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martedì 23 settembre 2014

SUL SOVRANISMO MONETARIO: TERZO ROUND di Riccardo Achilli






SUL SOVRANISMO MONETARIO: TERZO ROUND
di Riccardo Achilli



La polemica fra vari esponenti del sovranismo monetario in diverse salse e Bandiera Rossa in Movimento, innescata da un mio articolo agostano che non è stato capito (per quanto chiarissimo), e sostenuta, dalla controparte, con atteggiamenti aggressivi, spesso sfocianti nell’insulto gratuito (tipicamente frutto di una struttura inconscia posizionata fra fascismo e stalinismo) si arricchisce di un nuovo capitolo. 

Dice di me tale Enea Boria, a proposito di un colloquio con Cesaratto (che peraltro è stato un colloquio civile) [1]  :

“In questo senso non mi soffermo troppo su Achilli, che vuole evitare la riproposizione di un contesto storico fatto di paesi che degradino i propri rapporti politici all'interno dell'Europa in quanto in guerra commerciale reciproca, col sud che attacca con le svalutazioni competitive. Chiedo scusa, ma una tesi simile è semplicemente incommentabile. In guerra commerciale ci siamo ORA grazie a questo assetto presente; fino all'introduzione dell'euro nessuno in Grecia si sarebbe mai sognato di andare a bruciare svastiche nelle strade durante una visita di stato della cancelliera tedesca; se questa architettura saltasse non sarebbe il sud ad attaccare con le svalutazioni competitive ma il nord, e segnatamente i governanti tedeschi, a dover giustificare 15 anni di politiche restrittive interne coi propri elettori e cittadini, mentre non potranno far nulla per arginare la normale e naturale rivalutazione del "neo-marco". Insomma, Achilli dal punto di vista politico (e forse anche economico, mi permetto) ha capito tutto al contrario. Inutile dilungarsi.
Il buon Boria poi aggiunge una vera perla di analisi anti-storica, affermando “E con buona pace di Achilli il protezionismo è proprio quella via di mezzo di buon senso, rivolta alla difesa dei ceti popolari, che si situa a metà tra il laissez faire (che provoca le guerre ) e l'autarchia degli stati autoritari, che sono le due politiche di destra, liberista o fascista. La sinistra (udite udite) è protezionista o non è”.

Chiedo scusa io, ma mi sembra che, semplicemente, Boria non abbia capito assolutamente niente e sia privo dei fondamentali storici ed economici di base. Analizziamo i suoi argomenti: egli dice “ se questa architettura saltasse non sarebbe il sud ad attaccare con le svalutazioni competitive ma il nord, e segnatamente i governanti tedeschi, a dover giustificare 15 anni di politiche restrittive interne coi propri elettori e cittadini, mentre non potranno far nulla per arginare la normale e naturale rivalutazione del "neo-marco". 

In verità, se l’architettura dell’euro salterà, i governanti tedeschi non dovranno giustificare proprio niente con i loro elettori, che votano e continuano a votare esattamente per i partiti che quelle politiche di austerità hanno creato e sostenuto (prima la Spd di Schroeder, poi la Cdu della Merkel). E questo per un motivo molto semplice: l’elettore tedesco medio ama il concetto di austerità. Può aver provocato problemi sociali notevoli e distruttivi sulle fasce sociali più deboli (precari, lavoratori sottoqualificati, pensionati al minimo,ecc.) tramite i mini-job e le riforme Hartz, ma intanto questi sacrifici sono stati giustificati politicamente come rimedi necessari per integrare il boccone della Germania dell’Est recuperando competitività internazionale sui costi, e così sono stati accettati dalla maggioranza dei tedeschi. Ed inoltre, nell’immaginario collettivo dell’elettorato tedesco, ancora segnato inconsciamente dall’iper-inflazione di Weimar e da ciò che ne derivò politicamente, il debito, le politiche di deficit spending, ecc. sono sintomi di anarchia economica e politica, che vengono associati ai Paesi euromediterranei (con qualche ragione, peraltro).

Di conseguenza, i tedeschi non si aspettano nessuna giustificazione da parte dei loro governanti circa l’imposizione di politiche di austerità, anche quando queste stanno distruggendo l’Unione monetaria (a meno di non considerare che la Merkel, che ancora ieri con il francese Valls ribatteva sul punto “no money, no party” sia totalmente idiota e politicamente suicida, cosa che non è, visti i risultati elettorali). Molto semplicemente, l’elettore tedesco medio si aspetta che i Paesi euromediterranei “facciano i compiti a casa” come li ha fatti il suo Paese senza agire con svalutazioni competitive per tenere in piedi la sua competitività di prezzo (che questa idea sia di una idiozia totale nessuno lo discute, ma la comunicazione politica fa passare anche idee idiote nel tessuto sociale, altrimenti non avremmo avuto fenomeni come Berlusconi o Grillo). Per cui, in caso di fine dell’area-euro, l’elettore tedesco, ed il sistema politico ed economico tedesco, non accetterebbero mai un ritorno a politiche commerciali che sfruttino la svalutazione competitiva senza reagire. Soprattutto dopo che il crescente surplus commerciale tedesco è stato reso possibile proprio dalla fine delle politiche di svalutazione competitiva. Per capirci: nel 1993, dopo l’uscita della lira dallo SME, il saldo commerciale italiano con la Germania era positivo per oltre 280 Meuro. Oggi siamo in pesante deficit con la Germania, al 2013 sfioriamo 400 Meuro di disavanzo commerciale. La cosa più naturale, quindi, è pensare che la Germania reagirebbe ad una rivalutazione del marco rispetto alle ripristinate lira, pesata, dracma, ecc., in un mercato basato ancora sulla libera circolazione delle merci, imponendo barriere, probabilmente non tariffarie ed indirette, alle importazioni, per non perdere l’elemento trainante della sua crescita, ovvero la sua competitività internazionale.

E qui veniamo al secondo argomento di Boria: il protezionismo è proprio quella via di mezzo di buon senso, rivolta alla difesa dei ceti popolari, che si situa a metà tra il laissez faire (che provoca le guerre ) e l'autarchia degli stati autoritari. La sinistra è protezionista. Evidentemente, la storia mondiale insegna, a chi abbia l’umiltà di studiarla, esattamente il contrario, e cioè che fu proprio il protezionismo seguito alla grande crisi del 1929 ad innescare, in Europa, reazioni nazionalistiche e proposte di politica economica autarchica, che crearono il brodo di coltura dei vari fascismi, e quindi della progressiva deriva verso la guerra. E furono le destre ad utilizzare nel modo più pieno protezionismo ed autarchia. Passare da guerre commerciali a guerre guerreggiate è molto più frequente e semplice che non trovare accordi di reciproca coesistenza. Altro che protezionismo di buon senso!

Pensare che uno scenario di crescenti tensioni commerciali e politiche, dopo la fine dell’integrazione monetaria, sia del tutto impossibile, e scartarlo a priori è, mi sembra, un grave sintomo di ottusità, di fronte ad eventualità future che non conosciamo appieno che vanno quantomeno prese in considerazione a mente aperta. Ottusità spesso derivante dal non volersi confrontare con la realtà, che è ben diversa da schemini teorici sui quali ci si gioca una carriera politica. Non motivare questa opinione, oppure motivarla in modo ridicolo, come fa Boria, sostenendo che le Autorità politiche tedesche sarebbero troppo impegnate a difendersi dalle critiche dei loro cittadini per reagire agli effetti deleteri sulla propria bilancia commerciale di una svalutazione delle ripristinate monete euromediterranee, è molto più che ottuso. Le Autorità politiche tedesche avrebbero, contrariamente a ciò che pensa il Nostro, tutto l’interesse a sviare l’attenzione della loro opinione pubblica dal fallimento dell’euro, motivato dalle loro assurde politiche di austerità, verso i Paesi euromediterranei a valuta debole, a quel punto dipinti come cinici sfruttatori e parassiti, che esportano svalutando anziché facendo sforzi di riforma strutturale dei loro mercati del lavoro interni e dei loro sistemi di welfare e di spesa pubblica. Si chiama “creare capri espiatori”, ed è la strategia politica più antica del mondo quando si è in difficoltà nello spiegare certe scelte fallimentari ai propri elettori. La cultura fortemente intrisa di protestantesimo del popolo tedesco non potrà che facilitare una reazione di questo genere.

Vale infine la pena di ricordare, non solo a Boria ma a tutti quelli che credono al paradiso fuori dall’euro, alcuni elementi. Per coloro che parlano di “uscita ordinata” e di ripristino dello Sme e dei cambi fissi o semi-fissi, in primo luogo, ricordo che persino il partito euro-scettico tedesco, Afd, nel suo programma elettorale, prevede che l’uscita dall’euro sia accompagnata da un sistema di tassi di cambio semi-rigidi, analogo allo Sme pre-euro, o, in caso ciò non sia possibile, da politiche valutarie basate sulla stabilità del tasso di cambio, associate a politiche monetarie neutrali rispetto ai debiti pubblici nazionali. Questo è ciò che la Germania sarebbe disponibile ad offrire in caso di uscita dall’euro. Si tratta in buona sostanza di una specie di interpretazione dello schema di Mundell-Fleming a tassi di cambio fissi, che come tutti sanno azzera ogni tentativo di espansione della massa monetaria, e quindi rende impraticabile qualsiasi tentativo di monetizzazione, anche parziale, del debito pubblico (che infatti quelli di Afd aborrono). Si tratta cioè di uno schema in cui, non potendo svalutare (se non entro una fascia di oscillazione rigida) e non potendo monetizzare il debito, i Paesi ad alto debito pubblico e bassa competitività internazionale (come l’Italia) sarebbero costretti a proseguire in disastrose strategie di deflazione dei costi di produzione interni, cioè, detta in altri termini, in politiche di massacro sociale peggiori di quelle che abbiamo già subito. Anche qui c’è un precedente storico. La famosa politica della quota 90, cioè la fissazione di una regola rigida nel tasso di cambio fra lira e sterlina, decisa da Mussolini, in assenza di possibilità di manovrare la politica monetaria, fu attuata mediante la riduzione della domanda interna, la restrizione del credito e l'abbassamento dei salari, oltre che l’autarchia.

In caso di uscita non ordinata dall’area euro, cioè unilaterale e non negoziata con la Germania, poi, le classi lavoratrici pagherebbero il costo economico di fughe di capitali (certo non frenabili per sempre da misure amministrative-tampone), dell’aumento dei tassi di interesse (a proposito: non regge il confronto fatto con il 1992-93, quando i tassi di interesse calarono dopo l’uscita della lira dallo Sme; infatti, la contestuale adesione al Trattato di Maastricht ed ai suoi parametri rigidi di politica fiscale e l’avvio di politiche di contenimento dei costi, come il protocollo Ciampi del 1993, stabilizzarono le aspettative degli operatori, evitando un aumento dei tassi dovuto ad effetto di richiesta di un premio di rischio-Paese da parte degli investitori; uscendo dall’euro oggi, con una economia stremata dalla crisi, non potremmo riprodurre quel sistema di politiche fiscali restrittive a garanzia della tranquillità degli investitori, a meno di non scendere ai livelli di reddito pro capite e di diseguaglianza di qualche satrapia africana; e comunque, nel 1993 il divario tra i tassi d’interesse fu addirittura triplo, il 13% in Italia contro il 4,4% della zona euro e il 4,3% della Ue).  Ma i lavoratori pagherebbero anche i costi della rivalutazione del costo del rimborso della quota capitale di quel 35% di debito pubblico italiano in mano a soggetti non residenti (certo non disposti a farsi pagare in valuta deprezzata, dopo aver acquistato titoli del debito pubblico denominati in euro) e di un aumento dei costi di importazione delle materie prime energetiche (citando l’insospettabile Bagnai, con una elasticità fra prezzo della benzina e del petrolio del 30%, una svalutazione del 30% della lira comporterebbe un aumento del 9% del costo energetico, ceteris paribus, che peraltro andrebbe a combinarsi con l’aumento del costo del gas, delle materie prime non energetiche importate, ecc. ).

In conclusione, le osservazioni di Boria riportano nel modo più fedele, perché sono “di pancia”, il vero punto di arrivo di una strategia di sovranismo monetario: protezionismo, nazionalismo economico che sfocia in nazionalismo politico, con le sue appendici guerrafondaie inevitabili, costo economico da fuoriuscita da far pagare alle classi lavoratrici. Davvero un ottimo risultato.

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