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mercoledì 20 agosto 2014

QUALI ALLEANZE PER LA LIBERAZIONE? Appunti di Norberto Fragiacomo




QUALI ALLEANZE PER LA LIBERAZIONE?
Appunti di Norberto Fragiacomo


  1. Cosa si intende per “alleanza”, in politica? Sostanzialmente, un accordo compromissorio tra forze organizzate che, pur perseguendo finalità e tutelando interessi diversi, fondano il dialogo e le reciproche concessioni sull’appartenenza ad un sistema valoriale comune. Nella c.d. Prima Repubblica questo trait d’union (che giustificava patti, ad esempio, tra formazioni ideologicamente agli antipodi come PLI e PSI ante Craxi) era costituito dall’iniziale partecipazione alla stesura della Costituzione, dall’avversione al fascismo e dalla convinta accettazione della forma repubblicana – chi si richiamava ad esperienze storiche superate e incompatibili con i valori democratici (il MSI) era “fuori dall’arco costituzionale”, hostis publicus escluso a priori da qualsiasi accordo (v. la fine ingloriosa dell’eretico Governo Tambroni). Oggi i tempi sono mutati: non sono più Costituzione e repubblicanesimo a fare da arbitri. A separare i due campi è piuttosto l’atteggiamento nei confronti del sistema (neo)liberalcapitalista e dei suoi agenti politici (UE, FMI ecc.): da una parte sta chi si assoggetta alle loro logiche, dall’altra chi ne chiede il rovesciamento. La sinistra anticapitalista (sovranista o meno che sia) è oggi fuori dall’«arco costituzionale» maggioritario: suo naturale obiettivo è quello di costituirne uno alternativo.
  2. Fatta questa premessa, osservo che la domanda di partenza è troppo generica. Va specificata con altri due quesiti, che la completano: I) in quale ambito, a che livello? Ce ne sono almeno tre (nazionale, locale e sovranazionale/europeo); II) in vista di quale finalità (partecipazione alla competizione elettorale o superamento del sistema attuale con mezzi extra ordinem)?
  3. “In quale ambito?” – parto, per forza di cose, dal livello nazionale. Oggigiorno la sinistra antisistema può relazionarsi solamente con quelle forze che – a parole e soprattutto nei fatti – avversano l’annichilimento delle Costituzioni postbelliche, la premeditata distruzione dei diritti e del welfare, lo sfruttamento della crisi come “miniera d’oro” (per l’elite), la retorica di pace e democrazia di cui si ammanta il becero imperialismo euro atlantico. “Quelle forze” si riducono, in Italia, ai Cinque Stelle, movimento interclassista che sulle principali questioni all’ordine del giorno ha ormai assunto posizioni assimilabili a quelle “di sinistra”. La Lega Nord, che pur cavalca la crociata “anti euro”, resta una classica formazione di destra, schierata a difesa del piccolo-medio capitale (soprattutto) settentrionale, che senza mettere in discussione i dogmi neoliberisti (es.: proposta avanzata da Matteo Salvini di flat tax al 20%) esige per i suoi rappresentati una confortevole riserva indiana all’interno della quale i padroni avranno piena licenza di sfruttare le maestranze. Questo ci ricorda che la contrarietà all’euro non conferisce in via automatica al soggetto X una patente di affidabilità: la moneta unica è solo uno dei tanti strumenti di cui si serve oggi il Capitale a guida anglosassone.
  4. A livello nazionale “in vista di quale finalità?” – l’ottenimento di una maggioranza parlamentare antisistema si annuncia “problematico” (eufemismo). Occorrerebbero anzitutto nuove elezioni, che attualmente non convengono all’ammucchiata PD-PdL (più orpelli). Lo sfacelo rappresentato dai dati economici fa da premessa a manovre dure e impopolari; se poi si materializzasse il fantasma della Trojka (il cui avvento qualcuno sconsideratamente auspica, come se l’unico rimedio contro la malasanità fosse il suicidio assistito), l’ipotesi di nuove elezioni degraderebbe a miraggio. Anche ammettendo che la prospettiva non sia irrealistica, bisogna tuttavia considerare il punto di vista del M5S, che (il condizionale è d’obbligo) potrebbe essere eventualmente disponibile a stringere patti federativi solo se in concreto giovevoli. Quando parliamo di “sinistra” dobbiamo fare i conti con una realtà odierna che non induce all’ottimismo. L’Altra Europa con Tsipras ha ottenuto, a maggio, un risultato “appetibile” e, per bocca della Spinelli, ha manifestato interesse a dialogare con Grillo – il problema è che, incapace di fissare un obiettivo chiaro e perseguibile, si sta dissolvendo. Il nodo da sciogliere - con un colpo di spada! - è rappresentato dai rapporti col PD (“l’altra parte”): i sellini rimasti vorrebbero una forma (innaturale) di collaborazione, la dirigenza del PRC la esclude a livello nazionale ma non a quello locale (l’alleanza-farsa alle regionali sarde è tutt’altro che una rondine solitaria), pochi volonterosi sostengono che il PD sta sulla sponda opposta. Finora si è scelto di non scegliere, dando il via libera ad accordicchi locali di centro-sinistra, che denotano soltanto incoerenza e mancanza di coraggio – da parte della Lista e del PRC stesso. Su questi fondamenti non si costruisce alcunché: certo non la fantomatica “alternativa possibile”. Lo ripeterò fino alla nausea: il piano locale va considerato inscindibile da quello nazionale ed internazionale. In verità, il peccato originale l’ha commesso Tsipras in persona, che ha utilizzato la candidatura europea come trampolino di lancio per la conquista del governo ellenico. Annacquando il programma e aprendo un canale con il PSE il leader greco pensa di evitare l’ostracismo di due anni orsono, ma nella migliore delle ipotesi – ove la sua scommessa si rivelasse, a breve termine, vincente – si candiderebbe a ripetere l’esperienza di Papandreou, prima ostaggio e poi vittima della triade BCE-FMI-UE (malgrado il suo programma elettorale di sinistra). E Ross@? L’accorato appello di Cremaschi a creare un’organizzazione stabile non è caduto nel vuoto, perché ha determinato la fuoriuscita – per ragioni tattiche – di Sinistra Anticapitalista: da allora il movimento non dà più segni di vita. E gli altri soggetti politici, i numerosi partitelli della galassia comunista? Si scontrano fra loro, si accapigliano come comari. La questione, in breve, è che solo il raggiungimento di una massa critica a sinistra invoglierebbe il M5S alla trattativa, gettando le basi di un futuro CLN. La Storia ci fornisce esempi innumerevoli di alleanze squilibrate, in cui una forza appare preponderante (es.: Cesare e le tribù galliche alleate), ma mai si è visto un condottiero venire a patti con un pugno di uomini, per quanto valorosi: a loro (a noi, finché numericamente irrilevanti) Grillo e i suoi potrebbero consentire di arruolarsi nell’esercito, ben difficilmente di accedere alla tenda del comandante. Prima di pensare a grandi alleanze dobbiamo stipularne una piccola fra noi, fondata sul minimo comune denominatore social comunista.
  5. Se la finalità è invece un superamento dell’attuale assetto con strumenti extra ordinem il dato quantitativo potrebbe perdere parte della sua importanza, oscurato da altri fattori come determinazione, capacità di analisi, esperienza ecc. Nell’eventualità in cui Grillo dia seguito alle sue dichiarazioni, focalizzando la propria attenzione sulle piazze anziché sul parlamento, la partecipazione di gruppi preparati e motivati potrebbe risultare preziosa. Le parole d’ordine? Presidiare, informare, convincere… ed anche, ovviamente, agire, contrastando l’attività del governo nazionale e delle lobby capitalistiche. Bloccare il Paese a giorni alterni (scioperi a scacchiera nei trasporti ecc.) è una necessità, più che un’opzione. L’approdo? La disgregazione dell’irredimibile Unione Europea, maschera di cartapesta di NATO e voraci gruppi economici – uno scopo che va conseguito tramite la collaborazione tra forze politiche e sociali (perlomeno) dell’area mediterranea. Un’altra Europa è possibile, ma va edificata su basi e con criteri totalmente nuovi.
  6. Soffermiamoci allora sul terzo livello, quello sovranazionale. La GUE ha colto, alle elezioni, un successo tanto modesto quanto effimero, passando da 35 a 52 deputati – 1/15 dei membri del Parlamento Europeo. Aggiungendo i Verdi (considerazione aritmetica, non politica!) si arriva a un centinaio: siamo lontanissimi dai numeri della maggioranza “costituzionale” formata dagli intercambiabili PPE, PSE e ALDE. Come ha constatato Curzio Maltese, il Parlamento riveste una funzione ornamentale e – inutilizzabile “censura” a parte – non ha alcun potere di incidere. Le prossime elezioni si terranno, se del caso, tra un quinquennio: capitolo chiuso. Gli unici a poter teoricamente cambiare le cose sono i governi. C’è modo di battere i pugni sul tavolo, secondo l’espressione cara all’amato premier? Altroché se c’è: si potrebbe minacciare l’uscita dall’Unione, attivando la barocca procedura prevista dal Trattato di Lisbona (non è indispensabile passare sotto le forche caudine del Consiglio, minacciare sarebbe sufficiente), oppure sospendere i trasferimenti alla UE (l’Italia è il terzo contribuente, con 16,6 miliardi versati su un bilancio complessivo per il 2014 di 142: negli ultimi anni, al netto dei “rientri”, la perdita media si aggirava sui 5/6 miliardi, senza contare che le risorse “restituite” dall’Europa hanno una precisa destinazione, stabilita altrove); in subordine, scalare dal contributo annuo i soldi spesi per Mare Nostrum e quelli che dovranno essere destinati alla sostituzione del naviglio militare usurato. Un’unica certezza: nessun esecutivo italiano “ragionevole” (cioè prono agli interessi neoliberisti) azzarderà mai questi passi.
  7. Conclusioni: la via d’uscita dall’euro passa inevitabilmente per il ripudio della UE, della NATO e di tutti i trattati connessi all’appartenenza a queste due organizzazioni poste a presidio delle esigenze del Capitale. Il traguardo è irraggiungibile, a meno che non si riesca a coinvolgere le masse popolari, persuadendole che non esistono alternative (escluse ovviamente schiavitù, miseria e assenza generalizzata di tutele). Anche nell’evenienza di una partecipazione attiva – precondizione sine qua non – la strada verso la liberazione somiglierebbe più al percorso seguito da Annibale per oltrepassare le Alpi che alla via Appia: gli ostacoli sarebbero infiniti. Militarizzazione della polizia (v. Ferguson, caso da manuale), svuotamento degli istituti democratici, asservimento ai ceti dominanti di media specializzati in guerra psicologica e creazione di “mostri” (da bombardare) sono soltanto alcune delle difficoltà con cui confrontarsi: prima di esercitare l’opzione militare l’elite capitalista farebbe ricorso alle sanzioni e scatenerebbe i c.d. mercati, la cui estrema pericolosità è un elemento assodato. Per attenuare l’impatto delle inevitabili contromisure bisognerebbe – come anticipato – allargare il fronte, mettendo assieme le forze politiche e sociali ostili al regime neoliberista in un arco geografico che va dalla penisola ellenica a quella iberica (un supporto del popolo francese migliorerebbe le prospettive). L’alleanza internazionale dovrebbe essere strettissima e, coinvolgendo formazioni eterogenee (non tutte esplicitamente social comuniste) sarebbe tenuta a porsi obiettivi apparentemente “neutri”: rafforzamento delle protezioni sociali, diminuzione delle disuguaglianze, sostegno alle produzioni locali, difesa dei diritti individuali e collettivi, socializzazione dei beni essenziali, impegno per la solidarietà internazionale, pace (garantita da adeguate capacità di autodifesa) ed equidistanza tra le potenze in competizione.

Alla lontana meta del Socialismo si può giungere senza strappi e corse in salita, camminando di buon passo – lungo la via, meglio non attardarsi in proclami: fanno perdere tempo, energia e ritmo.  




2 commenti:

  1. Il suo punto di vista è davvero interessante, al pari dell'analisi di mercoledì sul movimento 5 stelle, una delle poche che ha suscitato in me una certa attenzione. Personalmente ritengo auspicabile un "unione di fatto" su temi di interesse comune. Oggi più che mai è necessaria la presenza di più forze all'interno del sistema politico italiano in grado di combattere contro l'euromostro. Sarebbe un vantaggio anche per lo stesso 5 stelle che, nonostante sia stato impeccabile su diversi contenuti ha mostrato talvolta segni di chiusura mentale e rabbia cronica alimentati anche dallo stesso Beppe Grillo. Tuttavia, espongo anche alcune perplessità sulla questione: Sarà in grado il 5 stelle di aprire un tavolo di discussione con la sinistra senza correre il rischio di essere identificato come un movimento appunto "di sinistra"? A giudicare dall'alleanza strategica con Farage la risposta dovrebbe essere si. E qui casca l'asino: e la sinistra ci riuscirà?
    Ciò che ho visto, anche nel forum di Assisi, è il solito atteggiamento litigioso della sinistra di vecchia data,(parlo di quella degli ultimi 20 anni) unita ideologicamente ma profondamente frammentata. C'è chi ha litigato per una bandiera, e chi ha dichiarato che il nuovo nemico da battere sia Renzi, il quotidiano La Repubblica o Grillo. Riusciremo nell'impresa di decondizionare psicologicamente l'elettorato inebetito che crede che la sinistra sia rappresentata da Renzi o da Sel? Mi auguro di si.

    Manuele Testai

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  2. Caro Testai,
    leggo con grave ritardo questo commento, assolutamente in linea con le mie analisi ed impressioni. Le sue perlessità, aggiungo, sono anche le mie... e la strada si annuncia lunga: prima di decondizionare l'elettorato, toccherà decondizionare... mezza "avanguardia"! Ma dobbiamo imporci di essere ottimisti... anche perchè non abbiamo scelta.
    Norberto

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