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domenica 11 gennaio 2015

MARATEA: L’OPERA MONUMENTALE DEL CRISTO E I FAVOLOSI ANNI CINQUANTA di Sara Palmieri



MARATEA: 

L’OPERA MONUMENTALE DEL CRISTO E I FAVOLOSI ANNI CINQUANTA

di Sara Palmieri




A guardarsi intorno oggi, tra la crisi dei valori, le macerie dell’idealismo, la débacle economica e il lento ma progressivo indebolimento dello stato sociale, sembra impossibile che ci sia stato in Italia un tempo in cui tutto pareva sorridere e occhieggiare nella penombra di promesse – ebbene sì – mantenute.
Lasciatasi alle spalle la guerra, elaborato il dolore, i lutti e le sofferenze che ne erano conseguiti, l’Italia si rimbocca le maniche e guarda al futuro.
La ricostruzione parte e si nutre della speranza e della fiducia nell’avvenire.
Quel decennio lungo per un secolo breve – così come vengono definiti gli anni Cinquanta – getta le basi del boom economico successivo degli anni Sessanta e dello sviluppo e del progresso futuri.
Si tratta per il Paese del suo secondo rinascimento e la creatività diffusa e infusa nei vari settori di attività è la chiave di volta del riscatto.
Arte e industria finalmente si intendono, realtà e utopia si fondono e dialogano.

Le parole non sono palloncini sgonfi abbandonati per strada da bambini annoiati di tutto, ma rimandano a contenuti e progetti densi di significato, commisti di praticità e bellezza, funzionalità e leggerezza, pronunciate da capitani d’industria entusiasti e lungimiranti, spesso con personalità da artista, che materializzano fabbriche, strade, ponti, palazzi, ma anche automobili (la famosa Seicento), frigoriferi, televisori, lavatrici, attenti ai bisogni e alle esigenze di donne e uomini nuovi. 
Sperimentazione e ricerca investono tutti i settori e invadono, come un’epidemia benefica e finalmente salvifica, ogni ambito: dal terziario all’industria, dall’arte alla cultura, dallo sport alla musica.
C’è bisogno di tutto ma al tempo stesso nulla sembra impossibile.
Tutti partecipano a questo processo di sviluppo in maniera attiva e coinvolta, consapevoli di essere artefici del proprio destino, in un clima di dilagante ottimismo e voglia di progredire.
Si converge e si diverge, ci si unisce e ci si oppone, pervasi da euforia creativa e indiscussa fede nel domani.
Coppi e Bartali, De Gasperi e Togliatti, la vespa e la lambretta, la televisione e il cinema, la pubblicità di Carosello, la scoperta del design, le sperimentazioni sui materiali, l’avvento della plastica, l’esplosione della grafica e si potrebbe continuare a lungo, ma è soprattutto lo spirito a muovere questo nuovo mondo pieno di opportunità e brulicante di sogni possibili, a produrre le grandi infrastrutture così come le opere dell’arte e dell’ingegno, a dare impulso all’osare piuttosto che al desistere.

Il fermento di quegli anni ha un effetto e una portata concreti documentati dal dato che dal 1952 al 1970 registra una crescita del reddito medio degli italiani fino al 130%.
E’ sempre agli albori di quel decennio che il sesto governo De Gasperi crea la Cassa per il Mezzogiorno con la legge n. 646 del 10 agosto 1950, con il fine di finanziare iniziative industriali intese allo sviluppo economico del meridione per colmare l’evidente divario con il nord italiano.
A prescindere dalle valutazioni sui suoi effetti e sui suoi fallimenti, sulla sua buona o cattiva gestione, la legge che istituisce tale ente pubblico ha un fine nobile che è il bene della parte più debole del Paese ed è il meritevole frutto di una politica economica avanzata.

Intanto il Sud è già interessato dal fenomeno migratorio verso il settentrione d‘Italia, oltralpe o addirittura al di là dell’oceano.
Ma lo spirito che muove le folle dei migranti è sempre lo stesso: è appassionato e fiducioso, ha voglia di affermazioni e di successi puliti, lontani dai narcisistici esibizionismi e dall’edonismo sfrenato dei giorni nostri.
Si emigra poveri, ma con la marcia trionfale in corpo e non con la sinfonia cupa e rassegnata degli sconfitti.

E’ grazie a quella legge del 1950 che Oreste Rivetti, discendente di una famiglia di industriali lanieri del biellese, decide di percorrere gli innumerevoli chilometri di strada ancora stretta e tortuosa che separano il Piemonte dal Sud dell’Italia e quindi dalla Basilicata e da Maratea.
Per immaginare le asperità di quel viaggio, basti sapere che il primo Piano Nazionale delle Autostrade viene decretato con la legge n. 463 del 1955 mentre nel 1956 viene stipulata la convenzione per la costruzione e l’esercizio dell’autostrada Milano-Roma-Napoli per un totale di 755 chilometri.
L’A1 – nota come Autostrada del Sole – viene quindi inaugurata ufficialmente, per la completa percorribilità da Milano a Roma a Napoli, il 4 ottobre 1964. Oreste Rivetti è un uomo concreto, forte, che ha a cuore la famiglia, i figli, gli affari delle sue aziende, un industriale di successo che gestisce con intraprendenza e indubbie capacità d’impresa il Lanificio fondato nel 1872 da Giuseppe Rivetti a Mosso nell’odierna provincia di Biella.
Nel 1879 l’attività contava ben quattro opifici e con i primi anni del Novecento si specializzava nella produzione di cascami di rayon. Col trascorrere degli anni il complesso industriale si espande a Biella – sotto la denominazione Lanificio Rivetti S.p.A – ed arriva così ad estendersi per un totale di 47.000 mq e consente l’occupazione di almeno 20.000 maestranze.
Oreste Rivetti giunge a Maratea, in compagnia del figlio Stefano, laureato in Scienze Economiche e Commerciali e specializzatosi in Germania in ingegneria tessile, nel mese di marzo del 1953.
Raggiungono il Sindaco Vitolo, che non è in quel momento nella sede comunale, e incomincia, con questo fortunato e favorevole incontro, la storia dell’insediamento dei Lanifici Rivetti a Maratea e nella limitrofa Calabria e di molto altro.
Il pragmatico Conte Oreste non è convinto fino in fondo della proficuità dell’impresa, ma il figlio Stefano subisce e si lascia ammaliare dal fascino del paesino lucano, sonnecchiante e selvaggio, disteso tra i monti e il mare, ancora brullo, pieno di sorgenti di acqua dolce e lambito da acque cristalline e trasparenze mediterranee, abitato da gente cortese e accogliente e al tempo stesso diffidente e schiva.
Maratea, nonostante il suo passato indipendente, privilegiato e fiero, è, in quegli anni – come in fondo tutta l’Italia del dopoguerra - una carta bianca su cui riscrivere la storia.
Nel documentario girato da Folco Quilici nel 1967, dal titolo “L’Italia vista dal cielo – Basilicata e Calabria”, prodotto dalla Esso Italiana, l’Italia del Sud, pure percorsa dal fervore delle promesse dei tempi nuovi, appare ancora come un enorme paesaggio sconsolato e struggente di pianure, di monti e di scogliere ora dolci, ora a picco sul mare, popolato in gran parte da gente semplice, che strappa con fatica alla terra la sua sopravvivenza.

Stefano Rivetti di Val Cervo e Bruno Innocenti con alle spalle il "bozzettone" di 5 metri - 1965


Qui il Conte Stefano Rivetti, che eredita dal padre il testimone, impianta dunque le sue industrie, ma intuisce che le potenzialità maggiori sono in altri campi: nel turismo (costruisce e gestisce, tra l’altro, il Santavenere Hotel, ancora oggi uno dei più esclusivi e raffinati Alberghi italiani), nell’ambiente (svolge un’opera di piantumazione e diffusione del verde che contribuisce a modificare l’aspetto brullo del territorio), nell’agricoltura (crea la Pamafi, azienda ortofrutticola e florovivaistica e inizialmente anche lattiera), nella cultura millenaria di un popolo che è stato greco e latino e che, pur nei rari scontri e nelle diverse incomprensioni, impara ad amare, che ammira e rispetta e di cui si sente parte.
Quelle citate sono solo alcune – le più note ed eclatanti - delle iniziative e delle azioni che contraddistinguono la sua vicenda umana e professionale nel piccolo centro lucano.

Stefano Rivetti è uno di quegli industriali illuminati e lungimiranti che però si lasciano guidare, più che dalla concretezza degli affari, dal tarlo utopistico e dal senso estetico degli artisti.
E’ il figlio più autentico di quegli anni appassionati e dinamici, entusiastici fino a rasentare l’euforia, che guardano all’obiettivo senza farsi spaventare dalle difficoltà e dagli ostacoli che si pongono su un cammino inevitabilmente accidentato.
Per lavoro gira il mondo, si guarda intorno con curiosità e interesse, è pieno di idee e di progetti che riportano a Maratea e che mirano a farne la regina incontrastata di quella nascente e originale forma di industria che si chiama turismo.
A Rio De Janeiro, sorvolando il Corcovado, vede il Cristo bianco, che domina la baia, che accoglie e saluta con le sue braccia perfettamente distese il viaggiatore moderno.
Decide di erigere una statua simile anche a Maratea.

Il progetto è già scritto nella sua mente, elaborato durante i vagheggiamenti notturni e le pensose passeggiate nella natura.
Sempre più convinto della bontà dell’idea, va alla ricerca dell’artista che tradurrà in concreto la sua opera, grande monumentale, imponente, il suo personale omaggio ad una terra che – ne è sicuro – diverrà il salotto balneare, la villeggiatura d’eccellenza – per usare un termine del tempo - dell’Italia e del mondo intero.
Non importa se non ci sono strade abbastanza larghe e comode per trasportare le tonnellate di materiali che serviranno, non importa quanta fatica e quanto impegno e quanto denaro occorreranno, non importa se l’impresa appare ardua e la burocrazia lenta non è in sintonia con il suo passo svelto e infaticabile.
In lui brucia lo spirito di quei favolosi anni Cinquanta e Sessanta, quando anche l’impossibile diventa realizzabile e l’utopia è in grado di prendere forma e farsi materia.
Gli impedimenti, pur se ragionevoli e oggettivi, non gli interessano, lui è già oltre, più avanti, è già nel suo sogno fatto realtà.

Ed e’ solo grazie alle sue capacità visionarie se oggi la statua monumentale del Cristo, alta 21,20 metri, con una distesa di braccia pari a 19,75 metri, caratterizzata da quel sorriso misterioso e lieve, vi osserva – benevola - salire, mesti o ciarlieri, ammirati e quasi stupefatti, la stradina che si snoda dal piazzale della Basilica di San Biagio per condurvi a sé e raccontarvi, con tutto il resto, anche la storia di un uomo e del suo tempo.











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