di
Norberto
Fragiacomo
La triplice bocciatura dicembrina del tecnocrate Dimas, candidato da Nuova Democrazia alla presidenza della Repubblica Greca, spiana la strada a nuove elezioni e a una rivincita – tre anni dopo – fra Syriza e la destra strumento della troika.
Nell’estate 2012 si giocò una partita truccata: mercati, istituzioni sovranazionali e Frau Merkel, con il prezioso appoggio dei media, terrorizzarono a tal punto l’elettorato greco da ribaltare i pronostici della vigilia, consegnando il derelitto Paese al partito di Samaras, cioè alla Finanza (v.http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/06/stavolta-ha-vinto-serse-di-norberto.html) - si ricorse alle menzogne (che Tsipras volesse uscire dall’euro, ad esempio), alla più bieca diffamazione; si ribadì, dopo la sconcia vicenda Papandreou (licenziato in tronco per aver lanciato l’idea del referendum popolare, e rimpiazzato col collaborazionista Venizelos), che la sovranità popolare e quella statale esistono nei manuali di diritto, non nel presente europeo.
Ci riproveranno? Il duetto di capodanno tra der Spiegel – cui una gola profonda governativa avrebbe rivelato che la Germania è pronta a dare il via libera all’uscita della Grecia dall’euro, in caso di vittoria di Tsipras – e l’esecutivo Merkel-Schäuble – che pretende il rispetto del patto leonino qualunque sia l’esito elettorale – lascia presagire di sì, anche se in forma più soft e, a parer mio, subdola (mi spiegherò meglio nel prosieguo); in questa occasione, tuttavia, mi asterrò da pronostici di sorta, dedicando qualche riga al programma di Syriza e alle presumibili intenzioni del suo candidato premier, l’ingegnere quarantenne Alexis Tsipras.
Il programma della Sinistra greca, annunciato in settembre a Salonicco (http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2014/12/il-programma-di-syriza.html#more), si rivolge anzitutto alla UE, cui viene chiesto di rinnegare le proprie politiche (cancellazione della maggior parte del valore nominale del debito, moratoria sui pagamenti, un ambizioso piano continentale di investimenti pubblici finanziato dalla BEI ecc.); ottenuto un tanto, Syriza si impegna, tra l’altro, a garantire sostegno a piccole e medie imprese, alla “ricostruzione dello Stato sociale e al ripristino dello Stato di diritto”, a fornire elettricità gratis e sussidi pasto agli indigenti (300 mila famiglie), al lancio di un piano casa, all’abbassamento delle imposte sui ceti deboli e all’aumento del salario minimo, ad assicurare l’assistenza medica gratuita, a ripristinare i trattamenti pensionistici e le tutele giuslavoristiche cancellate negli ultimi anni ecc. Né comunismo né socialismo, dunque, ma un avanzato programma di schietta sinistra che, in questi tempi barbari, suona – senza quasi – rivoluzionario1, e per le lobby che governano il mondo ben oltre i limiti della sovversione. Per intendersi: tra un Hollande o un Renzi, che spaccia per provvedimento “di sinistra” un’elemosina da 80 euro, e Tsipras c’è oggi una distanza incommensurabilmente più vasta di quella che separava, un secolo fa, Kautsky da Lenin, e questo non perché l’ingegnere greco sia più marxista del grande rivoluzionario (non scherziamo!) – banalmente, l’unica sinistra oggi ammessa è destra travisata.
Il problema però è sempre quello: la casa progettata dal più talentuoso architetto del mondo non sta in piedi, se priva di fondamenta – e nel nostro caso le fondamenta sono, ad essere generosi, alquanto ballerine.
In un ottimo articolo recentemente pubblicato su Sollevazione (http://sollevazione.blogspot.it/2014/12/la-grecia-al-voto-di-leonardo-mazzei.html) Leonardo Mazzei evidenzia l’insanabile contraddizione tra «un programma sociale avanzato» e «un percorso per la sua realizzazione del tutto campato in aria, a partire dalla rimozione della necessità di uscire dall’euro». Tsipras conferma la sua “fedeltà” all’euro e ad una UE “da riformare” (?); inoltre, a tre anni di distanza dal primo tentativo, rinuncia all’uscita della Grecia dalla NATO: su queste basi “responsabili” invita Bruxelles e la Germania a negoziare.
Si tratta, a ben vedere, di un’assurda illusione: un piccolo Paese alla fame pretende di trattare da pari a pari con il capitalismo mondiale, dopo averne soddisfatto le più impellenti esigenze (leggi: rimborso dei crediti) e, soprattutto, dopo averne sperimentata la doppiezza. Quale merce di scambio può offrire? Il programma non lo dice, anche perché tutto quanto c’era di appetibile è già stato razziato. Per chi fantastica sulla clemenza della corte c’è la risposta preventiva der Spiegel-Merkel, rivolta più agli elettori greci che a Syriza: o si prosegue sulla strada dell’autocastrazione o lo Stato ellenico verrà abbandonato alla deriva, finendo disintegrato dai mercati. Tertium non datur.
Potremmo perciò chiederci se Tsipras sia un venduto, uno sciocco o un disperato – oppure se abbia in mente una qualche strategia, rischiosa ma attuabile.
Alla tesi del “venduto” non credo: un leader che è stato capace di traghettare un partitello dall’irrilevanza del 3-4% alle sponde della maggioranza relativa “virtuale” (con l’aiuto della crisi, certo, ma l’uomo ci ha messo del suo!) non può essere mosso dalle ambizioncelle di un Migliore qualsiasi. Inoltre, per vendersi occorre reperire un acquirente, e le timide profferte di Syriza alla cosidetta socialdemocrazia europea sono state respinte, nei mesi scorsi, con signorile indifferenza dalla destra continentale di scorta2. Schulz e la Merkel sono esattamente la medesima cosa, e fra l’usato sicuro Samaras e l’oggetto misterioso Alexis non avrebbero dubbi nella scelta: impossibile fidarsi di un George Papandreou più di sinistra e che non ha neppure studiato negli States.
Un ingenuo, allora, un sognatore? Con mattoni onirici non si costruisce dal niente un grande partito, non si tengono a bada le opposizioni interne (il 30% di Syriza dichiaratamente ostile all’euro), non si pilota una svolta di cui un giornalista esperto come Dimitri Deliolanes loda il realismo, giudicandola (in positivo) stupefacente. Sarà pure provinciale la Grecia, ma un lustro di penuria estrema3 ammaestra più di una biblioteca: in un Paese che agonizza la politica ha smesso per tutti, fuorché per i Quisling, di essere gioco di società.
Disperato allora? Forse, perché disperata è la situazione, ma l’istinto mi dice che l’obiettivo immediato di Tsipras è quello, tutt’altro che irrazionale, di prendere tempo. Rispetto al 2012 ci sono, a livello internazionale, delle importanti novità: le elezioni europee hanno fatto conoscere il segretario a tutta Europa, in Italia una lista porta ufficialmente il suo nome, in Spagna il fenomeno Podemos si è affermato (per ora, solo nei sondaggi) in tempi rapidissimi. Il nostro non è più un invisibile capopartito di una nazione paria: è il leader riconosciuto – non da tutti, ma dalla maggioranza di partiti e militanti – della Sinistra europea postsocialista e, in un certo senso, postideologica. In questo quadro acquistano un significato sia la ricucitura con la NATO (e certe dichiarazioni assai ambigue sulle vicende ucraine, che non sono affatto piaciute a chi scrive) sia il formale inchino alla maestà dell’euro: Tsipras cerca di presentarsi agli elettori non come un rivoluzionario, ma come un “restitutore” di libertà, tutele e diritti sanciti dalle Costituzioni del dopoguerra. Democrazia e capitalismo possono convivere, suggerisce: la riprova sta nel passato, nel trentennio glorioso ’50-’80. Vuole infondere coraggio a popoli sgomenti: sa bene, visto che non è sciocco, che la riproposizione del compromesso socialdemocratico è impensabile, perché il quadro geopolitico è mutato, ma contrasta la propaganda mediatica trasmettendo l’immagine di un progressismo pacifico, sensato, ottimista e “realistico”. Se a fine gennaio si impone e se riesce, poi, a dar vita a una maggioranza (dopo la scomparsa di Dimar, che per ironia del destino oggi lo appoggerebbe4, l’unico interlocutore che gli resta è Papandreou, la cui resurrezione è, per la verità, tutt’altro che certa), aprirà senza indugio le trattative con Bruxelles. L’esito negativo è scontato, ma a lui preme sedersi ad un tavolo, tenere vivo il dialogo, far comprendere ai cittadini europei, per lo meno del sud, che l’accettazione delle richieste elleniche è di interesse generale. Melina? Sì, per favorire, ove possibile (in Spagna, in Portogallo, in Italia, in Slovenia…), un cambio di governo, l’affermazione di forze che condividano, in linea di massima, la sua visione: i frequenti viaggi nella nostra penisola e in quella iberica non sono certo a scopo turistico. Per sfuggire all’attrazione gravitazionale dell’euro, della UE e del Capitale finanziario è indispensabile una massa critica superiore a quella di un singolo Paese: un’alleanza mediterranea – magari protetta dall’ombrello nucleare francese, ma “il sogno è (purtroppo) l’infinita ombra del vero” – sarebbe il minimo sindacale.
In sostanza, ipotizzo che il programma di Syriza sia stato redatto in forma crittata: sarebbe deficitario e “incompleto” per un preciso calcolo dei suoi estensori. Si dirà che siamo di fronte ad un azzardo, e così è; è lecito aggiungere che le chance di riuscita sono ridottissime, in primo luogo perché gli esiti delle elezioni di fine gennaio potrebbero essere determinate ancora una volta da azioni di psyops (e allora il progetto abortirebbe sul nascere), in secundis perché mancano garanzie che, anche nell’ipotesi di un successo non risicato, l’esempio elettorale greco venga imitato altrove5. Questo senza contare la possibilità che UE, cancellerie e mercati reagiscano con un’immediata demonizzazione (la reductio ad Hitlerum descritta da Diego Fusaro è ormai un meccanismo oliato, di facile attuazione) o, senza tanti strepiti, non riconoscano semplicemente in Tsipras un interlocutore, anticipando le sue decisioni. Una cacciata senza preavviso dall’euro darebbe scacco matto al nuovo governo ellenico, condannandolo a vita breve e stentata.
In breve, Tsipras cammina su di un filo teso nel vuoto: la cosa non può lasciarci indifferenti, perché una sua eventuale caduta affretterebbe la nostra. Accantoniamo i dubbi, che reputo assolutamente legittimi, e facciamo il possibile per sostenerlo in quest’impari battaglia.
2 Che però, a differenza della destra apertamente conservatrice, perde colpi ovunque, fuorché (per il momento) in Italia: sul lungo periodo i cittadini europei paiono preferire l’inflessibilità dei “moderati” al dolciastro, ipocrita “senso di responsabilità” degli pseudosocialisti, umanitari solo a parole.
3 L’ultima testimonianza viene dalla trasmissione radiofonica Inviato speciale che documentava, qualche giorno fa, la disperazione di commercianti e pescivendoli ateniesi cui, la vigilia di Natale, non è bastato dimezzare in pochi minuti il prezzo di gamberoni, agnelli e tacchini per attrarre una “clientela” attenta oramai al centesimo.
5
In virtù del fatto che nella corsa all’immiserimento gli altri
concorrenti sono ancora nettamente alle spalle della lepre ellenica.
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