” cavalcata da Salvini oltre che da un pezzo di sedicente sinistra, sia perché Grillo era stato, per fortuna, messo in minoranza da una maggioranza di senatori e deputati favorevole all’abolizione del reato di clandestinità, e aveva accettato democraticamente il parere della maggioranza. È possibile anche che ci sia stato un “ritorno a casa” di altri elettori arrivati dal PdL, turbati dal prevalere di argomenti di sinistra, e magari dai riferimenti a Berlinguer, negli ultimi comizi dello stesso Grillo e del socio Casaleggio.
Subito dopo le elezioni del febbraio 2012 moltissimi si affannavano a sostenere che il grosso dei voti grillini venivano da destra. Non era vero, venivano da tutte e due gli schieramenti principali, ma soprattutto dall’astensionismo consolidato da anni. Nelle riflessioni sul voto alle europee che circolano ora nella ex sinistra, manca anche il minimo accenno al fatto che in oltre un anno il movimento si è caratterizzato in parlamento (a volte perfino esplicitamente) sempre più come “di sinistra”. Una sinistra confusa, a volte, ma quale non lo è, di questi tempi?
Io avevo più volte notato che per attirare l’attenzione su prevaricazioni che soffocavano il dibattito i parlamentari del M5S avevano ripreso, più o meno consapevolmente, le tecniche di contestazione anche clamorosa (dagli striscioni sui tetti ai cartelli) che avevano caratterizzato l’opposizione fatta dal PCI negli anni Cinquanta e Sessanta, infischiandosene delle norme a cui è invece ridicolmente affezionata la perbenista Boldrini. (Casomai era criticabile l’eccessivo peso dato alle istituzioni rappresentative borghesi, e la prospettiva quasi esclusivamente elettoralista. Ma quanti, nella sinistra, potevano fare critiche di questo tipo?). Quella del vecchio PCI era stata un’opposizione rumorosa, che simulava un’intransigenza che nella sostanza non c’era, ma di cui si era perso il ricordo non solo negli anni delle larghe intese, ma anche in quelli precedenti, in cui regnavano sempre meno nascostamente gli inciuci.
Un’opposizione seria non c’era stata neppure da parte di Rifondazione, fin dall’inizio. Non a caso il PRC aveva perso ben presto milioni dei voti conquistati nella prima fase, ad esempio nelle elezioni del 1993, quando nelle città decisive di Milano e Torino aveva superato il PDS a cui si era contrapposto radicalmente, raggiungendo percentuali del 12% e persino del 14,64%, mai più sfiorate se non in singole ed eccezionali situazioni locali minori.
Devo a questo punto spiegare meglio la mia logica. Contrariamente a quanto mi è stato a volte rimproverato da alcuni compagni, non sono mai stato un sostenitore del M5S, ma mi sono solo rifiutato di accettarne la demonizzazione fatta da gran parte della sinistra, a rimorchio degli Scalfari o dell’Unità (e spesso anche del Manifesto), e l’ho seguito con attenzione e rispetto, anche osservando da vicino e senza paternalismo diversi suoi esponenti.
Non ho avuto mai l’illusione che il M5S potesse rappresentare un’alternativa al sistema, ovviamente, ma mi è parso assurdo che non si cogliesse da sinistra la volontà di cambiamento che esprimeva. A volte Grillo o qualche portavoce in parlamento diceva sciocchezze, ma quante ne avevamo sentite anche da alti dirigenti del PRC? Sottolineare solo le ingenuità e le contraddizioni del M5S per liquidarlo sprezzantemente, mi ricordava l’atteggiamento che ebbe il 95% della sinistra italiana di fronte a Solidarnosc, di cui tanti vedevano solo la madonna nera sulla penna di Walesa e ignoravano la capacità di organizzare dieci milioni di lavoratori e di costringere a sedersi a un tavolo i rappresentanti del presunto “Stato operaio”. E ne hanno aspettato tranquillamente l’involuzione, per effetto congiunto della repressione, che accresceva il ruolo della Chiesa, e dell’isolamento in cui i suoi militanti più coerenti si trovavano a livello internazionale…
Mi preoccupa soprattutto che sul dibattito del M5S, nel momento in cui è spinto dai fatti a riflettere sulla necessità di un cambiamento, ci si preclude ogni possibile intervento se si esprimono giudizi sprezzanti e liquidatori. Assurdo farlo nei confronti dei generosi deputati e senatori che senza nessuna esperienza politica hanno faticosamente scoperto molte cose e hanno imparato a muoversi utilmente nella giungla delle istituzioni, corrotte e corruttrici; ma è sbagliato farlo anche nei confronti dello stesso Grillo, che pure rivela spesso, con le sue svolte improvvise, con le sue metafore campate in aria, con i suoi discutibili riferimenti “storici”, una notevole ignoranza politica. Ma insultarlo o bollarlo come “fascista” non serve a niente, e non aiuta la maturazione di chi lo ha seguito finora ciecamente. Si tratta casomai di partecipare alla discussione che si apre nel movimento, cercando di far capire che un dibattito democratico non è un lusso o una concessione alle richieste del nemico, ma una necessità per arrivare a definire una proposta politica convincente per settori importanti del paese. Non è un fatto privato, interessa tutti quelli che non si rassegnano a considerare immutabile tutto quello che esiste.
Non si tratta solo di scegliere toni adatti a farsi capire, ma di partire da un dato di fatto: il M5S ha avuto un ruolo importante nello sbloccare la situazione italiana, in cui c’era uno spazio enorme per congiure di palazzo come quella che ha portato al governo dell’incredibile Monti o alla rielezione di Napolitano. Ma la mancanza di una diagnosi esatta della crisi politica e sociale e del suo carattere internazionale nel M5S, ha permesso a Renzi uno straordinario recupero, facilitato dalla stupidità di slogan sbagliati sulla “peste rossa” o sui sindacati, che gli fornivano utili pretesti.
Incalzando comunque il governo come nessuna opposizione aveva fatto da anni, il M5S ha imposto al PD di cercare una strada per non soccombere. Il PD c’è riuscito: il ruolo del M5S è stato paragonato all’effetto di miglioramento della specie predata da parte degli animali predatori… Ma adesso rischiamo di pagarne il prezzo tutti: l’attivissimo Renzi è molto più pericoloso di tutti i predecessori, e ovviamente di Grillo. Il suo programma di riforme costituzionali è quello che aveva Berlusconi e che non era mai riuscito a realizzare. Il suo programma sociale sul lavoro è quello dettato dalla Confindustria, e che ha convinto nel Nord Est un gran numero di imprenditori e cosiddetti artigiani a lasciare Forza Italia per il PD, che “dà garanzie”. Ha dietro di sé uno staff che lo ha aiutato a vincere alla grande una campagna elettorale, in cui invece di governare ha speso in giro per l’Italia tutte le sue chiacchiere, cominciando dalle scuole elementari, e offrendo di concreto solo 80 euro al mese, cioè una minima parte di quanto i lavoratori hanno perduto in questi ultimi anni in termini di salari reali, e sotto forma di diritti e servizi tagliati o negati.
Adesso Renzi si proietta verso l’Europa, sicuro che avrà tutto l’appoggio possibile dai due schieramenti maggiori per far passare il comune programma reazionario non più come “un’imposizione di Bruxelles”, ma come un’innovazione e un contributo originale del PD italiano al rinnovamento dell’UE.
È Renzi il vero pericolo!
28 maggio 2014
dal sito Movimento Operaio
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