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sabato 16 agosto 2014

L'INEVITABILE ARRIVO DELLA TROJCA: PERCHE' E' INUTILE E CONTROPRODUCENTE RESISTERGLI di Riccardo Achilli




 

L'INEVITABILE ARRIVO DELLA TROJCA:
PERCHE' E' INUTILE E CONTROPRODUCENTE RESISTERGLI
di Riccardo Achilli



Dirò cose molto spiacevoli, e sulle quali ben pochi saranno d'accordo con me. Sconto già le numerose critiche che arriveranno su questa nota.

Iniziamo da una premessa sulla quale, credo, siamo tutti d'accordo. Come Paese, siamo finiti. Non ci sono più fattori di spinta endogena che portino questo Paese fuori dalla crisi. La sua classe dirigente è oramai equamente divisa fra rottami di un'altra epoca, che non hanno nemmeno chiaro cosa sia successo, e cercano di salvarsi il culo intermediando posizioni di potere sempre più anguste, con i metodi usati negli ultimi cinquanta anni, avvoltoi che cercano di portare fuori dal Paese il salvabile, e imbonitori di piazza assolutamente privi di progetto e di iniziative utili.

Sotto questa catastrofica classe dirigente, il Paese reale, come si diceva una volta, è costituito da tante monadi che, come naufraghi attaccati ad un relitto, cercano di rimanere disperatamente a galla, anche a costo di affondare ancora di più gli altri. Che a loro volta sprofondano lentamente nella depressione e nel fatalismo.

Gli intellettuali sono scomparsi da decenni, sostituiti da yes men, spin doctor e altri venduti privi di creatività. La sinistra si è estinta, e sopravvive solo in residui caratterizzati da nostalgia, rabbia impotente, oppure affabulazione mediatica senza coraggio di azione. Le poche forze ancora vitali, i piccoli e medi imprenditori, i giovani ad alta scolarizzazione, le eccellenze del settore pubblico, sono letteralmente abbandonate a loro stesse, prive di qualsiasi supporto, in un sistema che si è putrefatto. E vanno anch'esse alla deriva.

In questo cupio dissolvi, si consumano inutili vendette tribali, che non fanno altro che deteriorare ulteriormente il poco tessuto rimasto (un caso di scuole è la geniale distruzione del sistema camerale, uno dei pochi sottosistemi ancora funzionanti, motivata, come si è scoperto, da una vendetta fra Confindustria e le rappresentanze delle piccole e medie imprese, un altro esempio è il furioso regolamento di conti contro le caste, privo di una visione alternativa di governance, motivato solo da rabbia irrazionale).


L'ultima corsa è finita, e le luci dell'ippodromo si stanno spegnendo. Togliamoci dalla testa l'idea che l'uscita unilaterale dall'euro, come farneticano Grillo ed i sovranisti, sia praticabile. Uscendo dall'euro con un'economia iper-indebitata, con un potenziale di crescita molto basso e con una modestissima autorevolezza politica internazionale, verremmo condotti, in caso di ripudio anche solo parziale del debito sovrano, verso un default pilotato, sul modello di quanto avvenuto con l'Argentina, oppure, in caso di rispetto degli impegni di rimborso del debito, verremmo schiacciati dallo spread e dalla fuga di capitali (i rimedi amministrativi per fermarla, come dimostra ancora una volta l'Argentina, producono distorsioni economiche molto gravi). Il recupero di competitività-prezzo derivante da una svalutazione della reintrodotta lira verrebbe peraltro schiacciato da sanzioni, anche non tariffarie, sul nostro commercio estero.


Realisticamente, abbiamo solo due strade. La prima è solo apparentemente un'alternativa, e consiste nel continuare a seguire i pifferai (Grillo o Renzi, o il redivivo Berlusconi, non fa differenza) e le loro pseudo-ricette, fino alla distruzione finale delle poche risorse ancora rimaste. Ma non è un'alternativa reale. Se il gioco è finito, perché il Paese non ha più spinta reattiva né dall'alto né dal basso, possiamo tenerlo artificialmente in vita per 2 o 3 anni, ma poi il palcoscenico ci crollerà inevitabilmente addosso. In effetti, il tracollo economico italiano non se lo può permettere nessuno dei nostri partner, per cui, di fronte alla conclamata incapacità della classe politica italiana nel fornire le risposte riformiste attese dal resto dell'area-euro (e certificata dall'autentica valanga di giudizi negativi su Renzi piovuti dai giornali di tutta la comunità finanziaria internazionale), l'arrivo della Trojka non è una eventualità, è una certezza. Detto arrivo assumerà la forma di contratti per le riforme strutturali, che dovranno essere fatte nei modi e nei tempi decisi da Bruxelles, in cambio di flessibilità sul percorso di riduzione del deficit. Per il momento, siamo solo alla fase delle schermaglie fra le varie parti, finalizzate ad ottenere il massimo possibile dai suddetti contratti, e ciò spiega, da un lato, la richiesta di maggior flessibilità da parte dei “deboli”, e dall'altro l'apparente inflessibilità sui tempi di raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio da parte dei forti (che però sanno di non poter pagare il conto del fallimento economico italiano). Occorre solo aspettare che si insedi formalmente le nuova Commissione, in autunno, affinché dalla schermaglie si passi ai contratti vincolanti e formalizzati. A quel punto, che al Governo ci sia Renzi, Passera, Monti oppure Satana non cambierà niente. Perché il programma economico e sociale del Paese, e la sua tempistica, saranno eterodiretti.

Oppure, come si fa con una azienda quando la sua proprietà si rivela incapace di farla uscire dalla crisi, consegnare le chiavi a qualcun altro il più presto possibile. Se, come detto prima, è inevitabile, allora sarà meglio che questo passaggio di sovranità verso la Trojka avvenga subito, quando è ancora possibile far decadere le riforme istituzionali antidemocratiche varate da Renzi, che all'Europa non interessano, quando ancora il Paese ha un minimo di forza economica, ed il rallentamento economico tedesco di questi mesi potrebbe predisporre la Germania a qualche minima concessione di flessibilità, piuttosto che fra un anno, quando il rignanese avrà ulteriormente dissestato ciò che resta del Paese, avrà fatto le sue riforme istituzionali napoleoniche, e magari la Germania, superando difficoltà momentanee di export legate alle tensioni geopolitiche ad est, avrà ripreso la sua crescita egoistica.

Non è detto, peraltro, che il commissariamento europeo sia peggiore del disastro che sta combinando lo scout fiorentino di campagna. Questo perché, come già detto dianzi, l'Italia, a differenza della Grecia, è too big to fail, ed il nostro fallimento provocherebbe disastri a catena. In effetti, Il fallimento di una economia ancora fra le prime dieci del mondo creerebbe effetti devastanti: il 33% del nostro immenso debito pubblico e' detenuto da soggetti stranieri, banche e fondi di investimento, ed il default italiano farebbe esplodere una nuova bolla finanziaria globale. Senza parlare degli enormi investimenti industriali statunitensi, cinesi, francesi, svizzeri, svedesi, che hanno fatto shopping della nostra industria in questi anni, e che andrebbero persi, o sarebbero quantomeno danneggiati da un fallimento economico e dai susseguenti disordini sociali e lavorativi. E senza contare altri effetti: ad esempio, con l'Italia fallita, chi controllerebbe i flussi di immigrazione mediterranei, inevitabilmente diretti verso la Germania e gli altri Paesi nordici, sfruttando Schengen, e chi arresterebbe la stessa immigrazione di milioni di italiani poveri dentro la Ue? E' probabile dunque che la Trojka ci tratti meglio della Grecia, in termini di politiche per la crescita. 

In effetti, occorre riflettere sul fatto che la situazione politica ed economica di oggi è diversa da quella del 2010, quando la Trojka distrusse Irlanda, Grecia e Portogallo sulla base di ricette di sola austerità iper-liberista. Oggi il timore reale, sul quale persino i monetaristi ortodossi della Bundesbank non dissentono, è quello della deflazione, che richiede politiche monetarie e fiscali più espansive, anche senza trascurare i necessari sforzi di prosecuzione del risanamento finanziario. In un recente articolo, reperibile su  www.laqualitasociale.it , Ruffolo e Stefano Sylos Labini evidenziano come la Bce e la Commissione Europea stiano approntando un piano di investimenti di 1.000 miliardi, sulla base di progetti infrastrutturali e produttivi presentati dai singoli Stati membri, una sorta di piano Marshall europeo per ripristinare la crescita, e che però richiederà capacità progettuali ed attuative, da parte dei Governi nazionali beneficiari, di cui i nostri totali incapaci e miracolati sono del tutto privi, e che quindi implicherà una forte “ingerenza”, sotto forma di assistenza tecnica, da parte dei servizi della Commissione e della BEI, nei confronti dei nostri Ministeri.

Anche in materia di riforme strutturali, prendendo la più importante, ovvero quella del lavoro, riscrivere lo Statuto dei Lavoratori pensando "alla ragazza che non può avere figli perché non ha tutele", come ha dichiarato Renzi, non significa niente, quando la maggioranza di governo dipende in modo essenziale dal Ncd, che vuole un mercato del lavoro come quello di Taiwan. Sarà impossibile anche solo varare quel simulacro di reddito di inserimento che è il Naspi. E ovviamente fare sponda sui 5 Stelle per i provvedimenti più progressisti, come si farebbe in un Paese normale, con una opposizione normale, è impensabile, perché il principale partito di opposizione è una sorta di Circo Togni. 

Questa classe dirigente ha esaurito ogni possibilità di fare alcunché di utile. L'unica speranza è sostituirla, anche dall'esterno. Persino Laszlo Andor, ex Commissario europeo alle politiche sociali, ha recentemente parlato di un sussidio di disoccupazione europeo per la disoccupazione ciclica. E il vituperato Parlamento europeo ha emanato nel 2010 una raccomandazione sull'istituzione del reddito minimo garantito in ogni Stato membro.

D'altro canto, chi ancora difende un simulacro di sovranità nazionale oramai inesistente nei fatti dovrebbe spiegare perché, come compare nel Corriere della Sera di ieri, Berlusconi abbia proposto a Renzi un patto anti-trojka comprendente una partecipazione, più o meno diretta, di FI al Governo (http://www.corriere.it/politica/14_agosto_15/berlusconi-governo-non-cerco-poltrone-7828de68-2445-11e4-a121-b5affdf40fda.shtml ). 

Veramente vogliamo difendere questa porcheria, ovvero un'orgia fra i due peggiori protagonisti della nostra arena politica, come il Cavaliere ed il fiorentino, in nome della bandierina formale di una sovranità nazionale oramai, dal 1992 ad oggi, sempre più svuotata di contenuti effettivi?

E d'altra parte le cose sembrano congiurare in una direzione ben precisa. Alfano e Sacconi sembrano fare sul serio. Via le macerie dell'articolo 18, che ingombrano, oppure il Governo si esaurisce. In fondo, dal loro punto di vista, meglio andare subito alle elezioni, prima che Berlusconi torni, munito di nodoso randello. Sarebbe lo scenario perfetto per l'arrivo della Trojka: grillini che arriverebbero al 30%, Parlamento ingovernabile con il Consultellum, ufficializzazione del fallimento del progetto delle larghe intese. Forse non dispiacerebbe nemmeno al ganzo della valdarno. Una bella tornata elettorale prima di essere logorato dalla inevitabile mazzolata da 30 miliardi che si preannuncia nella legge di stabilità, per poi tornare premier agli ordini di un programma economico stilato a Bruxelles e Francoforte, in fondo deresponsabilizzandosi.


Dobbiamo affidare le nostre speranze anche alle lezioni della storia. 
I longobardi, i normanni e gli svevi, che misero fine ad un Impero Romano d'Occidente oramai senza più spinta vitale, e ridotto ad un mero simulacro, furono i rivitalizzatori della civiltà romana. Dopo una prima fase di devastazioni, essi stessi si resero conto che la fusione del meglio della loro civiltà e di quella romana avrebbe migliorato la loro capacità di svilupparsi. E così forme artistiche, religiose, sociali ed istituzionali (ivi compreso l'ordinamento giuridico) del tardo impero romano poterono, sia pur rinnovate, sopravvivere anche con i nuovi padroni, ed anzi rifiorire. La speranza è che gli italiani, con il commissariamento della Trojka, si rendano conto della pessima qualità della loro dirigenza endogena, e, in una logica europea, se ne liberino. Anche la sinistra, imparando a ragionare in un quadro europeo, dove esistono ancora partiti progressisti, potrebbe trarne giovamento e rilanciarsi, superando un dibattito domestico oramai piuttosto angusto, e ricostruendo, in una logica più vasta di quella italiana, un radicamento sociale, che è ancora presente negli altri grandi Paesi europei. Allora forza. Che cada Romolo Augustolo e la sua corte di badanti e veline. Meglio subito e non fra un anno, quando il Paese sarà ulteriormente fiaccato da questi incompetenti.

Compito di ciò che resta della sinistra italiana sarà allora quello di tentare, sia pur in un contesto difficilissimo e quasi disperato, di "strappare", per quanto minimamente praticabile, le migliori condizioni possibili per tale cessione di sovranità, contrastando gli aspetti meno accettabili socialmente delle riforme strutturali che ci saranno imposte. Massimizzando, entro gli angusti limiti del possibile, i benefici, in termini di flessibilità di bilancio, dei contratti sulle riforme che saranno stipulati in sede europea. Sapendo, davanti ad un frangente storico così imponente ed importante, superare, almeno per una volta, rancori e divisioni storiche, lavorando trasversalmente, quale che sia la sua collocazione partitica, per rendere il meno doloroso possibile ed il più equo possibile il passaggio, inevitabile, di consegne, fra una classe dirigente di zombie e l'Europa. Per poter assolvere a tale compito, la sinistra dovrà avere le idee molto chiare sulle "condizioni", sulle richieste da fare, anche rispetto al meccanismo di governance europea (perché evidentemente la cessione di sovranità ha senso in un quadro di democratizzazione delle istituzioni europee, che non significa affatto indebolire l'egemonia tedesca. Si può essere egemoni anche in un quadro democratico di regole). Tutto ciò implica avere una piattaforma di proposte, e forme di unità minima d'azione. Su cui lavorare fin da subito, altrimenti il rischio è quello di un trasferimento di sovranità intermediato soltanto dalla classe dirigente attuale, che sarà disposta a svendere il Paese in cambio di forme di franchigia/sopravvivenza. 

Non ci dobbiamo illudere, comunque. Il futuro sarà duro e oscuro. Non ci sono, nel breve periodo, scappatoie. Si tratta solo di cercare di ridurre al minimo la sofferenza. E di liberarsi di una classe dirigente da Paese del Terzo Mondo. Di conferire un qualche aspetto catartico alla catastrofe. 




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